La tragedia dell'utilitarismo: il caso dell'acqua, diritto umano e bene comune pubblico / 3

10 Giugno 2016 /

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Acqua Pubblicadi Riccardo Petrella
(Prima e parte)
Il predominio della concenzione utiliitarista. La costruzione del muro
Il fondamento teorico, ideologico, della concezione utilitarista sta nella tesi che il valore di un bene, di un servizio, di ogni cosa è strettamente legato al binomio rarità/utilità. Da qui il principio – elemento chiave del marginalismo- che il valore di un bene diminuisce con la quantità disponibile. Più il bene è raro, più esso ha valore. Pertanto, più un bene è utile ed è richiesto, più il suo valore aumenta ed il  prezzo di mercato ne dà la misura.
Contrariamente alle tesi dell’economia detta classica che ha cercato di definire il valore dei beni sulla base di elementi soggettivi (la terra, le risorse naturali, il lavoro incorportato nei prodotti…,) la svolta introdotta dal marginalismo sta nell’aver messo l’accento su elementi soggettivi (i bisogni individuali, le preferenze e le scelte personali, i desideri, i comportamenti degli investitori, dei consumatori, delle autorità pubbliche…).
Così facendo i promotori del marginalismo hanno dato forza non solo alle politiche di esaltazione del ruolo del mercato e dei meccasnismi di domanda/offerta, ma anche alle strategie di rarefazione dei beni da parte dei detentori di capitali come mezzo per aumentare il valore (e, quindi, i profitti) delle imprese da loro possedute e/o controllate. [5]
Come illustrato dalla figura 1, il ciclo socio-economico e politico dell’acqua secondo la concezione utilitarista comincia con la visione dell’acqua considerata essenzialmente come una risorsa naturale vitale d’importanza strategica per l’economia e la crescita economica. È cosi che è definita l’acqua nei primi documenti della Banca Mondiale e dell’ONU in occasione della prima conferenza internazionale dell’ONU sull’acqua del 1977 a Rio de la Plata. [6]

