di Franco Di Giangirolamo
È la vigilia di Pasqua, piove, tira vento e si preannuncia una notte fredda, molto appropriata per celebrare uno dei tanti crimini dell’imperialismo in medio oriente. Se comprendessi meglio il tedesco starei visionando un film in TV, se non fossi stanco terminerei la lettura di uno dei libri che ho accumulato sul comodino. Invece mi sprofondo sul divano e lascio che la mia testa vada a zonzo per il nuovo quartiere nel quale mi sono sistemato da qualche mese.
Da un pò di tempo comincio a pensare di essere capitato, per puro caso o forse per un destino cinico e baro, in una specie di fortino simbolico dell’ex socialismo realizzato. La prima avvisaglia l’ avevo colta da alcuni italiani che vivono a Berlin da diversi decenni, curiosi sulla mia residenza, i quali, saputo l’ indirizzo, avevano esclamato: Ah, sei andato ad abitare di là.
Per “di là” intendevano riferirsi a quella che era la Berlino Est, oltre il muro che, dopo 27 anni dalla sua caduta, pare costituisca una presenza piuttosto consistente non solo nelle teste (Mauer in den Koepfen) e nei cuori delle persone, ma finanche nel portafoglio. Basti pensare che l’obiettivo della eguaglianza delle pensioni e delle retribuzioni tra Est e Ovest non è stato ancora realizzato e non credo sia a portata di mano, nonostante l’impegno del sindacato DGB e dei Linke.
In poche parole da queste parti le gabbie salariali ci sono ancora e non si limitano alla differenza di retribuzione tra uomo e donna (che non è irrilevante) o da Regione a Regione (che ha solide radici storiche). In buona sostanza, a Berlin, si può lavorare fianco a fianco con le stesse mansioni, le stesse qualifiche e gli stessi titoli di studio, ma avere due trattamenti economici diversi. “Ovviamente”, gli Ossis, che non a torto si ritengono trattati come cittadini di serie B, sono i soggetti penalizzati. Il quesito “siamo un popolo?” non è ancora risolto nè per i Wessis nè per gli Ossis. A distanza di anni, mi pare mantengano identità diverse e non hanno trovato sufficienti ragioni per smettere di coltivare stereotipi.
I vincitori li esprimono attraverso i media e i perdenti attraverso le espressioni dei volti quando si parla di “occidente”. Perfino la mia fisioterapista, che ostinatamente tenta di rimettermi in ordine la schiena, quando mi dilungo gesuiticamente su un parere positivo di qualche aspetto caratteriale dei tedeschi, puntualizza che, avendo votato a maggioranza per la unificazione, non si meritano tanti elogi. Seccamente contraddetto, intuisco che i nervi sono ancora scoperti e mi permetto solo di sbirciare, senza la pretesa di comprenderli, tra i dilemmi della “Inneren Einheit” (unità interna) o della “lunga strada verso l’Occidente”, come dice lo storico Winkler. In fin dei conti solo loro possono affrontare i problemi della identità nazionale tedesca.
Chiudo la digressione, avanzo pigramente nella riflessione pomeridiana: altri elementi mi inducono a pensare che mi trovo a vivere in uno spazio fisico particolare, forse una specie di enclave, come lo Stato di San Marino (non dico del Vaticano per tenere le dovute proporzioni). Infatti, a sinistra mi ritrovo con la principale stazione della ex Berlin Est (Ostbahnhof) da dove si snoda la East Side Gallery, ovvero il “muro” lungo il fiume Spree, dove periodicamente i graffittari esprimono il loro estro e la visita è ormai un rito cui non rinuncia nessun turista, avido di sfoderare il meglio della tecnologia fotografica di cui dispone sull’arte di strada più ripresa al mondo.
Vicinissimo alla stazione un Ostello, Hotel se vogliamo, denominato DDR, nel quale i nostalgici possono alloggiare in camere spartane, con arredamento interamente tedesco orientale, radio d’epoca, foto di Honecker alla parete e ristorante al piano terra. Gli Ostalgici lo troveranno facilmente perchè in strada sventola una bandiera originale della DDR su una asta guarnita di elmetti militari di foggia non bismarckiana.
