La Costituzione per l'uguaglianza e la democrazia

12 Ottobre 2017 /

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di Roberta Mistroni
La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica italiana. È stata approvata dall’Assemblea Costituente della Repubblica il 22/12/1947 ed è entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. Il testo comincia con 12 articoli che definiscono i principi fondamentali e prosegue con l’enunciazione dei diritti, doveri e libertà dei cittadini (artt.13-54) suddivisi in quattro parti: sui rapporti civili, etico-sociali, economici e politici. La seconda parte della Costituzione è dedicata all’ordinamento dello Stato (artt.55-139) ed è suddivisa in 6 titoli: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il governo, la magistratura, le regioni, le province e i comuni e le garanzie costituzionali.
La nostra Costituzione ha, tra le altre, due caratteristiche fondamentali:

  • 1. è una Costituzione rigida nel senso che la sua revisione non può essere effettuata con legge ordinaria, ma solo con una legge che preveda una procedura di approvazione rafforzata, cioè con una procedura più complessa di quella prevista per le leggi ordinarie al fine di assicurare una maggiore ponderazione (vedi art.138).
    Purtroppo la rigidità della nostra Costituzione da molti anni è stata superata con l’introduzione di numerose leggi ordinarie che, pur non modificandola formalmente (d’altra parte non sarebbe stato possibile!), l’hanno fatto materialmente. Ritorneremo tra poco su questo argomento;
  • 2. è una Costituzione sociale nel senso che nella prima parte non si limita ad affermare i diritti e le libertà dei cittadini ma si impegna a garantirli e a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla loro applicazione: art.2 – la Repubblica riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell’uomo; art.3 – tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge .. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedisce il pieno sviluppo della persona umana; art.4 – la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
    Gli articoli citati sono solo un’esemplificazione del carattere sociale della nostra Costituzione. In realtà tale carattere si evince da molti altri articoli contenuti nei principi fondamentali e nella prima parte, su molti dei quali ci soffermeremo tra poco.


Rapporti economici (artt.35-47)
Questo titolo prende in considerazione il cittadino nella sua vita lavorativa e tratta anche gli argomenti connessi dell’assistenza sociale, dell’impresa e della proprietà.
Lavoro e retribuzione
Premesso quanto affermato negli articoli 1 (la Repubblica democratica è fondata sul lavoro), 3 (…effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese) e 4 (la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro), facenti parte dei principi fondamentali), la Costituzione tratta del lavoro con particolare attenzione perché i costituenti hanno ritenuto il lavoro elemento privilegiato per la democrazia nel Paese. Il lavoro promana dagli uomini e dalle donne che sono cittadini a tutti gli effetti, esso non è quindi una merce da sfruttare e comprare al prezzo più basso.
I lavoratori come tali hanno diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione:

