Teresa Noce: ha fatto la cosa giusta e pazienza se non è quella che paga di più

21 Ottobre 2017 /

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di Silvia Napoli
Ci sono figure storiche che nonostante l’eterno, fluido e smemorato presente in cui abitiamo, trovano la strada per venire ricorrentemente a bussare alle nostre porte per proporci di uscire fuori dal luogo comune e fare entrare aria fresca nelle stanze.Una di queste è la certamente sottovalutata, ma non per questo meno mitica “compagna Estella”, una pasionaria tutta italiana con biografia decisamente di profilo “internazionale”, spesa tutta in prima linea e in primo piano, sui molteplici fronti di lotta da un conflitto mondiale all’altro.
Stiamo naturalmente parlando di Teresa Noce,classe 1900, donna tra i padri fondatori del Partito comunista italiano prima, madre costituente in seguito, agitatrice e formidabile organizzatrice sindacale sempre, ma anche tante altre cose ancora, compreso essere nel ruolo, quanto mai scomodo nel suo caso, di moglie ripudiata a sua insaputa, di Luigi Longo, a lungo comandante Gallo e figura iconica nella Guerra di Spagna e nella vicenda comunista del dopoguerra, nonché madre premurosa e responsabilizzante assolutamente sui generis, di due figli maschi tuttora viventi.
Il merito di una proficua riscoperta,della vita e delle opere di una donna rigorosa e disciplinata eppure costantemente fuori da ogni schema come lei, è della battagliera casa editrice indipendente Red star press di Roma, che da qualche anno sotto la guida editoriale di Cristiano Armati, si è messa in mente di ripescare saggistica e memorialistica che riguardino tempi di pensiero forte, nell’intento non già di rivisitare un nostalgico come eravamo, ma di verificare quanto intuizioni e aspetti pratico-teorici rimasti in sottotraccia o letti in maniera mistificata oppure ancora frettolosamente mainstream, possano offrire ancoraggi intellettuali in epoca liquida e soprattutto di decostruzione sociale.

Dobbiamo a questo punto precisare, che Rivoluzionaria Professionale, è una autobiografia di Noce, portata a compimento nel febbraio del 73, quando la nostra, dopo altre prove autorali di buon successo, compresa una curiosa incursione nel mondo della fantascienza con il libro per l’infanzia dedicato a Laika, cagnetta spaziale, anche questo in via di ripubblicazione per i tipi di Redstar, vive ormai ritirata, ma non inattiva, nella sua casetta milanese e può, guardandosi indietro, tentare un compendio di oltre 500 pagine di questa galoppata a perdifiato per i sentieri della Storia del mondo occidentale nel secolo breve, che è stata la sua esistenza fino a quel momento.
Già, perché Noce, non ci pensa neppure a fare un bilancio di ciò che è stato, quantomeno come esperienza chiusa, ma assume dialetticamente e ironicamente i termini di una vicenda che più identitaria non si può, tra la definizione che danno di lei i famigliari dell’allora fidanzato Longo, impegnati in una faticosa ascesa dal mondo contadino alla piccola borghesia ai primordi del secolo scorso, come di “brutta, povera e comunista” e la scherzosa intenzione finale di riscriversi alla gioventù comunista.
In questo piglio alla Via col Vento, sta tutto il senso di una storia vera che si lascia divorare come un romanzo d’avventure, di quelli belli vorticosi, in cui non c’è tempo davvero di annoiarsi, ma nello stesso tempo, grazie all’assenza di vezzi narcisistici da parte dell’autrice, ci lascia invece agio di incuriosirci su accadimenti e personaggi davvero larger than life.
Del resto il titolo stesso, di derivazione leninista, ma assunto in forma dinamica ed esistenziale, ci catapulta subito in medias res, cioè nel senso di una vita spesa non tanto tra intrighi, burocrazie, carriere di funzionar iato, quanto nel perseguimento di una giusta causa, che si delinea nell’azione e nel confronto costante, nello stare senza incertezze dentro le cose, chiamandole con il loro nome e senza illusioni fideistiche.
Questo libro che è anche uno straordinario romanzo di formazione e un inno alla vita, un possibile livre de chevet, per ogni ragazza consapevole di oggi oltre lo stereotipo della bad girl o della ribelle senza causa, un libro anche inconsapevolmente di empowerment,se ne frega bellamente di diverse categorie letterarie, contenendo già in se molteplici ipotetiche sceneggiature cinematografiche e molti sottogeneri, ma anche del rischio “sollevamento –dibattito di lana caprina”, come per esempio, quello che verta sullo stabilire il tasso di femminismo della nostra eroina.
