di Alfieri Grandi, vicepresidente del Comitato per il No
La campagna elettorale sul referendum costituzionale di ottobre è stata concepita da Renzi come un’arma di “distrazione” di massa. Con l’obiettivo di distrarre l’opinione pubblica dal temuto risultato negativo del Pd nelle elezioni comunali, per evitare il contraccolpo della sconfitta sulla tenuta del governo e sulla sua leadership. Questa strategia di distrazione dell’opinione pubblica ha stupito per il grande anticipo sul referendum, ma è riuscita solo in parte, perché la sconfitta nei Comuni è stata peggiore del previsto e perché l’esito del referendum di ottobre non è più lo scontato plebiscito che Renzi sperava.
La grancassa di Renzi ha richiamato l’attenzione sul referendum di ottobre, prima argomento poco conosciuto, malgrado il lavoro del Comitato per il No, iniziato con l’assemblea pubblica dell’11 gennaio scorso contro le deformazioni della Costituzione. Più le informazioni circolano più cresce il numero dei contrari alle deformazioni della Costituzione. Renzi prima ha raccontato che il referendum lo concedeva il governo, tacendo che l’articolo 138 della Costituzione non prevede referendum promossi dal governo ma solo da 5 regioni, o da 500.000 elettori, o dal 20% dei parlamentari. Il referendum ci sarà perché il governo non ha avuto il consenso dei due terzi dei parlamentari, malgrado il premio di maggioranza di cui gode il Pd (quello del Porcellum, dichiarato incostituzionale) e l’apporto di Alfano e Verdini. Di recente Renzi, segretario del Pd, ha promosso una raccolta di firme copiando l’iniziativa in corso del Comitato per il No, che le raccoglie da quando il testo delle deformazioni costituzionali è stato pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale e che verranno consegnate in Cassazione il 14 luglio.
Il governo si è reso conto che il Comitato per il No con la raccolta delle firme ha promosso una mobilitazione di migliaia di cittadini, costituendo 400 comitati locali, sensibilizzando centinaia di migliaia di elettori, costruendo uno schieramento crescente di sostegno politico e sociale per il No. Il governo si è ben guardato dal rimuovere difficoltà nella raccolta delle firme: il ministro degli Interni, informato da tre mesi che la trasformazione delle Province in aree metropolitane non ha trasferito loro le funzioni di certificazione delle firme, si è ben guardato dal porvi rimedio con urgenza. Meno certificatori uguale a meno firme e a più spese. Con la Posta certificata si possono regolare importanti atti finanziari, anche le Entrate useranno la Pec nel rapporto con i contribuenti, ma le segreterie dei Comuni non rispondono alle richieste dei Comitati per ottenere i certificati con la Pec perché il governo non ha fatto la circolare attuativa. Un sottosegretario agli Interni ha riconosciuto in Parlamento che i Comitati referendari hanno ragione ma si è “dimenticato” di fare la circolare attuativa della legge e i comuni continuano a non rispondere.
È importante che i due Comitati per il No alle deformazioni della Costituzione e contro l’Italicum abbiano fatto una lettera comune con il Comitato promosso dai radicali per rivendicare la modifica della burocratica regolamentazione delle iniziative referendarie. Se non per questi referendum, vista la sordità del governo, almeno per quelli che verranno. I Comitati per il No nel referendum costituzionale e contro l’Italicum hanno insistito sul legame inscindibile tra deformazioni della Costituzione e legge elettorale perché l’effetto congiunto capovolge l’assetto istituzionale, oggi centrato sul Parlamento, per fondarlo sul ruolo del governo e del suo capo, inoltre prevedono la non eleggibilità da parte dei cittadini dei loro rappresentanti, almeno 2/3 dei deputati e tutti i senatori.
È difficile comprendere come si possa votare Si al referendum di ottobre in cambio di qualche modifica all’Italicum, come sostiene una parte del Pd. L’Italicum va cambiato, ma la modifica della Costituzione è sbagliata in sé, prevede un iter per le leggi complicato, erratico, finge di abolire il Senato creando un mostriciattolo, accentra nel governo poteri delle regioni e degli Enti locali. Il governo detterà l’agenda della Camera, che diventerebbe sede di ratifica dei voleri del governo. La legge elettorale entrerà in vigore il 1° luglio, rafforzando gli aspetti negativi delle modifiche della Costituzione, ma queste sono sbagliate in sé e vanno respinte. Non ci sarà caos dopo il referendum, ma la possibilità per il governo di rinsavire. Non è vero che non si cambierà più la Costituzione, semplicemente si eviterà un cambiamento sbagliato. C’è chi riconosce errori e parti incomprensibili nelle modifiche della Costituzione, ma affida la sua revisione al prossimo Parlamento, cioè a quello eletto con l’Italicum. Di cosa stiamo parlando? Nel voto di ottobre vinca un forte e chiaro No.
Questo articolo è stato pubblicato su IlFattoQuotidiano.it il 24 giugno 2016