Per una perfetta autocrazia: la governabilità, dalla sovranità popolare a quella dei mercati

12 Luglio 2016 /

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di Luigi Ferrajoli, Comitati Dossetti per la Costituzione
Forse è proprio questa azione congiunta delle due riforme ciò che viene perseguito da Matteo Renzi, in accordo con il suo progetto di mutamento in senso decisionista e populista del sistema politico. Del resto, nel momento in cui si è invertito il rapporto tra politica ed economia, non essendo più la politica che governa l’economia ma viceversa, la semplificazione in senso autoritario del sistema politico diventa necessaria.
“Governabilità” è la parola d’ordine con cui, oggi come ieri – da Craxi a Berlusconi e a Renzi – viene giustificata questa semplificazione: che vuol dire onnipotenza della politica rispetto alla società, resa necessaria dalla sua impotenza e dalla sua subalternità ai poteri dei mercati. Di qui il nesso funzionale tra prima e seconda parte della Costituzione e l’enorme incidenza delle modificazioni di questa su quella, dedicata ai diritti dei cittadini. “Ce le chiede l’Europa”, affermano i nuovi costituenti a proposito delle loro riforme.
È vero: l’Europa e tramite l’Europa i mercati ci chiedono l’involuzione autocratica delle nostre democrazie, necessaria perché i nostri governi abdichino al loro ruolo di governo dell’economia e della finanza e possano liberamente aggredire i diritti sociali e del lavoro dai quali dipendono la vita e la dignità dei cittadini.

Già oggi, tra decreti-legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa, circa il 90% della produzione legislativa è di fonte governativa. La cosiddetta revisione equivale alla costituzionalizzazione e al perfezionamento di questo processo di verticalizzazione e concentrazione dei poteri nell’esecutivo, al quale essa assegna corsie privilegiate e tempi abbreviati – l’approvazione entro settanta giorni – per i disegni di legge “indicati come essenziali per l’attuazione del programma di governo”.
Già oggi, grazie alle mani libere dei governi, si è prodotto un sostanziale processo decostituente in materia di lavoro e di diritti sociali, con l’abbattimento di quell’ultima garanzia della stabilità dei rapporti di lavoro che era l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e con il venir meno della gratuità della sanità pubblica e la monetizzazione di farmaci e visite che pesa soprattutto sui poveri, al punto che ben 11 milioni di persone nel 2015 hanno dovuto rinunciare alle cure.
La nuova Costituzione rende ancor più libera da limiti e vincoli questa “governabilità”, interamente a spese dei ceti più deboli. Si parla sempre del Pil come della sola misura della crescita e del benessere; mentre si tace sul fatto che per la prima volta nella storia della Repubblica sono diminuite le aspettative di vita delle persone.
Si capisce allora come dall’esito del referendum confermativo dipenderà il futuro della nostra democrazia: la conservazione, almeno sul piano normativo, del suo carattere parlamentare e la domanda popolare di una svolta diretta a restaurarlo, oppure la legittimazione e lo sviluppo dell’attuale deriva anti-parlamentare; la riaffermazione della sovranità popolare, oppure la consegna del sistema politico alla sovranità anonima e irresponsabile dei mercati.
In tutti i casi, qualunque sarà l’esito del referendum, la battaglia in difesa della democrazia costituzionale non sarà finita. Se vincerà il si, occorrerà puntare a una riforma della legge elettorale in senso puramente proporzionale, senza premi di maggioranza né soglie di accesso al Parlamento, quale sola garanzia perché l’unica Camera non si riduca a una propaggine del governo.
Se invece vincerà il no, occorrerà che quanti hanno a cuore la salvaguardia della nostra Costituzione e del modello di democrazia da essa disegnato si impegnino a mettere finalmente l’una e l’altro al riparo da future aggressioni di parte, mediante un rafforzamento della procedura di revisione prevista dall’articolo 138: una maggioranza quanto meno dei due terzi dei componenti del Parlamento per qualunque modifica; la rigidità assoluta associata ai principi supremi – uguaglianza, diritti fondamentali, rappresentanza politica e separazione dei poteri – attraverso l’esplicita esclusione, già adottata nelle costituzioni più recenti, dalla Costituzione portoghese a quella brasiliana, di qualunque loro riduzione o restrizione; infine il carattere di emendamento singolare, cioè di modifica o integrazione di singole norme, e non di interi titoli della Carta, che dovrà avere qualunque legge di revisione costituzionale.

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