Manicomi: immagini di violenza istituzionalizzata

15 Aprile 2017 /

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di Gioacchino Toni
«quello che noi mostriamo non è il volto dell’internato o della sua follia, ma ciò che resta di un uomo dopo che l’istituzione, deputata alla sua cura, lo ha sistematicamente distrutto e annientato. Questi volti esprimono soltanto la violenza istituzionalizzata di cui sono stati oggetto e ciò che diventa l’uomo, che sia diventato cosa agli occhi dell’uomo» (dall’Introduzione ad una mostra fotografica tenuta a Venezia negli anni ’70).
Il volume pubblicato dall’editore Contrasto raccoglie lo storico reportage realizzato da Gianni Berengo Gardin tra il 1968 ed il 1969 all’interno di alcuni istituti psichiatrici italiani. Recentemente Carmilla si è occupata della gestione/costruzione della salute mentale grazie a Piero Cipriano che ha affrontato il manicomio fisico, la psichiatria chimica e la macchina diagnostica in grado di conferire identità e destino all’individuo.
Questo libro ci riporta al sistema concentrazionario manicomiale precedente la svolta basagliana. Si pensi che fino alla legge 180 del 1978 il criterio che determinava l’internamento in manicomio era sostanzialmente ancora quello dettato dalla legge 36 del 1904 che prevedeva il ricovero coatto del paziente in quanto “pericoloso per sé e per gli altri o di pubblico scandalo”. Non è difficile immaginare quanto arbitrio potesse contenere anche solo l’idea di “pubblico scandalo”.
Le lotte contro i manicomi portate avanti nell’Italia degli anni ’60 e ’70 da personalità come quella di Franco Basaglia non possono essere scorporate da quell’insorgenza diffusa che per un ventennio ha portato tanti e tante a smettere di chinare la testa di fronte al potere politico, economico e culturale osando pensare e praticare forme di libertà. È in tale contesto che (anche) le recinzioni dei manicomi sono state aperte.

È importante ricordare quel che è stato e lo è soprattutto in un’epoca come questa in cui il disagio mentale viene dato in pasto all’opinione pubblica dai media soltanto quando si ritiene possibile imputare ad esso episodi di violenza, in un momento storico in cui non mancano dichiarazioni, più o meno esplicite, di nostalgia per quelle istituzioni totali capaci di “togliere il problema dalla strada”.
Ricordare cosa sono stati i manicomi può essere utile affinché chi pensa di cavarsela invocando soluzioni precedenti la legge 180 si prenda le sue responsabilità. A tale scopo la documentazione fotografica non può che svolgere un ruolo importante ed il reportage di Gianni Berengo Gardin riprodotto dal libro risulta prezioso. Questa documentazione, realizzata insieme a Carla Cerati sul finire degli anni ’60, e confluita nel volume Morire di classe. La condizione manicomiale (Einaudi, 1969) insieme a testi scritti da Basaglia, si è rivelata fondamentale al fine di far conoscere all’Italia di fine anni ’60 – inizio anni ’70 la condizione dei reclusi in manicomio.
Nel volume, oltre al reportage fotografico di Gianni Berengo Gardin realizzato tra il 1968 ed il 1969 all’interno di alcuni istituti psichiatrici italiani, sono presenti uno scritto di Franco Basaglia, tratto dal libro da lui curato Che cos’è la psichiatria? (1967), un intervento di Peppe Dell’Acqua e Silvia D’Autilia ed una ricostruzione cronologica delle principali tappe che dalla nascita delle istituzioni manicomiali nell’Europa di fine ‘700 portano, in Italia, alla legge 180 del 1978.
Recensione al libro di Gianni Berengo Gardin, Manicomi. Psichiatria e antipsichiatria nelle immagini degli anni Settanta, Contrasto, Roma, 2015, pp. 168, € 32,00
Questo articolo è stato pubblicato da Carmilla online il 9 aprile 2017

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