Costituzione, riforme e Regioni: no allo svuotamento degli enti locali

11 Novembre 2016 /

Condividi su

Costituzione - Foto di Emilius da Atlantide
Costituzione – Foto di Emilius da Atlantide

dei consiglieri regionali Piergiovanni Alleva (l’Altra Emilia Romagna) e Giulia Gibertoni (Movimento 5 Stelle)
Il testo che segue è una risoluzione presentata alla presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Simonetta Saliera
Premesso che l’attuale riforma del Titolo V, nell’ambito della più complessiva riforma della Costituzione, approvata dal Parlamento, su proposta del Governo (ddl Renzi-Boschi), insieme con l’abolizione delle Province e la riforma della Pubblica Amministrazione, porta a compimento una svolta centralistica, che svuota gli enti territoriali della loro natura di autonomie politiche e ne riduce pesantemente la funzione legislativa. Non a caso la riforma dell’art. 117 della Costituzione, Potestà legislativa di Stato e Regioni, attribuisce competenza legislativa esclusiva allo stato su oltre una cinquantina di materie, riposte in capo allo Stato, tra cui in particolare le politiche sociali, la tutela della salute, la tutela e la sicurezza del lavoro, le politiche attive in materia di lavoro, l’istruzione e la formazione professionale, il governo del territorio, le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto, l’ambiente, le attività culturali, il turismo.

Alle Regioni viene attribuita potestà legislativa solo su una quindicina di materie, di contenuto essenzialmente organizzativo, talora intersecantesi con quelle attribuite alla potestà esclusiva dello Stato.
Poiché la riforma attribuisce allo Stato la potestà esclusiva nel dettare “le norme e le disposizioni generali e comuni” in ordine alle materie avocate a sé, il potere effettivo accordato alle Regioni si configura come una forma di legislazione subordinata, che si tradurrà nell’esercizio della funzione, puramente amministrativa, di applicare quanto deciso altrove.
Peraltro lo stato può intervenire in materia non riservata alla sua legislazione esclusiva, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale”.
Non solo. L’ art. 119 in particolare, Risorse degli enti territoriali, ribadisce che “I Comuni, le città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa nel rispetto dell’equilibrio di dei relativi bilanci e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.
Considerato che
Il principio che subordina l’autonomia di entrata e di spesa di Regioni e Comuni al rispetto dei vincoli europei, già introdotto in Costituzione, insieme con l’obbligo del pareggio del bilancio, costituisce una camicia di forza insostenibile, tanto che le politiche di aggiustamento del bilancio pubblico seguite negli ultimi anni hanno comportato oneri rilevanti per la finanza pubblica regionale e delle amministrazioni locali.
(Si aggiunga che sebbene Regioni e Comuni gravino per il 2,5% sul debito pubblico, a fronte del 94% imputabile allo Stato, essi sono chiamati a farsi carico del risanamento dei conti pubblici per ben il 95%. )
I pesanti tagli nei trasferimenti dallo Stato, unitamente ai rigidi vincoli di spesa, segnano la fine dell’autonomia finanziaria delle Regioni.
Ora l’art.119, nel precisare che gli enti territoriali dovranno avvalersi di risorse autonome e stabilire l’applicazione di tributi ed entrate, e che tali risorse dovranno “assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite” a Regioni e Comuni”, a fronte dei tagli dei trasferimenti dallo Stato, riducendosi quindi la quota di partecipazione al gettito di tributi erariali, raccolti dallo stato, obbliga gli enti territoriali ad aumentare le imposte locali, ad alzare le aliquote al massimo, a trasformarsi in esattori fiscali, affossatori dello stato sociale, privatizzatori di beni comuni e patrimonio pubblico.
In base alla riforma dell’art. 119, per Regioni e Comuni “la compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio” sarà determinata “secondo quanto disposto dalla legge dello stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e non parteciperanno più alle funzioni di “armonizzazione dei bilanci pubblici, di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, riposte in capo allo stato.
Valutato che
Comuni e Regioni, non disponendo di fonti di finanziamento garantite, saranno costretti a svolgere le loro funzioni in condizioni di precarietà continua, assumendosi peraltro l’onere politico e sociale derivante dalle scelte di politica economica e tributaria decise del Governo, che li costringe a ridurre la spesa per le residue politiche sociali loro attribuite, a fronte di un contesto sociale caratterizzato dall’acuirsi dei processi di precarizzazione, impoverimento, perdita dei diritti fondamentali.
Considerato quanto sopra esposto, esprimendo un giudizio negativo sulla riforma del Titolo V, contenuta nel DDL “Renzi/Boschi” chiede alla Giunta regionale di adoperarsi ad ogni livello istituzionale per ricusare i contenuti della riforma.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati