Nadia Urbinati: "Non c'è il fascismo, il Fronte è un'idea studiata a tavolino"

28 Giugno 2018 /

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di Wanda Marra
“A sinistra c’è desiderio di vita, più che vita. C’è un voler essere, più che un essere. Non si sa cosa fare e come procedere”. Nadia Urbinati, vicepresidente di Libertà e Giustizia e docente di Teoria politica alla Columbia University, parte da questo assunto per riflettere sui problemi e i destini della sinistra italiana: “La caduta della sinistra ha significato anche un’opposizione in Parlamento senza denti, senza l’incisività che dovrebbe avere”.
Nella società, invece, esiste un’opposizione?
Nella società un’opposizione c’è, anche se sconcertata e senza bussola. Serpeggia un po’ ovunque, ma non ha una rappresentanza politica.
Da dove si riparte? Carlo Calenda insiste con l’idea di un “Fronte repubblicano”.
Il Fronte repubblicano sembra un’idea a tavolino, molto astratta. E poi, non siamo in guerra e non mi pare che l’Italia sia fascista – condizioni che giustificherebbero un “fronte”. Siamo dentro una dinamica costituzionale e repubblicana. Se si chiamano i compatrioti al “fronte” è perché si presume che ci troviamo in uno stato di emergenza: questo è davvero poco credibile.
Zingaretti, invece, che vuole ripartire dal centrosinistra e dai sindaci?
Zingaretti vuole ricostruire il Pd dall’interno, anzi partire dal Pd per ricompattare tutte le schegge della sinistra. Idea legittima, ma non so se può funzionare. Uno dei problemi seri del Pd è l’insopportabilità della sua classe politica. Ci sono nomi e facce così disprezzati e vilipesi (poco importa se a torto o a ragione) che questa operazione – nonostante la buona volontà – può non avere buon esito.

E allora, dove si va?
Serve un movimento forte da fuori, perché chi sta dentro è destituito di credibilità. Senza una base sociale, la trasformazione muore sul nascere. Quindi, serve ripartire dai movimenti sociali, le realtà di vita, i luoghi. Bisogna cominciare dal protagonismo che i quartieri popolari rivendicano, inascoltati dal Pd, da anni. Dalle associazioni. Vorrei vedere i militanti e i politici della sinistra (o di quel che oggi sono i partiti di sinistra) conoscere i bisogni della gente, farsene rappresentanti; che comincino a studiare l’etnografia delle città e dei quartieri, popolari ma non solo, per capire cosa c’è che non va, perché i cittadini sentono di non aver potere.
E chi deve farlo?
Tanti soggetti, anche dentro al Pd. Ma non partendo da e restando in via del Nazareno. Servirebbero i sindaci e le città; ma ricordiamoci che, oggi, i sindaci sono più simili ai manager che ai sindaci degli anni 70, quando erano promotori di una visione di città che definivano insieme ai partiti e ai cittadini dei quartieri.
Insomma, il Pd va sciolto?
Il Pd è oggi un problema più che una soluzione. Del resto i gruppi parlamentari sono in gran parte renziani.
Parlando di Renzi, che cosa dovrebbe fare?
Se facesse un suo partito che guarda verso Forza Italia avremmo già fatto un passo avanti. La sinistra sarebbe libera da questa palla al piede.
Lei è stata molto impegnata nella battaglia per il No al referendum. Quell’esperienza è un pezzo del cambiamento del quadro politico?
È stata una buona esperienza, che univa diversità ideologiche e politiche. Non è detto che non possa aiutare la formazione di un nuovo soggetto politico: Libertà e Giustizia, ad esempio, ha un radicamento nazionale. Potrebbe essere una strada, ma l’associazione non sarebbe d’accordo, e con buone ragioni.
Quindi, come si riparte?
Aldo Moro si rivolgeva spesso alle persone di buona volontà. Servirebbe buona volontà politica, capace di ragionare per collettivi. Cominciando a riconquistare l’Europa ai diritti sociali e alla democrazia.
Tornando alla sua critica a Calenda, come definirebbe questo governo?
Un governo conservatore, con un’ideologia nazionalista e reazionaria. Populista nello stile: conduce una campagna elettorale permanente, per tenere l’audience alta. E nazionalista perché traccia un solco tra chi è “dei nostri” e chi è esterno, come gli immigrati ma anche l’Europa. Ha però anche ambizioni di giustizia sociale e di redistribuzione. È un governo complesso. Bollarlo come fascista è sbagliato. Non si sta neanche comportando completamente male: criticabile per la sua propaganda xenofoba, bisogna riconoscere che ha spronato l’Europa.
L’opposizione in Parlamento che deve fare?
Prima di tutto incalzare. Rivedere Dublino è giusto, ma anche contrastare il nazionalismo e rilanciare l’Europa politica, il progetto di Spinelli. Altrimenti, non si governano i confini. E poi serve rivedere il Jobs act… Insomma: ci di deve opporre proponendo, invece di demonizzare.
Quale dovrebbe essere la base elettorale di questo nuovo soggetto?
Sono le classi popolari che devono tornare a casa. Adesso, non votano oppure scelgono Lega o M5s. La parola sinistra medesima non dà fiducia. Troppe sono state le delusioni sul piano della politica sociale e dell’occupazione.
Quali dovrebbero essere le parole d’ordine di una nuova sinistra?
Solidarietà, giustizia sociale e rispetto della democrazia liberale: insomma l’articolo 3 della nostra Costituzione.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 28 giugno 2018

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