  • 1. art.35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.” Non esistono lavori di serie A o di serie B perché tutti i lavori sono forniti da uomini e donne che in base all’art.2 hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge.
    “La Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.” Ciò significa che la Repubblica dovrebbe occuparsi di fornire corsi professionali efficienti ai lavoratori al fine di adeguare la loro preparazione all’evoluzione del mercato del lavoro e dei sistemi produttivi.
    Non si deve assolutamente confondere questo impegno che la Costituzione affida alla Repubblica con l’alternanza scuola-lavoro introdotta con la riforma del sistema scolastico del governo Renzi perché la funzione fondamentale della scuola di ogni ordine e grado è di formare culturalmente i giovani studenti e non di fornire a imprese o uffici un certo numero di lavoratori part-time gratuitamente;
  • 2. art.36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.” L’articolo in questo primo comma è chiarissimo: poiché il lavoro non è una merce da pagare il meno possibile, deve essere retribuito non solo in base a quantità e qualità, ma anche in modo da assicurare a lavoratore e famiglia un’esistenza dignitosa. Come la mettiamo con quanto afferma questo articolo e la riforma sul lavoro denominata Jobs Act (governo Renzi)? Con questa riforma infatti è stato codificato il precariato, tra l’altro già introdotto da norme precedenti, con la giustificazione che lo richiede il mercato. Precariato vuol dire che il lavoratore, assunto a tempo determinato (anche solo qualche mese), non ha più la sicurezza del posto di lavoro ed è spesso retribuito con cifre irrisorie. Da ciò deriva che non potrà certo ricevere una retribuzione che assicuri a lui e famiglia una vita libera e dignitosa. Ancora una volta ci rendiamo conto di come sia sempre più disattesa la Costituzione.
    L’art.36 afferma anche che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite alle quali non può rinunciare. Nella realtà purtroppo anche questa affermazione è spesso disattesa, sia perchè con il precariato imperante è ben difficile parlare di riposo settimanale e di ferie, sia perché spesso i datori di lavoro esigono dai lavoratori rinunce sotto la minaccia del licenziamento. Il licenziamento, tra l’altro, è diventato molto più semplice per il datore di lavoro che anche se licenzia senza giusta causa non può essere obbligato a riassumere ma solo a pagare un indennizzo;
  • 3. art.37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. L’affermazione di questo articolo è molto importante perché evidenzia l’importanza dell’equità di genere nel mondo del lavoro, equità di genere che la Costituzione aveva già affermato nell’art.3 secondo il quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, .”. Riaffermare questo principio nel mondo del lavoro è fondamentale perché, nonostante le leggi vietino discriminazioni, di fatto la differenza di trattamento tra uomini e donne è sempre presente.
    Lo Statuto dei lavoratori (legge del 1970) era ben chiaro su questo tema così come su tanti altri riguardanti i diritti dei lavoratori (retribuzione, diritto al riposo, parità uomo donna, licenziamento, durata dell’orario di lavoro ecc. ecc.). Purtroppo il contenuto di tale legge è stato di fatto annullato dall’introduzione di altre norme sul lavoro non rispettose degli articoli della Costituzione;
  • 4. art.38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Con queste parole la Costituzione vuole ribadire il suo contenuto sociale in quanto nessun cittadino può essere abbandonato a sé stesso se per cause indipendenti dalla sua volontà viene a trovarsi nell’impossibilità di provvedere alle proprie necessità. Si tratta di un principio di giustizia che oggi non si può certo affermare che sia osservato come previsto dalla Costituzione.
    L’art. 38, nel secondo comma allarga il principio di giustizia sociale per i lavoratori affermando che essi hanno diritto a vedersi assicurati “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Quest’affermazione mette in rilievo l’importanza di un sistema pensionistico adeguato e di un sistema di sicurezza sociale capace di difendere il lavoratore in caso di malattia o infortunio. Ai compiti previsti dall’art.38 devono provvedere organi predisposti o integrati dallo Stato: si tratta di compiti essenziali che non possono essere lasciati ad organizzazioni private. È evidente che la riforma pensionistica detta “Fornero” del governo Monti e la riforma del Jobs Act (innalzamento dell’età pensionabile, precariato con chiara impossibilità di maturare un minimo di contributi per una pensione decente ecc. ecc.) hanno allontanato in modo inqualificabile la realtà oggi esistente in Italia dal dettato costituzionale. Non dimentichiamo inoltre la recente introduzione dell'”APE”, cioè di un sistema che permette di lasciare il lavoro anticipatamente (a 63 anni) rispetto alla normativa vigente con una pensione ridotta ottenendo però da una banca un mutuo ventennale alla cui restituzione, in caso di premorienza, dovrebbe provvedere una compagnia di assicurazione il cui premio sarebbe comunque pagato dal lavoratore. Se così si applicherà l’APE vorrà dire spese per il lavoratore e aumento dei guadagni di banche e assicurazioni.
    Molto di più si potrebbe dire sul problema della difesa costituzionale del lavoro e di come tale difesa sia completamente disattesa nella realtà. Se per tutti gli anni sessanta e settanta del secolo scorso si è assistito ad un avanzamento di grande rilievo nell’emanazione di leggi ordinarie tendenti ad applicare la Costituzione (legge sulla parità uomo donna, sui licenziamenti individuali, statuto dei lavoratori ecc. ecc.), da più di un decennio si assiste invece ad un pericolosissimo arretramento. È come se la Costituzione non esistesse, come se le leggi ordinarie non dovessero ad essa uniformarsi.
    Ciò che si chiede quindi non è solo la difesa della Costituzione, bensì la sua integrale applicazione. La reintroduzione dello Statuto dei lavoratori o di una legge equivalente, di un sistema pensionistico che garantisca una vita dignitosa, tagliando anche le pensioni più alte e i vitalizi indecenti che oggi vengono erogati a molti creando privilegi costituzionalmente inaccettabili, sarebbe il minimo per rientrare almeno in parte nei parametri definiti dal principio di uguaglianza.

