I racconti di Victor: "Il soldato"

2 Settembre 2017 /

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di Victor
Il soldato camminava lentamente, fucile in spalla, lungo il crinale; la radura si allungava nello spazio davanti e non se ne vedeva la fine, il sole arrostiva le scarpe e la testa, la barba lunga, il sudore dalla fronte, lo sguardo basso, la schiena curva, le mani ossute come le guance e la sua stessa ombra procedeva stanca; all’improvviso, nel silenzio, la fitta, bruciore intenso, paralisi delle braccia, piegate le ginocchia era a terra, la bocca sbattuta al suolo, i denti contro la lingua, gli occhi ruotati, bruciore insopportabile, la spalla spezzata dal proiettile, lingua di fuoco nella carne, sangue e odore di piscio, le gambe tremavano, il collo tirato dal dolore, la testa si spacca nel pensiero di ogni millesimo di secondo che separa dalla morte annunciata.
Mamma mia, dove sei, mamma, mamma, oddio sono solo, che ho fatto, che mi avete fatto? il vomito cade nel sangue, non sento la spalla, non sento le braccia, sono ancora un bambino, di quarant’anni, un bambino mal cresciuto, ecco che corro come allora in quel cortile col triciclo, sono ancora un bimbo, mamma è lì che stende i panni, c’è il sole anche allora, avevo i calzoncini corti e correvo sul piccolo mezzo rosso, ecco che cado e perdo l’equilibrio, che paura ma c’è la mamma che mi prende da terra, e mi lava la ferita.

Anna dove sei? Lo vedi che sono solo? Anna aiutami cazzo, non stare lì come sempre a guardare e far finta di niente, lo vedi che sto morendo, sento freddo, dio c’è un sole che brucia e sento sempre più freddo, ho freddo alle gambe e allo stomaco, tremo, la saliva si ghiaccia sull’angolo della bocca, ansimo e ansimo, ma perché mi guardi così, perché mi guardate così? Dio mio perché mi hai lasciato?
Non sento più niente, buio e luce, le palpebre sono saracinesche, non devo dormire, non ancora, la testa è di piombo, ricordo quei pugni per strada, spavalderia sprecata e impotente, l’ho fatta sporca, quel pugno alle spalle, quel colpo malefico, vigliacco, non era da me e l’ho fatto, ma cosa c’hanno insegnato, ma ora perché nessuno mi guarda mentre sto lì in quella pozza nera, perché nessuno chiama, perché sono cosi terribilmente solo?
Muovo impercettibilmente la mano, le unghia strisciano nel terreno, avverto il pietriccio che mi graffia le dita ma non sento il braccio, dov’è il braccio? Il ventre è schiacciato per terra, sono immobile e sento il caldo dell’orina che fuoriesce, o è sangue? Non lo so non riesco a muovere la testa e gli occhi, l’aria è pesante, è notte fonda ma c’è il sole, mi manca l’aria, respiro a fatica, la gola si blocca, non deglutisco più, cerco ma i muscoli del collo sono bloccati, mi soffoco con la lingua che mi blocca il respiro, la terra mi entra in bocca, ma è così tremenda la morte?
Silenzio, non un alito di vento, il corpo contratto nel rantolo finale, tutto mi gira in testa, vedo l’osso della spalla fuori bianco e tutto il sangue rappreso, un fianco squarciato, mi ha preso dall’alto verso il basso, ma da dove tirava? Mi ritorna in mente quando fuggivi e t’inseguivo, restavi muta nascosta, tremante ma ti trovavo ogni volta e ridendo ti prendevo, soffrivi e come mi piaceva vederlo, i baci morsicati, i capelli strappati, le tue intimità lacere, io sopra, disgusto, anche questo ho fatto avevi quindici anni, non fiatare, non parlare, ti gonfio di schiaffi se dici una parola, sembrava un gioco sulla tua pelle, oddio anche questo ritorna, quello schifo di vita, per quattro soldi sono qui a crepare, in questo deserto senza un prete, senza un’anima che m’assista, il baratro mi si apre e vedo già l’inferno che m’inghiotte.
La pelle si stacca dalle mani, la lingua gonfia emette umori neri, le formiche rosse attaccano le orbite e gli scarafaggi bucano la carcassa e s’infilano in questo corpo putrefatto ma io sono ancora VIVO! Sono un morto vivo che trema come un uccello secco sui fili della tensione, come un pesce lasciato a putrefare sulla riva che muove i suoi ultimi contorcimenti, muoio ma penso, questo cervello che ancora vive in un corpo morto, oddio il terrore, il terrore di non poter lasciare questo corpo, lo schifo di una fine nel liquame di me stesso.
Ti derubai anche l’anima amico mio, ti tradii per trenta schifosi denari, sono io che ti consegnai ai carnefici, e guardavo il tuo corpo penzolare, lo sguardo basso, lo sguardo di Giuda, mi avevi voluto bene, eppure non avevo avuto un attimo d’incertezza, violando la nostra amicizia ti denunciai, spifferrai a chi di dovere chi fossi e dove fossi, ch’eri tu ad animare la protesta, eri tu il sobillatore, il rivoluzionario, l’idealista pazzo che voleva la giustizia, t’ho venduto, non guardarmi così non soffiarmi addosso il tuo disgusto e la tua pena, sono mangime per le termiti, ecco la punizione suprema, almeno mi cogliesse la morte, almeno mi liberasse quest’anima di fango.
Ho fatto il soldato per bisogno e per soldi ma anche per piacere, per dare la morte, il fucile in spalla mi dava forza, mi rendeva insuperabile, invincibile, l’arbitrio della vita degli altri, guardare nel mirino e togliere la vita a uno a cento a mille, nascosto, di soppiatto e alle spalle, ho dato la morte e ora sono ripagato con eguale morte, alle spalle, nel silenzio di questa radura, senza poter vedere il nemico, senza un suono, un grido, un fischio, in questa notte senza luna e senza stelle, senza nubi e senza vento, in questo buio assoluto, in questo fondo cieco, in questo grigio pallore che è la non vita verso la morte.

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