di Stefano Montefiori
«L’assassinio di Jo Cox, che aveva dedicato la sua vita ad aiutare i rifugiati, che si trovava nello Yorkshire tra molti musulmani ma è stata ammazzata da un uomo legato all’estrema destra, ci dà l’opportunità di denunciare quanto il discorso pubblico sia caduto in basso in occasione del referendum sulla Ue». Uno dei migliori scrittori britannici viventi, Hanif Kureishi, nato 61 anni fa a Londra da padre pachistano e madre inglese, incolpa «indirettamente» l’imbarbarimento del dibattito politico nel Regno Unito (e non solo) per la morte della deputata laburista.
La questione dell’Europa ha fatto saltare i freni?
«Ormai in Inghilterra le persone si sentono libere di dire in pubblico cose che fino a qualche anno fa avrebbero avuto vergogna a pensare. Non si parla che di immigrati, con toni violenti e triviali, e questo fa assumere un tono quasi fascista al dibattito, sempre più angusto. Invece andrebbe allargato ad altri temi».
Per esempio?
«Dovremmo discutere davvero della globalizzazione, del nomadismo dei lavoratori e non, del neoliberalismo che venne introdotto in Gran Bretagna da Margaret Thatcher con effetti disastrosi sugli alloggi, la scuola, la sanità, i diritti dei lavoratori. E poi dovremmo parlare di super capitalismo, della vendita di intere zone di Londra a miliardari cinesi, arabi, americani, russi. Ma invece di una conversazione ampia e onesta su che cosa sta accadendo alla Gran Bretagna, ci concentriamo solo su una discussione ignorante sugli immigrati».
Qual è la sua opinione sul loro ruolo?
«Bisognerebbe ricordare che la ricchezza della Gran Bretagna si è costruita anche sul colonialismo, e poi sugli immigrati dai Caraibi e dal Pakistan e poi dal Bangladesh e così via. Il grande successo di Londra si fonda su armate di immigrati venuti da tutto il mondo. Se uno è sveglio di notte vede questi eserciti di persone che puliscono gli uffici, mandano avanti i bar e i ristoranti e che fanno funzionare la città. Tutta gente venuta da fuori».
Il discorso pubblico involgarito è anche il frutto della lotta al politicamente corretto, molto in voga anche in Francia?
«Liberarsi dal politicamente corretto non dovrebbe significare sentirsi liberi di dire qualsiasi idiozia o di attaccare con violenza verbale un gruppo razziale. Questa non è libertà. Invece siamo alla costruzione e individuazione come bersaglio di un gruppo mitico, come gli ebrei, i musulmani, i neri o chiunque, che diventano i capri espiatori delle proprie difficoltà. Il nuovo politicamente corretto è il ritorno al pensiero dominante degli anni Trenta, quando era comune ogni giorno incolpare gli ebrei per qualsiasi problema. Quella era l’opinione standard. I circoli intellettuali anti politicamente corretto che oggi se la prendono con i musulmani smettono di pensare, e questo è un tradimento della loro funzione. Fa dispiacere in particolare in Francia, il Paese dell’Illuminismo e di pensatori come Foucault, Lacan o Derrida. I diritti per cui abbiamo combattuto in Europa, il diritto delle minoranze, delle donne, dei lavoratori, l’uguaglianza, sono centrali per una società liberale. Se molliamo su questo molliamo su tutto».
Alla fine, nel Regno Unito per la Brexit, come in Francia con la campagna per le prossime presidenziali che si avvicina, la sensazione è che il nodo cruciale del discorso politico non sia l’economia, ma la questione dei valori e dell’identità culturale.
«È così. Il punto oggi è l’identità, la battaglia politica si svolge sulle questioni legate ai valori, al sesso. E infatti, attacchi terroristici islamici ai luoghi di piacere, dal Bataclan di Parigi al Pulse di Orlando. Non vedo come la destra di oggi possa accettare una Europa multirazziale e multiculturale, ma la verità è che abbiamo già una Europa multirazziale e multiculturale, e dobbiamo viverci. Londra è un luogo davvero cosmopolita, oggi al parco ero l’unico a parlare inglese… In ogni caso non si può tornare indietro. Possiamo discutere se l’anno prossimo lasceremo entrare 80 mila o 20 mila immigrati, ma comunque l’identità culturale europea è gia cambiata. La questione è come andare avanti, come vediamo noi stessi nel futuro, come possiamo fare funzionare una società integrata».
È ottimista?
«L’imbarbarimento della destra e la crisi ideale della sinistra non lasciano ben sperare».
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere.it il 19 giugno 2016