Proprietà e iniziativa economica
La Costituzione, pur dando al lavoro un particolare rilievo, riconosce il diritto di proprietà e di iniziativa economica pur ponendo limiti e regolamentazioni al fine di assicurarne sempre l’utilità sociale.

  • 1. Art.42: “La proprietà è pubblica e privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”. Già da questo primo comma dell’articolo si evince che la proprietà pubblica di beni economici ha lo stesso rilievo della proprietà privata. Subito dopo però si afferma che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” che però ne stabilisce anche “i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Si dice quindi che il diritto alla proprietà privata è un diritto relativo perché limitato dall’interesse sociale mentre il diritto al lavoro è un diritto assoluto cioè non comprimibile per alcun motivo.
    La proprietà privata infatti può essere espropriata nei casi previsti dalla legge, salvo indennizzo, per motivi di interesse generale (ad esempio la costruzione di una strada, o di una scuola, o di un ospedale ecc. ecc.).
  • 2. art.43: “Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente, o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Quest’articolo è importantissimo e spiega perché nel passato imprese e fonti energetiche di particolare importanza fossero pubbliche. Parliamo, per fare solo alcuni esempi che tutti conosciamo, delle Ferrovie dello Stato, dell’azienda dei telefoni, dell’energia elettrica e dell’acqua. Si tratta di quelli che chiamiamo beni comuni perché di interesse generale. La proprietà e la gestione di tali imprese o fonti energetiche non doverebbero essere volte a produrre un profitto perché sono beni di interesse dell’intera collettività: in sintesi il bilancio di queste imprese dovrebbe essere semplicemente in pareggio o, se in disavanzo, giustificato dell’interesse a fornire un servizio sottocosto affinchè sia accessibile anche alle classi disagiate. In questo caso il disavanzo dovrebbe essere coperto con le imposte progressive (si rimanda allo scritto su uguaglianza e sistema fiscale).
    Oggi, si assiste purtroppo ad una completa inversione di tendenza cioè imprese pubbliche e fonti di energia o beni essenziali sono stati privatizzati in nome della cosiddetta “legge di mercato” ovvero della necessità di diminuire il debito pubblico, che però non è affatto diminuito. La gestione dei beni pubblici deve essere efficiente. Ciò significa che o si raggiunge il pareggio di bilancio nella gestione del servizio o, se c’è disavanzo, ciò deve essere giustificato da scelte di politica economica e sociale, e il disavanzo deve essere coperto dalle imposte come abbiamo già detto. Si afferma, per dare spazio al neoliberismo, che il mercato deve essere lasciato libero e così si ha efficienza!!!!! l’efficienza non dipende da chi è il proprietario, dipende dal tipo di gestione!! E intanto le disparità sociali crescono sempre più.
  • 3. art.41: “L’iniziativa economica private è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità. La legge determina i programmi e i controlli perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Il testo di quest’articolo ci dice che in Italia chiunque può iniziare un’attività economica, ma quest’attività non deve mai essere in contrasto con l’interesse sociale e non deve arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità: ovviamente non si può svolgere un’attività, ad esempio, di produzione o smercio di marijuana, o di traffico di persone, o di prostituzione ecc. ecc.
    Tutto ciò sembra molto ovvio, ma sappiamo bene che di fatto molte di queste attività esistono.
    L’articolo però non si limita ad affermare come “non deve essere l’attività economica”, ma afferma un altro principio fondamentale, oggi quasi completamente disatteso: ci dice che la legge definisce programmi e controlli affinché essa, pubblica o privata, sia indirizzata a fini sociali. In definitiva l’attività economica, fondamentale per lo sviluppo dello Stato, non può essere organizzata semplicemente per determinare il massimo profitto ma deve avere una funzione che vada a vantaggio dell’intera collettività. Da ciò deriva l’importanza che avrebbe per la buona organizzazione dello Stato una seria politica industriale attuata dallo Stato con la quale indirizzare le attività economiche verso produzioni ecologicamente e socialmente utili, ovvero da svolgere in zone più arretrate del Paese sfruttando le risorse economiche del luogo. La politica industriale in Italia è stata fatta a lungo, ma oggi praticamente non esiste più: lo Stato ritiene di non doversi occupare delle attività economiche dei privati (libero mercato!) e di non dover gestire proprie attività economiche anzi, come abbiamo già fatto osservare, preferisce dismettere quelle che erano in suo possesso.
    Ancora una volta vediamo come la Costituzione sia disattesa e di conseguenza cosa invece si dovrebbe fare per attuarla.