Infatti Noce, del tutto insofferente al lavoro politico sul femminile, finirà, per nostra fortuna, a portare avanti battaglie durissime e di successo sul fronte del diritto alla maternità sia sul piano parlamentare che sindacale, riuscirà, senza pomposi supporti teorici a intravedere come esista, al di là dei grandi blocchi egemonici di classe, una questione tutta aperta ( a maggior ragione oggi), di strati sociali e mondi “poveri”, che godono di meno rappresentanza e tutele, come appunto donne e giovani: del resto lei stessa era stata giovanissima povera e sola in una plumbea Torino dai tratti dickensiani. Da qui, la sua esigenza di ricercare l’unità, quando invece nelle punte più avanzate di elaborazione di tanta sinistra si è spesso perseguita, anche necessariamente peraltro, una politica di distinguo e di separazione, che oggi vorremmo in tanti trovare la formula per superare.
Noce non è donna da autocoscienza o da languori autoreferenziali, ma questo non significa non sia introspettiva o sensibile, o ancora preda di dubbi laceranti, trovandosi spesso in situazioni limite già, per esempio, nella sua lunga prima parte di vita clandestina,: le decisioni vanno prese in fretta e spesso in solitudine e senza un quadro di riferimento chiaro, oppure ancora, in una drammatica ricerca di collegialita quando la posta in gioco è la brutale sopravvivenza come nel campo di concentramento nazista.
Noce tuttavia, miracolosamente, forse perché abituata a cavarsela da un’età in cui di solito si gioca con le bambole, forse perché appunto, il grande noi del partito va bene, ma poi esiste un largo margine di discrezionalità di coscienza che nessuna propaganda riesce almeno ai quei tempi a varcare e minare, riesce sempre a tenere distinti eppure in costante comunicazione emisfero destro e sinistro, freddezza razionale ed empatia umana, cosi da apparirci in filigrana come la ragazza self confident che sa il fatto suo più che la fedele militante tutta d’un pezzo.
Nessuna più di lei si affida al valore emancipatorio della cultura e considera, scrivendo, di fare opera pedagogica più che espressiva o artistica, nessuno rischia e rimette anche di tasca propria tanto come lei, per un pacco di materiali a stampa, per una copia di giornale, per un libro commemorativo, tuttavia nel suo caso, nonostante le lunghe e diversificate permanenze sovietiche, siamo comunque lontani anni luce dall’idea del martellare ideologico sulle coscienze. Siamo invece dalle parti del fatto identitario e lo vediamo quando si “dimentica” di assumere come propri i fervorini finali d’obbligo su qualsiasi volantino o elzeviro indirizzati al compagno Stalin o al compagno Togliatti.
Lo vediamo quando rifiuta sulle battaglie che contano, qualsiasi autocritica o arretramento, senza nessun complesso minoritario, lei cosi fidata da accettare missions impossibile di qualunque natura e da sopportare lei cosi modesta, travestimenti o vestimenti di fortuna che comportano di diventare bionda, mettersi pelliccia e mutande da uomo, dormire ovunque e con chiunque.
L’assenza del tutto inaspettata per chi legge, di pregiudizi razziali e religiosi, le rende, ovunque si trovi, scorrevoli i rapporti umani, basati sostanzialmente sulla fiducia, a dispetto della clandestinità, piuttosto che su una supposta faziosità e sospettosità militante . Si rasenta addirittura il candore quando si tratta di donne, per le quali la nostra eroina nutre una solidarietà difficile da immaginare altrimenti, che si accompagna ad un istinto di protezione verso le più giovani e ad una sana sospensione di giudizio nei confronti delle rivali in amore.
Noce non ha bisogno insomma di recitare, tra i tanti ruoli che incarnerà, quello della compagna Ninotchka perché perfettamente in grado di essere a suo agio nella villa francese dell’ambiguo magnate ebraico come nelle riunioni internazionaliste moscovite, di sedersi su un tappeto a Taskent, come di scegliere a colpo sicuro come comandante di brigata il valoroso Ilio Barontini in Spagna, di fare una perigliosissima incursione oltre le linee franchiste in piena notte, di esortare gli sfollati a resistere e sopportare il fischio delle bombe in quel di Barcellona, per poi confessare di non aver chiuso occhio lei in primis per l’adrenalina e la paura.
