di Angelo d’Orsi
I morti continuano a crescere di numero, i feriti riempiono gli ospedali, chissà quanti corpi, magari ancora vivi, sotto le macerie di quei borghi del Centro Italia, così ricchi di tradizioni, di folclore, di memorie. Il primo ministro si reca in gita e convoca conferenza stampa in cui loda, e si sbroda, le capacità degli italiani. La Rai segue a ruota, in una infinita, insopportabile apologetica delle nostre doti, anche se qualche fattaccio non può essere del tutto nascosto, a cominciare dalla scuola di Amatrice ristrutturata e certificata “antisismica”, soltanto quattro anni or sono, per un importo di oltre mezzo milione di euro. Il governo si riunisce d’urgenza e… stanzia ben 50 milioni: il signor Higuain è stato pagato dalla società Juventus FC, 90 milioni.
Ma intanto, al solito, la catastrofe serve ai media ad accrescere tirature e contatti (e quindi introiti e in prospettiva inserzioni pubblicitarie). Tutti si lasciano volentieri coinvolgere: un primo piano davanti alla telecamera, un frammento di intervista col proprio nome e cognome in un colonnino di stampa, sono appetibili, anche davanti alla tragedia del proprio paese, degli amici e dei familiari. I cronisti fanno il loro sporco lavoro, e lo fanno, nella quasi totalità dei casi, in modo becero e grottesco, spesso violento: pronti a passare sui cadaveri, letteralmente.
Nelle domande insistite, invadenti, ai sopravvissuti o alle persone impegnate nei soccorsi, sembra di cogliere un implicito, sotterraneo godimento quando si può spostare in su l’asticella delle vittime. E un parallelo fastidio quando invece i morti invece di 70 sono “solo” 30, o quando non si trova una storia (più o meno vera, che importa) da raccontare, che commuova, che colpisca, non che “educhi” ma che faccia “Intrattenimento”. Non mancano le madonne o i santi “miracolosamente” salvati dai crolli. Né, nella società dello spettacolo, ormai internautico, si riescono ad evitare i prayforitaly e via twittando.
Ahinoi, i soccorritori spesso non sono da meno: persino un vigile del fuoco davanti all’occhio benevolo del cameraman parla del suo lavoro, usando termini enfatici, sprezzanti non del pericolo, ma del ridicolo, in cui rischia di cadere, come se recitasse un testo mandato a memoria: del genere, “il tremendo sisma che si è abbattuto su Amatrice” ecc., quasi che venisse intervistato vent’anni dopo. Un cane strappato alle pietre che lo avevano seppellito vivo, vede in azione n. 5 (dicasi cinque) uomini, che manca solo facciano un saluto a casa, approfittando del mezzo per il quale sembra quasi che recitino una parte, e al quale dedicano comunque uno sguardo d’intesa.
Miserie di poco conto, certo, davanti alla tragedia, che non è solo rappresentata dalla distruzione e dalla morte della notte del 24 agosto, bensì sono la cialtroneria e la corruzione di una classe politica uguale a se stessa, nei cambi di maggioranza; il pressapochismo di tanti “esperti”, assai più pronti a presentare parcelle di quanto siano a fare le cose in regola con la scienza e la legge; la scarsa o nulla professionalità di troppi giornalisti o sedicenti tali; il sostanziale menefreghismo della stragrande maggioranza della cosiddetta opinione pubblica. Ho sentito persone proporre l’immediata risolutiva ricetta per i senza tetto: “Mandiamo via tutti ‘sti immigrati, e diamo le case a quella povera gente”; ossia i terremotati. V’è bisogno forse di commento?
E le stesse bocche che ora gravemente contano i miliardi per la fantomatica “messa in sicurezza” della bizzosa terra d’Italia, sono quelle che non si sono stancate di lodare i “grandi eventi” che portano beneficio a pochi e disagi e costi per tutti, o, peggio, le “grandi opere”, quelle imprese faraoniche inutili o direttamente dannose che hanno sottratto e sottraggono risorse ed energie alla piccola opera costante della quotidianità di un paese serio: quella opera volta a prevenire e impedire le catastrofi o, quando inevitabilmente occorrano, a ridurne al minimo gli effetti. E, incurante dello sdegno che suscita ogni sua comparsata, persino il mitico Bertolaso si fa vivo, con i suoi preziosi consigli di grande vecchio della protezione (in)civile: e invita i soccorritori a cercare prima i vivi da salvare. Quando si dice “professionalità”.
Non c’è nulla da fare. Nessuna lezione sarà tratta da questa ennesima tragedia. E la rumorosa e costosa logica dell’emergenza continuerà a dominare. Mentre quella pacata e silenziosa dell’ordinarietà rimarrà sepolta ancora una volta sotto le macerie.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 26 agosto 2016