Torino, la Juve e l'Heysel: un flashback, tragedie non elaborate che tornano

5 Giugno 2017 /

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di Loris Campetti
Ci sono momenti che un cronista non potrà mai dimenticare. La mente seleziona i ricordi, gli occhi le immagini. Ancora oggi mi capita di svegliarmi di notte sudato dopo aver rivissuto una volta ancora la notte della Diaz nel 21 luglio 2001, quel maledetto elicottero con i fari puntati su un mattatoio sudamericano, quelle decine di barelle con i corpi pestati di ragazzi e ragazze, quei muri della scuola imbrattati dal sangue di una generazione che credeva, come Carlo Giuliani ucciso il giorno prima dal carabiniere Placanica, che un altro mondo fosse possibile.
C’è un’altra notte che non potrò mai dimenticare, quella del 29 maggio 1985 nelle strade e nelle piazze di Torino: una grande festa per la conquista juventina della coppa dei campioni contro i reds del Liverpool, un ballo collettivo sui corpi di 39 tifosi morti all’Heisel chi per asfissia, chi con il torace sfondato, tutti travolti nella calca dopo il crollo di un muretto di supporto sotto la pressione dei tifosi inglesi. Un balletto satanico, quello in piazza San Carlo a Torino, iniziato però nello stadio di Bruxelles con i calciatori bianconeri che facevano il giro di campo alzando una coppa piena di sangue.
La partita, sospesa per un’ora e mezza con i giocatori chiusi negli spogliatoi, era ripresa su ordine della Uefa e della prefettura e con la complicità delle due società che si contendevano il trofeo dopo la strage sugli spalti. The show must go on, e lo spettacolo è continuato per tutta la notte a Torino con cori festosi e caroselli mentre scorrevano fiumi di birra e di vino in via Roma, piazza Castello, piazza Solferino, piazza Vittorio, quando ormai ognuno sapeva che quella coppa con le orecchie non era piena di champagne ma di sangue mentre le pance dei tifosi juventini erano piene di birra. Ma quel che contava era che Platini aveva punito i reds.

32 anni dopo, piazza San Carlo, un’altra coppa questa volta persa dalla “Signora” – così chiamavano la squadra degli Agnelli – contro il Real Madrid. A colpire a Cardiff non c’è Platini ma Ronaldo e Higuain si è perso nel campo. In contemporanea con il gol di Casemiro che dà il via alla disfatta juventina al 16° del secondo tempo, una piazza piena di birra dove sono stipati in 30 mila esplode, si scatena un panico messo in moto dagli ultras che già da ore, da prima dell’inizio della partita sono padroni della piazza.
Ultras che secondo i giudici avrebbero a che fare con la criminalità organizzata con il coinvolgimento, sempre secondo i giudici, dei massimi dirigenti bianconeri fino al presidente Andrea Agnelli. La sindrome da attentato Isis riempie di terrore gli animi, tutti scappano, si travolgono e calpestano, le transenne vengono abbattute come il muretto di supporto a Bruxelles 32 anni prima e c’è chi, bambini compresi, precipita nella scalinata che conduce al parcheggio sotterraneo da dove sono saliti ultras e venditori di birra in bottiglie, ora gettate a terra cosicché a centinaia nella calca si feriscono con i vetri ai piedi e alle mani.
Più di 1.500 feriti, una guerra vera e propria, mentre la sindaca Appendino soffre sulla tribuna di Cardiff un gol dopo l’altro del Real e il vicesindaco sta pedalando in una gita ciclistica. Una svista, nessuno ha pensato di impedire a chicchessia di portare in piazza bottiglie di vetro o a decine di ambulanti di venderle. Forse un petardo, forse un ultrà a petto nudo che si atteggia da kamikaze facendosi largo intorno, fatto sta che il panico diventa inarrestabile e 1.527 tifosi pagano una gestione irresponsabile della piazza, checché ne dicano prefetto e sindaco. E ancora, gli inglesi hanno saputo fermare i loro ultras dopo l’Heysel, perché i vertici della Juventus non hanno chiesto loro qualche consiglio? Perché i tifosi della “Signora” non lo pretendono e finiscono per diventare vittime e attori di indegne feste e terribili massacri?
L’Heysel, un flashback. Le tragedie mai elaborate a volte si ripetono, e purtroppo non sempre nella forma di semplice farsa.

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