Una vita sopra le righe insomma senza autocompiacimenti, in cui le tocca anche fare da coperta di Linus per i compagni che ogni tanto “scoppiano” per gli stenti e le mancanze affettive e dunque lei non può permettersi di andare in crisi nonostante la dolorosa lontananza dai figli e dall’amato marito, perché non ne ha materialmente il tempo. Il libro ci consegna, come avrete capito, tutti gli affascinanti paradossi, di questa vita che ne contiene tante, come questo di essere una partigiana internazionalista, senza aver sparato un sol colpo di fucile o tanto meno essere stata sulle nostre montagne o nella retorica della staffetta in bicicletta.
Noce, con il suo pacifismo intrinseco, ma con il senso preciso della prassi e della necessità storica, sembra persino sciogliere le tensioni tra avanguardia e lotta di massa, tra individui e collettività, tra forme diverse di illegalità e lotta armata. perché Noce anche senza medaglie è sempre stata una dirigente a tutti gli effetti e riconosciuta come tale con una naturalezza che sorprende.
La filosofia di genere della nostra eroina sta tutta in quell’articolo che scriverà per noi Donne, che pure inizialmente non apprezzava tanto, come strumento politico, sul valore pregnante per le Donne del dire no, a chiunque, ovunque, in famiglia, nel lavoro e anche nel Partito e anche se segretario e marito dovessero essere figure coincidenti.
E sarà sostanzialmente su un No di questo tipo, dopo i tanti si che aveva detto anche rispetto a quell’esotico Estella,nome di battaglia che le era rimasto addosso e che lei vedeva adatto ad una donna ben più fascinosa, passando per gli incarichi più gravosi e spinosi, quelli che nessuno ambisce ricoprire,che sostanzialmente si chiuderà la parabola pubblica di Noce.
Lei che appunto, da timida sartina autodidatta e bistrattata era in fondo riuscita a costruire una carriera, per quanto lei non avrebbe amato questo termine,persino a sposare il “capo” e in fondo a tenere in piedi la famiglia, lei che sapeva tener testa ai compagni sovietici di primissimo piano e persino a Togliatti stesso, assume fino in fondo la coerenza del rifiuto di un divorzio posticcio e imposto, che vero divorzio non è, rendendo oltretutto pubblico lo scandalo e tirando in ballo gli organi di controllo del Partito, con un’altra delle sue mosse sorprendenti e difficili da decifrare in tutti i loro aspetti ad una lettura attuale.
Questo atto cosi forte e inusuale, di cui è bene non rivelare troppo, che lei vedeva “politico”, avrà una risposta altrettanto politica ma di segno opposto a quello che lei si prefigurava: si sancisce in fondo la fine di due grandi amori per la nostra. Ma non la fine della Politica, non la fine della creatività e della vitalità. Ecco che da manuale di empowerment per ragazze consapevoli, il libro si trasforma in self help per donne mature e sole: esemplare in questo senso la risposta a precisa interrogazione in merito, che Estella ammannisce al nipotino sul finire del libro.
Non stupisce a questo punto, che tra le numerose e introvabili edizioni di questa avvincente biografia, cosi importante perché arricchisce anche di spunti insoliti l’ormai codificato genere autobiografia femminile e perché in parte si discosta anche dalle storie di altre figure di militanti, sindacaliste, partigiane, ce ne sia una che inserisce nella prefazione, gli stralci di una lunga intervista.
Si tratta di una illuminante intervista ad una divertita Noce in versione botanica e casalinga, che volle realizzare Camilla Cederna, la più radical chic e attenta al tema dei diritti civili, tra le giornaliste italiane della sua generazione, probabilmente colpita come noi, dall’ordinaria eccezionalità di questa figura, che considerava tutte le donne comunque compagne a prescindere dalla fede politica e che tuttavia non si è mai sentita esemplare in questo senso, perché aveva intuito come le culture e le differenze siano tante, anche tra le donne.
Oggi, se dovessi intervistarla io,credo la interrogherei sui mille titoli di film che potrei appioppare come sottotitolo al bellissimo e magnetico titolo ufficiale, che peraltro non era stato quello scelto da lei in prima battuta: credo infine ci si potrebbe accordare su uno sbrigativo monito valido per tutte le generazioni: fa’ la cosa giusta, pazienza se la cosa giusta non è quella che paga di più.

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