Rapporti civili (artt.13-28)
Il titolo 1 della Costituzione considera il cittadino come persona singola dotata di vari diritti ispirati in particolare al principio di libertà. Sono di particolare rilievo i diritti di associazione, di manifestazione del proprio pensiero. Ci soffermiamo su alcuni di questi.
Libertà del cittadino
Gli articoli dal 13 al 16 affermano alcune libertà che non possono mai essere negate al cittadino:

  • 1. art.13: libertà personale (ogni eventuale intervento volto a limitarla deve essere autorizzato dall’autorità giudiziaria, salvo casi eccezionali indicati dalla legge),
  • 2. art.14: inviolabilità del domicilio (non sono ammesse ispezioni o perquisizioni se non nei casi e nei modi previsti dalla legge e con autorizzazione giudiziaria),
  • 3. art.15: libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione: la sua limitazione può avvenire solo per atto motivato dall’autorità giudiziaria, come, ad esempio nel caso delle intercettazioni telefoniche che devono sempre essere autorizzate,
    4. art.16: libertà di circolazione e soggiorno nel territorio nazionale salvo limitazioni stabilite dalla legge (nessuna restrizione è ammessa per ragioni politiche).

Diritti inerenti i rapporti civili
Si tratta di diritti riconosciuti al cittadino in quanto persona indipendentemente dai rapporti che può stringere con altri.

  • 1. art.17: in quest’articolo si definisce il diritto del cittadino a partecipare a riunioni in luogo pubblico o in luogo aperto al pubblico. Qual’è la differenza tra i due luoghi? Il luogo pubblico è un luogo in cui tutti, anche per caso possono venirsi a trovare, come ad esempio una piazza, per luogo aperto al pubblico invece si intende un luogo chiuso dove per partecipare è necessario voler entrare, come ad esempio un teatro o una sala,
  • cinematografica. Solo per manifestazioni in luogo pubblico è richiesto preavviso ed eventuale autorizzazione per motivi di incolumità pubblica e sicurezza,

  • 2. art.18: si parla di una libertà fondamentale, quella della libertà di associazione senza bisogno di alcuna autorizzazione salvo che per fini vietati ai singoli da leggi penali. La libertà di associazione è fondamentale anche per la formazione di comitati, corpi intermedi in generale come sindacati (art.39) o partiti politici (art.49),
  • 3. art.21: la libertà di pensiero e di manifestazione del proprio pensiero con qualsiasi mezzo (parola, scritto ecc. ecc.) è garantita da quest’articolo. È chiaro che è qui contemplata anche la libertà di stampa che non può essere soggetta ad autorizzazioni o censura salvo per atto motivato dell’autorità giudiziaria a nei casi di delitti specificamente previsti dalle leggi.
    La libertà di pensiero e di diffusione del pensiero è uno dei cardini portanti della democrazia. Dove la diffusione del pensiero ed in particolare la stampa è sottoposta a divieti o comunque a controlli e censura, non c’è democrazia: purtroppo questo accade in molti Paesi. Occorre rilevare che la libertà di manifestare il proprio pensiero è di fatto limitata dal prevalere di mezzi di comunicazione di massa dipendenti direttamente o indirettamente dal potere politico dominante. Viene così compromesso il pluralismo dell’informazione, cosa particolarmente grave nel caso del servizio pubblico radiotelevisivo, controllato da una dirigenza nominata dal potere politico.