Poco distante, collocato nella ex Berlino Ovest, un palazzone nuovissimo e imponente, di mattoni rossi, sede nazionale dei Ver.di (sindacato dei servizi pubblici e privati e di pari rappresentanza dei metalmeccanici), molto combattivo, nel quale è organizzata anche mia moglie, che fa da barriera, con il suo riformismo attivo, al vento neoliberista soffocante che spira continuamente della ex Berlino Ovest.
Alle spalle, in un palazzo piuttosto grande ma grigio, dove operava un teatro di 3.000 posti gestito da due ebrei che, con l’avvento del nazifascismo ebbero il destino segnato, si trova oggi la sede del Neues Deutschland, quotidiano già organo del SED (Partito socialista della DDR) che, come Junge Welt, si pubblica ancora e si vende in tutte le edicole, ignoro con quale successo.
So invece che vi si trova una biblioteca e diversi partiti e gruppi di sinistra extraparlamentare, alcuni dei quali, proprio nei giorni delle feste pasquali, hanno ospitato le giornate del socialismo, promosse da una specie di internazionale che non so definire in altro modo che “gruppettara”, non certamente in senso dispregiativo. Incuriosito per la presenza dei Linke, che qui giocano in casa, ho pensato di andare ma , dopo aver controllato la partecipazione italiana, me ne è passata ogni voglia, anche solo di sbirciare.
A destra si apre invece la Karl Marx Allee (già Stalin Allee), dove le maestose case popolari si affacciano su un viale largo e lungo, di quelli trionfali, oggi dichiarata patrimonio dell’umanità, sulla quale tutti sanno tutto. Io aggiungo solo che di quei diversi kilometri di palazzoni solo una cosa non mi piace: le finestre. Gli infissi formano una croce bianca e lo sguardo d’insieme, mi si offre come una specie di cimitero militare verticale. Per il resto non condivido affatto le critiche che ho ascoltato da parte di molti italiani e in quei palazzoni ci abiterei molto volentieri e per svariati motivi.
La facciona di Marx, che controlla tutti da Strausberger Platz, è simpatica e, provateci!!!! quando non c’è traffico, si sente bene che sussurra: “ragazzi, non ve lo volevo dire, ma ve l’avevo detto!” Di fronte, si staglia la torre della TV, nei pressi di Alexanderplatz e la Roten Rathaus (Casa Rossa, come è chiamato il comune di Berlin, sia in ragione dei mattoni di colore rosso con i quali è stata edificata sia perchè la città è sempre stata piuttosto di sinistra, fama confermata dalla costituzione, dopo le ultime amministrative, di una coalizione rosso-rosso-verde).
Insomma, tracciando le coordinate, deduco che sono capitato, sostanzialmente, dentro una specie di triangolo delle Bermude ideologico, un fortino inespugnabile, almeno sul piano simbolico. Pare che qui, lo sforzo di destrutturazione simbolica di quella che molti definicono l’Anschluss (annessione) dell’89 non abbia avuto un particolare successo. La conferma sta anche nelle varie casematte interne al fortino e alla vita che vi si svolge.
Intanto, tutte le domeniche si apre un mercatino delle pulci tra la Ostbahnhof e Via Comune di Parigi (per stare in tema), dove tre quarti delle cose esposte sono di origine DDR. Due volte l’anno il mercatino si estende fino a 20.000 mq. e diventa il Berlin Riesenflohmarkt (mercatone delle pulci) molto noto, con migliaia di visitatori anche da fuori città .
D’altra parte, anche per Natale e Pasqua si tiene una Fiera, in LandesbergerAllee, 77, dal nome OstPro, esclusivamente dedicata ai prodotti della ex DDR: si entra con due euro e via, a valorizzare i sapori e gli oggetti di una volta ?!?! Forse anche come atto di resistenza attiva alla occidentalizzazione dei consumi !?!? Non so ma, mi dicono che molti dei compratori sono dell’idea che “Aus dem Osten, daher Gut!”, ovvero: viene dall’Est, perciò e`buono. Con tutti questi influssi magnetici un giorno potrei trovarmi sugli scaffali del supermarket dove vado a fare la spesa la birra Ottobre rosso, il caffè Rondo Melange, la Club Cola, le sigarette Karo,Club, Juwel e Cabinet (tanto non fumo), la cioccolata Knusperflochen, e così via.
Anche se si vuole andare in Biblioteca ci si intruppa alla “Pablo Neruda” o alla “Karl Liebknecht”, perchè una biblioteca, diciamolo, si deve intestare solo a persone che lo meritano. Al Cinema si va al “Babylon Mitte”, sede nel 1933-34 di un nucleo della resistenza antinazista, nei pressi della prima sede del partito Comunista tedesco (oggi sede del partito Linke), dove si arriva col privilegio di camminare su alcuni pensieri di Rosa Luxemburg. ben piantati sul selciato. Oppure al n. 33 di K.M.Strasse, al Kino International, con 600 posti a sedere, dove si presentavano le anteprine dei film prodotti dalla DEFA e che, tutt’oggi fa parte delle sale che ospitano annualmente il Berlinale.
Il clima che vi si respira è lo stesso di sempre, ovvero quello del 1963, anno della sua inaugurazione e anche questo può aiutare gli ostalgici. Non molto distante ha sede la Karl Marx Buchhandlung, dove è stata girata la scena finale del film “Le vite degli altri”, oggi salone letterario molto indebitato, che pare debba chiudere dopo 67 anni di onorata storia di iniziative editoriali e culturali. Il vento e la bufera continuano a soffiare e a fischiare, ma da un’altra parte e il mercato librario deve avere le sue vittime.
Non manca il cimitero dei rivoluzionari caduti nel marzo del 1848, e nemmeno a tre fermate di U-bahn il museo della Stasi e chiudiamola qui.
Per non farsi mancare niente, nei paraggi, il primo Maggio la estrema sinistra (linksextreme) manifesta nel tardo pomeriggio e ripropone il rito immarcescibile e rassicurante degli scontri con la polizia, che certificano la qualità del sinistrismo (come anche del destrismo) di chi ne ha bisogno, mentre nel primo pomeriggio alla MyFest, a Kreuzberg, un fiume gigantesco di giovani vanno a sentire musica, a mangiare e, soprattutto a bere fiumi di birra.
In coda, quasi addormentato e certamente confuso, penso che qui la vita quotidiana, dopo 28 anni di quella che non tutti considerano una “rivoluzione democratica”, ad un occhio non avvezzo potrebbe sembrare uniformata, sia negli usi che nei costumi, ma non è del tutto vero. Cambiamenti radicali sono evidentissimi (basterebbe pensare alle auto, ai negozi, alle banche, alla Gentrification, ovvero alle ristrutturazioni edilizie, con i nuovi sistemi di riscaldamento e gli ascensori), ma tanti piccoli particolari mostrano la sopravvivenza di abitudini dure a morire e che ti permettono di riconoscere un Ossis anche a distanza, specialmente se anziano.
Mi fermo qui, per rispetto della realtà che mi ospita e per non contribuire alla stereotipizzazione di persone che hanno dovuto emendarsi (e non deve essere stato facile) dopo la guerra dall’essere stati nazionalsocialisti e sconfitti e poi, dopo l’unificazione, dal socialismo realizzato e ancora una volta sconfitti. Oltre alle diverse motivazioni personali, anche queste sono al fondo della mia solidarietà con gli Ossis.
Ovviamente, tra il “nuovo” c’è il Berghain (Night Club aperto nel 2004 dopo l’esperienza di Ostgut), nel quale si litiga per entrare, nonostante i 1.500 posti e la terrazza bar, dove si affollano gli alternativi di ogni categoria per ascoltare musica Techno ed elettronica. Così come l’Arena Mercedes, con i suoi 17.000 posti per eventi di ogni tipo, lo Yamm etc. etc.
Infine, alcuni esempi di resistenza di dimensione nazionale. Si tratta di prodotti della ex DDR che i mercati non sono stati capaci di spazzare via e, di conseguenza, li ha trasformati in un affare economico: Ampelman, ovvero l’omino rosso e verde che era ed è rimasto il semaforo più popolare e simpatico del mondo, oggi riprodotto in migliaia di gadgets e di cui tutti i turisti hanno fatto qualche esperienza.
Sandmann, ovvero il cartone animato di un omino con la barbetta bianca e un berretto a punta che, ad una certa ora della sera, saluta dalla TV i bambini che vanno a letto (per aiutarli sparge la sabbia nei loro occhi) con una favoletta animata e una musica che a me ancora non dispiace. RotKaeppchen-sekt (Cappuccetto Rosso), un vino molto frizzante (una specie di spumante) e relativamente economico, che si vende ovunque e che gli Ossis ti offrono con orgoglio non cammuffato sottolineando che è di quel famoso est che non esiste più sulla carta geografica.