I nuovi clochard d'Europa: con il lavoro, senza la casa

22 Febbraio 2018 /

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di Alessandro Principe
In Europa sono in forte aumento le persone senza casa. Barboni, clochard, homeless, chiamateli come vi pare: la sostanza non cambia. Di romantico c’è poco o niente. Per qualcuno che, forse, sceglie questa vita, c’è un esercito di poveri che una casa non se la può permettere. Aumenti a due cifre, anche in paesi mediamente ricchi, e con tradizione consolidate di welfare: Danimarca +85%; Belgio + 34%; Olanda +50%. In Italia l’aumento è tra i più bassi, “solo” del 10%. Sta emergendo una nuova tipologia di clochard: il “lavoratore senza dimora”. Persone che un lavoro ce l’hanno. Ma non gli basta.
Cristina Avonto è la presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, attiva dal 1985 e parte della Federazione europea che riunisce le associazioni nazionali.
“Sicuramente c’è in Europa un innalzamento nel numero delle persone senza dimora come tendenza generale. C’è però anche un problema di rilevazione statistica. In Italia ad esempio gli ultimi dati ufficiali sono quelli dell’indagine Istat che abbiamo realizzato insieme al ministero del lavoro nel 2014. Noi poi facciamo costantemente un monitoraggio attraverso le nostre associazioni. Da questo monitoraggio rileviamo un leggero aumento: circa il 10% in più negli ultimi 3 anni. Un dato tutto sommato confortante rispetto ad altri paesi europei”.

Perché in Europa aumentano i senza dimora?
“C’è stata una tendenza in molti paesi a puntare su politiche attive del lavoro molto legati a valorizzare alte competenze. Una tendenza in atto in tutta Europa verso la quale noi siamo molto critici. La Commissione europea ha indirizzato gli investimenti dei suoi fondi o su una base di pura beneficenza (beni materiali, coperte, vestiti, cibo) oppure su politiche molto distanti di alte competenze rispetto alla possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. Tutto quello che sta in mezzo sa questi due estremi non è stato considerato. In questo modo si lascia indietro, si marginalizza tutta una fascia di popolazione che non riesce a stare dentro queste richieste”.
Quali strumenti concreti mette a disposizione Bruxelles?
“Esistono dei fondi stanziati che poi ogni stato gestisce a proprio modo. E su questo esiste una grandissima difformità. L’attenzione nei vari paesi si è concentrata però sulle erogazioni a livello di beneficenza, che quindi non sono legate a politiche attive per favorire il reinserimento sociale”.
E in Italia?
“L’Italia da questo punto di vista ha fatto uno scelta molto positiva. Quella di legare due fondi: da una parte per le politiche attive, di sostegno attivo al reinserimento, anche in chiave abitativa; dall’altra per gli aiuti materiali immediati. Quindi, abbiamo due fondi che lavorano insieme, legando questi due fondamentali aspetti”.
L’aumento dei senza dimora è legato all’aumento delle disuguaglianze sociali?
“Sicuramente sì. C’è un grandissimo aumento. Oltre ai cronici, che restano i strada per molti anni, ci sono quelli che definirei lavoratori intermittenti. Quindi lavoratori occasionali, a bassissimo reddito, che non risultano nemmeno nelle statistiche dei disoccupati. Lavorano per pochissimi giorni all’anno e con un reddito talmente basso che non permette loro di mantenere una condizione stabile di vita”.
Chi sono i nuovi clochard?
“Ci sono sicuramente le donne, in particolare donne vittime di violenza famigliare. Sono in grandissimo aumento nella popolazione che vive per strada. E poi c’è un aumento dei giovani. Sono dati che certamente legano il fenomeno all’aumento delle disuguaglianze sociali soprattutto delle capacità reddituali, la possibilità di mantenere il proprio reddito di vita costante nel tempo e a un livello sufficiente per potere mantenere una stabilità. Quindi, lavoratori senza dimora, lavoratori che non riescono a permettersi una stabilità abitativa”.
Questo articolo è stato pubblicato da Radio Popolare il 20 febbraio 2018

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