Rapporti etico-sociali (artt.29-34)
Il titolo 2° della Costituzione è dedicato ai diritti che il cittadino ha non tanto come singolo ma in quanto membro di una comunità (la famiglia) ovvero legato da situazioni particolari ad altri soggetti (cura della malattia, istruzione). Ci soffermiamo su famiglia, salute e istruzione.
Famiglia
La Costituzione dedica gli artt.29, 30 e 31 alla famiglia riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio (art.29). Oltre a definire quali sono i diritti e doveri dei genitori per quel che riguarda i figli (art.30), nell’art.31 si afferma quale sia il dovere della Repubblica per favorire la formazione della famiglia. Tale dovere dovrebbe essere assolto con misure economiche e altre provvidenze. È proprio su questo punto che lo Stato italiano da molto tempo è gravemente mancante con particolare riferimento alla protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù. Mancano infatti servizi sociali adeguati alle necessità delle classi meno agiate oltre ad una politica salariale che non incentiva certamente la formazione delle famiglie.
Salute
Art.32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Questo primo comma mette in evidenza un punto fondamentale: la salute dell’individuo deve essere tutelata non solo perché è un diritto fondamentale, ma anche perché è un interesse collettivo. Cosa significa ciò? Significa che per la Costituzione la salute della collettività rappresenta un fattore di altissimo rilievo per lo sviluppo della società intera. Una collettività che gode di buona salute e che, in caso di malattia, è bene assistita da un sistema sanitario efficiente, è più produttiva e più consapevole dello sviluppo socio-economico dello Stato.
Affinché quanto affermato si possa realizzare e al fine di applicare il principio di uguaglianza è necessario che il sistema preveda cure gratuite per i non abbienti. Si tratta di un evidente principio di giustizia sociale che in Italia con la riforma sanitaria del 1978 era stato in parte applicato, ma in tempi relativamente recenti con l’introduzione di ticket sempre più elevati per esami clinici e cure ospedaliere, oltre alla riduzione del numero di farmaci e esami mutuabili, di fatto le cure gratuite ai meno abbienti sono un lontano ricordo. In definitiva la sanità pubblica è il primo settore che viene sacrificato quando viene tagliata la spesa pubblica creando così una discriminazione insanabile tra classi agiate e classi disagiate, contravvenendo al principio di uguaglianza. Sarebbe possibile riapplicare il principio di giustizia sociale? Evidentemente si, basterebbe applicare il principio della progressività del sistema fiscale come previsto dall’art.53.
Istruzione e insegnamento
L’istruzione e l’insegnamento rappresentano due punti molto delicati, da trattare con particolare attenzione e riflessione perché da essi dipende la formazione delle future generazioni, formazione come cittadini membri di una collettività e di riflesso come lavoratori consapevoli dei propri diritti e della propria funzione per lo sviluppo del Paese.
Prima di tutto esaminiamo come la Costituzione si occupa dell’insegnamento e di come e da chi esso debba essere impartito. Ci occupiamo poi della scuola che non è solo il luogo in cui viene impartita l’istruzione pubblica, cioè in cui i giovani ricevono l’insegnamento, ma è l’insieme delle strutture e delle persone che a ciò si dedicano.

