di Vincenzo Vita
Le due guerre di Trump. Quella analogica – fisica e materiale – dell’attacco della Siria con i missili Tomahawk e quella digitale volta alla conquista del business del secolo: il commercio dei dati personali. Sulla prima si è detto e scritto molto. Si può azzardare che nella società dell’informazione “le pratiche di guerra non siano scindibili dal loro racconto, dalla loro rappresentazione e messa in forma narrativa… Questa dimensione è talmente cresciuta da divenire ipertrofica, fino a diventare parte della stessa pianificazione strategica” (F. Montanari, 2004). Guerra e media vanno in simbiosi ed è difficile separarli. Per questo le guerre stellari per il controllo delle comunicazioni sono oggi più attuali che mai. La “lotta di classe” nell’iCloud è un pezzo sostanziale della nuova geopolitica, che sta attraversando un cambiamento senza precedenti dopo le elezioni americane.
Lo scorso 3 aprile, all’incirca in contemporanea, lo stesso Trump ha firmato un provvedimento – votato poi dal congresso- che abolisce di fatto la protezione dei dati personali dei cittadini utenti dei servizi di telecomunicazione. È stata abrogata, tra l’altro, una misura molto recente, della fine del 2016, adottata dalla Federal Communications Commission (Fcc) in linea con gli orientamenti europei (Regolamento 2016/679 Ue). “Disgusting”, ha commentato su “The Guardian” il creatore del World Wide Web, Tim Berners Lee. Giustamente la rivista “Interlex” (10 aprile 2017) sottolinea che “Per chi ama pensar male, non sono solo informazioni che riguardano la lotta al terrorismo, ma interessano anche ai padroni dei Big Data, i “profilatori” a fini commerciali dai quali non riusciamo a difenderci”.
Eccoci, la guerra digitale arriva nelle case private, negli smartphone e nei computer. E la nostra identità è sottoposta ad una inedita e forsennata sorveglianza, mentre i dati sono oggetto di una impressionante mercificazione. Ne ha scritto con la consueta precisione Stefano Rodotà su “la Repubblica” dello scorso 31 marzo, analizzando i mutamenti “rivoluzionari” in atto nella dialettica tra sfera pubblica e coscienza privata. Non solo. L’atto di Trump S.J.Res 34 segue la rimessa in discussione della net neutrality, vale a dire l’eguaglianza dei diritti di accesso e di utilizzo di Internet.
Senza pari opportunità di entrata e di navigazione il prepotente medium della post-modernità rischia di diventare un luogo di vandalica selezione sociale. “L’algoritmo comanda il mondo” si intitola il saggio di Michele Mezza sul numero 2/2017 della rivista “liMes”, dove – citando il biotecnologo Craig Venter – l’autore dice che “La rete non serve a giocare con i social, ma a riprogrammare la vita umana…La nostra mente e il nostro cervello sono il ring su si combatte per governare, attraverso la digitalizzazione delle informazioni, i comportamenti umani”. E “non solo l’algoritmo dovrà rientrare nei beni negoziabili sulla base del pubblico interesse, ma la stessa progettazione della potenzialità di calcolo non potrà rimanere attività occulta e separata dagli interessi sociali”.
Insomma, il conflitto parallelo non vede scorrimento di sangue e tuttavia è assai cruento. Da una parte è in gioco l’integrità dei corpi, dall’altra l’autonomia delle menti. Guai a non leggere la realtà nella sua pornografica evidenza. Servono – contro le due guerre – due appassionati movimenti pacifisti.
Stiamo parlando della vera difesa della sovranità culturale, spogliata dalla scorza del dominio “imperiale”e declinata nella dimensione dello spazio pubblico.
Questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto.info il 12 aprile 2017