di Nicola Mirenzi
“Con il sistema disegnato dalla riforma costituzionale, i nuovi senatori risponderebbero ai partiti, non alle autonomie locali. E, questo, diminuirebbe lo spazio della democrazia”. Per Gherardo Colombo – ex membro del pool Mani pulite, saggista, credente della regole anti autoritarie, autore con Piercamillo Davigo di un libro-dialogo dal titolo “La tua giustizia non è la mia” (Longanesi, 176 pp., 12.90 euro) – l’architettura istituzionale immaginata da Matteo Renzi e compagni “è un pasticcio che non aiuterà a far funzionare utilmente il sistema italiano”. E nemmeno il livello del dibattito pubblico è all’altezza: “La discussione a cui stiamo assistendo – dice all’Huffington Post – è molto più prossima alla propaganda che all’analisi e all’informazione. I punti veri non vengono quasi mai toccati. Si enfatizza la riduzione dei costi della politica e la semplificazione legislativa, ma il primo aspetto è marginale, il secondo va contro la reale necessità dell’Italia: che avrebbe bisogno di meno leggi, non di più velocità nella loro approvazione”.
Definirebbe “populistico” questo confronto?
No, perché non voglio fare un torto al popolo.
Cosa non la convince del referendum?
Non si possono chiamare i cittadini a rispondere solo con un ‘sì’ o con un ‘no’ quando devono valutare argomenti così differenti: la composizione del senato, l’abolizione delle province e del Cnel, le regole per l’elezione del presidente della repubblica. Sono materie diverse. Sarebbe stato necessario formulare un quesito per ognuna di queste proposte.
Il problema maggiore che riscontra?
L’erosione delle autonomie regionali, peraltro solo delle regioni a statuto ordinario. Semmai, sarebbe giusto abolire quelle a statuto speciale. Mi chiedo, poi, come riusciranno i nuovi senatori a fare contemporaneamente i senatori e i sindaci.
C’è qualcosa che apprezza?
L’abolizione del Cnel e delle province.
Che cos’è la costituzione per lei?
È la legge fondamentale, che coincide al novantanove per cento con l’idea di giustizia.
Non rischia di sacralizzare la costituzione identificandola con la giustizia?
Intendo la mia idea di giustizia. Ma credo di no: la costituzione garantisce a ciascuno la libertà di esprimere la propria diversità, cioè di essere cattolico, protestante, ebreo, socialdemocratico, conservatore, estremista o moderato. Allo stesso tempo, però, impedisce che queste diversità diventino causa di discriminazione, stabilendo che tutti siano eguali di fronte alla legge e abbiano pari opportunità.
Nella costituzione italiana non c’è un riferimento al diritto di ricercare liberamente la felicità, presente invece nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America: la invidia?
Non la invidio perché la nostra costituzione esprime lo stesso concetto con parole diverse, enunciando all’articolo 3 che è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle persone.
Ma realizzazione e felicità sono due cose diverse.
Provi a immaginare una legge che imponga per diritto la felicità: sarebbe un controsenso.
La dichiarazione d’indipendenza statunitense però riconosce un diritto, non impone di essere felici.
Nel tempo in cui la costituzione è stata scritta, era difficile enunciare il diritto alla felicità in un paese cattolico come era il nostro. Oggi forse lo si potrebbe fare. Tuttavia, una legge si può mettere al servizio della felicità di tutti solo garantendo la libertà di chiunque. E questo la costituzione italiana lo fa.
Lei non crede nell’obbedienza. Crede, invece, nella disobbedienza?
Credo che la disobbedienza alla legge, in certi casi, sia assolutamente necessaria. Gli italiani avrebbero dovuto trasgredire le leggi razziali, per esempio. E, in generale, tutte le volte in cui una legge viola i diritti fondamentali di una persona – e non è possibile modificarla attraverso le vie ordinarie – disobbedire è legittimo.
Senza limiti?
Il limite è che non si usi la violenza e che ci si assuma le responsabilità che dalla disobbedienza derivano. Per dire: gli obiettori di coscienza andavano in galera per rimanere fedeli alla propria convinzione. La disobbedienza, spesso, ha avuto una funzione progressiva. Pensi a Rosa Parks, che disobbedendo a una legge che discriminava i neri d’America ha iniziato il percorso di liberazione dalla segregazione razziale.
A cosa dovrebbe disobbedire oggi un cittadino italiano?
A quelle disposizioni che discriminano gli esseri umani che chiedono accoglienza in Italia e all’estero.
A Goro alcuni cittadini hanno disobbedito a una misura del prefetto che gli chiedeva di accoglierli, i profughi.
Evidentemente, qualcuno in Italia pensa che non tutti gli esseri umani abbiano pari dignità. La costituzione, invece, garantisce quelle persone. Stabilendo che chi nel suo paese non può godere delle libertà democratiche ha diritto di essere accolto qui.
Ha mai disobbedito nella sua vita?
Non ho mai disubbidito molto, in realtà. L’ho fatto con mio padre, quando ero un ragazzo. Anche se mio padre mi ha sempre lasciato libero di fare le mie scelte, pure quando non coincidevano con le sue aspettative. Ed ecco qual è la differenza tra la disobbedienza e la libertà di essere in disaccordo: nella prima ipotesi bisogna pagare un prezzo, a volte anche alto, nella seconda no.
Perché si è dimesso dalla magistratura?
Non sopportavo più l’idea di dover mandare in galera delle persone. E quando ho lasciato il posto, mi sono sentito sollevato.
Cosa la disturbava del carcere?
Credo che chi è pericoloso debba stare lontano dalle persone a cui può fare male. Ma in quel luogo devono essergli garantiti tutti i diritti che non confliggono con la salvaguardia della comunità: cioè, la libertà individuale, lo spazio vitale, la possibilità di coltivare gli affetti e curare la propria igiene. Garanzie che in Italia non sono assicurate.
Si spingerebbe sino ad abolire il carcere?
Sì.
È una posizione molto impopolare.
È la mia posizione.
Questo articolo è stato pubblicato dall’Huffigton Posto il 6 novembre 2016