Carpisa: se vuoi lavorare (gratis) compra una borsa

6 Settembre 2017 /

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di Francesca Fornario
«Mamma, presto, mi dai i soldi per comprare una borsetta?»
«Sei laureata e vivi ancora in casa con noi. Se vuoi comprarti una borsetta trovati un lavoro»
«Per quello mi serve la borsetta!»
«Non puoi cercare lavoro senza?»
«Se compro una borsa della collezione donna autunno/inverno posso partecipare al concorso della catena di negozi di borse e vincere un posto!»
«Devi COMPRARE una borsa per poter VENDERE borse?»
«Esatto».
«…Pagare una catena di negozi per essere pagata da una catena di negozi?!»
«Mamma, stiamo parlando di 500 euro!»
«Per una borsa?!»
«No, per un mese di lavoro»
«CINQUECENTO EURO AL MESE?! DUE EURO E ROTTI ALL’ORA?!»
«Solo per un mese»
«Poi quanto?»
«Poi niente, finisce lo stage. Ma posso tenere la borsetta».

Quello che stanno tentando di spiegare migliaia di figlie disoccupate ai loro genitori è più o meno questo. Hanno letto del concorso lanciato da Carpisa, azienda che vanta 600 punti vendita in franchising in tutto il mondo. Più negozi che dipendenti: 500 gli assunti, gli altri stagisti messi a vendere le borse del marchio “ispirato a valori quali il cliente, la passione per la qualità, lo spirito di squadra, il dinamismo, la creatività, la ricerca, lo sviluppo e la competitività”. Il cliente al primo posto, il dipendente non pervenuto, ma c’è lo spirito di squadra: se vuoi vendere le nostre borse, comprane una. Un affare! Per l’azienda, che venderà migliaia di borse alle candidate a un posto da stagista per un mese all’ufficio marketing di Napoli. Per partecipare, bisogna avere meno di 30 anni, acquistare una borsa della nuova collezione, inviare il codice stampato sullo scontrino e un brillante piano di comunicazione per il marchio elaborato da ciascuna delle candidate.
Abbiamo già visto i posti di lavoro al reparto vendite messi in palio in cambio dell’acquisto al reparto vendite: a Cagliari, nel 2009, con 30 euro di spesa alla Despar e in altri supermercati della catena si partecipava all’estrazione di un contratto di lavoro da addetto al banco frigo, cassiere, magazziniere. Così a Varese. Un salumificio di Piacenza si impegnava ad assumere il vincitore della tombola. Tutti con contratti di un anno. “Ai miei tempi bisogna lavorare per poter comprare, ora bisogna comprare per lavorare“, commentava allora la nonna in pensione che faceva la spesa alla Despar per dare ai nipoti la possibilità di concorrere all’assunzione.
I tempi sono cambiati ancora, ancora in peggio: ora occorre comprare per lavorare gratis. Il lavoro gratuito è un paradosso giuridico in un paese fondato sul lavoro e sul diritto del lavoratore a una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, come recita invano l’articolo 36 della Costituzione.
Negli anni, il lavoro gratuito e sottopagato è stato legalizzato e incentivato con le leggi più fantasiose: alternanza-scuola lavoro, lavori socialmente utili imposti ai richiedenti asilo, i voucher che hanno condannato 1,4 milioni di lavoratori a percepire in media un compenso inferiore ai 500 euro all’anno, gli stage che dovevano formare i lavoratori qualificati del futuro ma sono serviti a farli scappare all’estero e sfruttare quelli rimasti qua, davanti e dietro alle vetrine dei negozi di scarpe con i cartelli “Cercasi stagista commessa” (mesi di apprendistato per imparare a contare fino a 45). Costretti, per sfuggire all’onta della disoccupazione e della bamboccionaggine, a lavorare gratis in cambio della visibilità, del nome che gira, della promessa di un futuro. Anche quando il futuro è già passato: il 22 per cento degli stagisti ha più di 35 anni. Il 14 per cento sul totale ha più di 45 anni. Il ministero del Lavoro ha censito decine di stagisti ultrasessantacinquenni. È a loro che deve aver pensato Elsa Fornero: “Tranquilli, avrete tutto il tempo per cercare un lavoro”.
Stagisti pagati poche centinaia di euro al mese per svolgere, nella stragrande maggioranza dei casi, le stesse mansioni che una volta avrebbe svolto un lavoratore dipendente: le stesse mansioni per le quali, una volta, l’azienda era tenuta a pagare uno stipendio. In cinque anni il numero degli stagisti è aumentato del 116 per cento. Quasi nessuno viene poi assunto (meno di uno su 10) quasi tutti sostituiti da un nuovo stagista. Invece di contrastare l’abuso, i governi lo hanno sanato. Compreso questo, che è venuto incontro alle richieste di Confindustria mantenendo la retribuzione minima per lo stage a soli 300 euro al mese e raddoppiando la durata massima a un anno.
Questa vicenda pone un duplice interrogativo riguardo alla ragionevolezza del capitalismo. Perché, se la crisi economica è dovuta alla crisi di domanda di beni e servizi (“Domanda, domanda domanda! Solo così si esce dalla crisi”, Il Sole 24Ore), i governi puntano a uscirne creando lavori sottopagati le cui retribuzioni non permettono di acquistare beni e servizi?
E perché c’è bisogno di una nuova collezione di borse per l’autunno/inverno? Capisco le scarpe e i vestiti: l’estate fa caldo, l’inverno fa freddo. Ma le borse? Mettetevi nei panni dei tizi pagati per indurre i bisogni quando è in crisi la domanda, poveretti! Ogni anno, deve essere più dura:
«Come la convinciamo la gente che non ha lavoro a comprare una borsa della nuova collezione al posto di una della vecchia collezione che era nuova tre mesi fa? Non ha alcun senso! Quest’anno ci scoprono, me lo sento»
«Gli regaliamo un’agenda»
«Già fatto».
«Mettiamo in palio un viaggio ai tropici»
«Già fatto».
«Facciamo fare la testimonial a una che ha un lavoro figo, tipo una giornalista della tv, così tutte quelle non hanno un lavoro penseranno che se ne vuoi uno devi acquistare una borsa come la sua… naaaa, già fatto». «GENIO!»
«Non lo abbiamo già fatto?»
«Gli diremo che se vogliono fare il nostro lavoro dovranno comprare una nostra borsa!»
«Ma il nostro lavoro lo vogliamo noi!»
«Giusto. Gli diremo che potranno fare uno stage. Per un mese. Per partecipare dovranno comprare una borsa»
«Ne venderemo migliaia!!!»
«E per l’autunno/inverno l’abbiamo sfangata. Pensi che ci saranno delle nuove borse da vendere per la primavera/estate? Voglio dire, quanto ancora può andare avanti? Io non so più che inventarmi».
«Giusto, correggi il bando: scriviamo che, oltre a comprare una borsa, tutte le candidate al posto da stagista dovranno elaborare un’efficace strategia di marketing per il nostro brand!»
«GENIO!».
Questo articolo è stato pubblicato dal FattoQuotidiano.it il 4 settembre 2017

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