  • 1. art.33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.” Quelli citati sono i primi due commi dell’articolo e con essi si affermano due punti fondamentali: lo Stato ha l’obbligo di organizzare scuole di ogni ordine e grado (vale a dire dall’asilo all’università), di emanare le norme generali per il loro funzionamento e di fornire l’insegnamento che comunque è libero. Insegnamento libero significa “libertà d’insegnamento”, cioè gli insegnanti non sono vincolati a insegnare secondo un certo credo o una certa dottrina: l’unico vincolo è rappresentato dalle norme generali di comportamento (ad esempio non entrare in classe con armi (nel passato è successo!!!) o per fare semplice propaganda ovvero contravvenendo a norme del buon costume ecc. ecc.). La libertà di insegnamento garantisce la laicità della scuola e favorisce il confronto delle idee.
    Il terzo comma dall’articolo è ugualmente importantissimo: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In questo comma si afferma un principio di particolare importanza: la scuola pubblica è organizzata a spese dello Stato o altro ente pubblico, ciò non toglie il diritto ai privati di organizzare scuole o istituti ma le spese relative non possono ricadere sullo Stato che non deve finanziare in alcun modo l’istruzione privata: chi vuole iscrivere i figli ad una scuola privata ne deve pagare la retta. Anche su questo punto oggi la Costituzione sembra che sia stata dimenticata. Troppo spesso infatti si assiste a forme dirette o indirette di finanziamento delle scuole private: dirette vuol dire finanziamento, almeno in parte, delle spese di organizzazione, indirette vuol dire contributi alle famiglie che intendono iscrivere i loro figli ad una scuola privata. Non dimentichiamo tra l’altro che le scuole private non garantiscono mai la laicità dell’insegnamento essendo finanziate da enti religiosi, o istituzioni culturali od economiche particolari;
  • 2. art.34: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.” Quelli citati sono il primo e il secondo comma dell’articolo e ci fanno presente che l’accesso alla scuola pubblica non ammette discriminazioni in ottemperanza al 1° comma dell’art.3 della Costituzione e che l’istruzione deve essere gratuita per almeno 8 anni, vale a dire, in seguito all’evoluzione della società, finché si ritiene utile per la collettività intera l’elevazione culturale dei cittadini. Oggi, ad esempio, l’obbligo scolastico è stato elevato ai 16 anni. Ci si può chiedere, in che modo lo Stato può coprire i costi sostenuti per fornire l’istruzione obbligatoria gratuita? Poiché l’innalzamento culturale dei cittadini è ritenuto un vantaggio per l’intera collettività, il costo della produzione del servizio deve essere pagato dall’intera collettività attraverso il pagamento di imposte progressive. Superata la scuola dell’obbligo il servizio dell’istruzione fornito dallo Stato prosegue ma, poiché si ritiene che livelli più elevati di istruzione siano un vantaggio individuale del cittadino, oltre che un vantaggio per la collettività, il costo del servizio sarà coperto in parte dalle tasse che i singoli richiedenti sono chiamati a pagare e in parte dalle imposte che ricadono su tutti i cittadini. Ci si chiede a questo punto: se un cittadino ha buone capacità per innalzare il suo livello culturale e lo desidera ma non ha i mezzi economici per pagare le tasse di iscrizione o per pagare i libri come si può fare? Ancora una volta la Costituzione ci viene in aiuto. Infatti il 3° comma dell’art.34 afferma “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Affinché questo si realizzi l’articolo prevede che lo Stato conceda borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze da attribuire per concorso.
    Ancora una volta la Costituzione mostra come si dovrebbe procedere per rendere effettiva l’uguaglianza e realizzare la giustizia sociale.

Conclusioni
Si potrebbero analizzare molti altri articoli della Costituzione oggi disattesi quasi non esistessero. Ci siamo limitati a quelli che, a nostro avviso, presentano un maggior rilievo nella vita quotidiana dei cittadini. Si poteva prendere in considerazione l’art.53 contenuto nel titolo IV “Rapporti politici”, relativo alla progressività del sistema tributario, ma per questo argomento rimandiamo ad un lavoro già scritto.
Così pure si poteva trattare tutta la parte seconda della Costituzione relativa all’ordinamento dello Stato (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura, Regioni, Province e Comuni, Garanzie Costituzionali). Ci si sarebbe resi conto che anche su questa parte la Costituzione è largamente disattesa e che la sua mancata applicazione si è via via accentuata. Questo argomento però richiederebbe una sua trattazione particolare e approfondita perché coinvolge moltissimi problemi quali il rapporto Parlamento-Governo, il sistema elettorale, la formazione delle leggi, la funzione della Magistratura, il decentramento dello Stato ecc. ecc.

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