Questa condusse alla proclamazione del «Decennio internazionale per l’acqua dell’ONU 1981-91» il cui obiettivo fu di promuovere l’accesso all’acqua potabile per tutti. Nulla di ciò avvenne, e nemmeno nel 2000 e nel 2015, date previste successivamente dalla Banca mondiale e dall’ONU per il raggiungimento dell’obiettivo. La data è stata ora spostata al 2030….!
Possiamo datare l’affermazione del dominio della concezione utilitarista all’inizio degli anni Novanta, e precisamente nel 1992, anno simbolicamente importante (500° anniversario della «scoperta» e «conquista coloniale» del «Nuovo Mondo»). Quell’anno, l’ONU organizzò in America latina, a Rio de Janeiro, il Primo Vertice Mondiale della Terra, con lo scopo di lanciare una riflessione frontale a 360 gradi sul divenire della Terra e tentare di gettare le basi per un’azione globale integrata fra tutti gli Stati della Terra per risolvere i problemi comuni. Un’opportunità da non mancare e per i gruppi dominanti e per tutti coloro che da anni lottavano per un mondo migliore.
Non tutto ciò che venne fuori da Rio 92 fu rosa né nero. Fra i risultati positivi certamente un posto di rilievo occupa l’approvazione delle Agende Locali 21, la Convenzione sulla Deforestazione e la Desertificazione, l’accordo sulla Biodiversità e la costituzione delllo GIEC (in materia di cambiamento climatico).
Per il resto, ed in particolare per l’acqua (malgrado le numerose pagine ad essa dedicate nel capitolo 18 dell’Agenda 21), il bilancio è negativo. In effetti, in occasione della conferenza internazionale sull’acqua organizzata a Dublino dall’ONU in aprile 1992 in preparazione di Riò92, è stato messo nero su bianco, per la prima volta nella storia della comunità internazionale, il principo fondativo che l’acqua deve essere considerata essenzialmente come un bene economico (il cosidetto «terzo principio di Dublino»).[6]
In una economia capitalista di mercato, un bene economico, è definito, secondo l’americano Paul Samuelson (lo scrisse nel 1950), Premio Nobel per l’economia nel 1970, da due caratteristiche principali: la rivalità e l’esclusione. Queste ne fanno un bene prettamente privato, differente da un bene pubblico. L’acqua, si è affermato, non sfugge al criterio di rivalità: tutti tendono ad appropriarsi delle risorse idriche ed ad utilizzarle per i propri bisogni vitali, ciò facendo ne escludono l’accesso e l’uso agli altri (rivali).
Da qui i conflitti tra agricoltori e popolazionni urbane, tra usi domestici ed usi industriali, tra territori, tra Stati appartenenti allo stesso bacino idrografico che vede in conflitto permanente gli Stati a monte e quelli a valle. Il “terzo principio di Dublino” fu adottato senza difficoltà al Primo Vertice della Terra. A Riò92, i gruppi dominanti spinsero il chiodo, sempre più largo, ancor più in profondità insistendo con forza sul fatto che l’acqua è un bene economico divisibile appartenente al mondo dei bisogni vitali.
Ora, i bisogni sono individuali e collettivi e possono variare nel tempo e nello spazio. Esprimono preferenze ed utilità differenti e si affermano, sovente, sotto forma di interessi. Pertanto, in questo quadro, l’acqua non può essere oggetto di un diritto umano: questo è indivisibile, universale, non varia nel tempo e nello spazio. Iil diritto all’acqua potabile è lo stesso fra 100 anni, non può far parte di un menu à la carte. Non riflette interessi specifici o generali. Il concetto di interesse e di utilità non si applica ai diritti umani. Nel mercato non vi sono diritti, salvo quello della proprietà privata e della libertà di commercio.
Su questa base, i lavori di Riò92 sull’acqua furono soprattutto concentrati sui probliemi della «gestione delle risorse idriche» al fine di renderla più efficiente, efficace ed economica. Temi di grande importanza per tutti ma soprattutto agli occhi dei gruppi sociali detentori di capitali e dei gestori delle imprese attive nel settore idrico. A Rio, particolare attenzione fu data alle questioni del valore di scambio come criterio discriminante per misurare l’utilità, la desirabilità e la a rarità delle risorse idriche.
Si cominciò cosi a parlare di water pricing (dare un prezzo all’acqua), di valuing water (dare un valore economico all’acqua) e di nature pricing (dare un prezzo alla natura). Il primo Vertice della Terra ha largamente contribuito a dare legittimità internazioanle ad una visione industrialista e tecnofinanziaria della gestione idrica. [7] I temi menzionati saranno ripresi e «sistematizzati» nel 2002 al Secondo Vertice Mondiale della Terra (Rio+10) a Johannesbourg, per essere inclusi come elementi chiave della politica mondiale dell’acqua nella risoluzione finale del Terzo Vertice della Terra tenutosi nel 2012 a Rio (Rio+20).
Rio+20 ha effettivamente consacrato la monetizzazione della natura come principio strumentale al servizio di ciò che i dominanti hanno proposto come gli Obiettivi dello Sviluppo Durevole 2030 («solennemente» confermato nel settembre 2015 a Vienna dall’Assemblea Generale Straordinaria dell’ONU sullo Sviluppo Durevole).
Non è un caso, dunque, che la Banca Mondiale rende pubblica nel 1993 la sua bibbia sulla «Gestione Integrata delle Risorse Idriche» (GIRE, diventata famosa sotto l’acronimo inglese IWRM- Integrated Water Resources Management). [8] Il «manuale» della BM riprende tutto quanto affermato a Riò92 insistendo su quattro punti in particolare: a) la gestione della risorsa idrica deve partire dal fatto che il valore dell’acqua (bene e servizio) nasce nel ed è definito dal mercato, ai costi di mercato.
Il valore dell’acqua non sta nella sua valenza per il diritto alla vita, né unicamente nel valore di uso, ma essenzialmente nel valore di scambio. Pertanto il meccanismo principale di funzionamento del sistema è il mercato, per cui è primordiale procedere alla totale liberalizzazione dei mercati dell’acqua ; b) il pilastro principale dell’architettura della GIRE è la fissazione di un prezzo dell’acqua ai costi di mercato basato sul principio del recupero dei costi totali, compresa la remunerazione del capitale investito (profitto) (full cost recovery principle).
Si tratta di un passaggio d’importanza cruciale: la fattura dell’acqua deve essere pagata dal consumatore. Altrimenti detto, anche se c’è un riconoscimento del diritto umano all’acqua, esso comporta dei costi per cui tocca al» consumatore» di pagare il prezzo corrispondente, in quanto beneficiario dell’utilità che egli tira dall’accesso e l’uso dell’acqua potabile e del trattamento delle acque reflue. Niente accesso all’acqua se non si paga ; c) l’attore principale della gestione non può essere che l’impresa privata competitiva, capace di utilizzare i capitali disponibili nella maniera la piu innovativa sul piano tecnologico ( la tecnologia come motore della politica di gestione) e la più redditizia sul piano finanziario (primato della logica finanzairia).
A tal fine, il partenariato pubblico privato (PPP) deve essere alla base dell’ingegneria finanziaria della GIRE ; d) la gestione delle risorse idriche deve fondarsi sulla partecipazione attiva di tutti i portatori d’interesse (stakeholders). Messi insieme questi elementi permetteranno, secondo gli autori della bibbia, una buona governanza dell’acqua. E cosi, il concetto di governanza, usato originariamente per valutare positivamente la gestione di fondi d’investimento è allargato al campo della politica dell’acqua al posto di quello di governo. Come sappiamo, il termine di governo, in particolare di governo dell’economia, di governo mondiale, è in via d’estinzione: i dirigenti dell’economia dominante sono riusciti ad imporre il termine di governanza da loro preferito perché in economia come a livello mondiale, altro non è che la privatizzazione del potere politico. [9]
Come l’esperienza degli ultimi venti anni dimostra, si tratta di elementi strettamente connessi che formano un blocco unico, la concezione utilitarista dell’acqua, il blocco costitutivo di base del muro – che possiamo ora chiamare «il muro utilitarista» di cui le forze in lotta per il diritto umano all’acqua e l’acqua bene comune pubblico non sono riuscite ad impedire la costruzione ed il consolidamento, anche se non sono mancate conquiste e risultati importanti in diversi paesi Bolivia, Ecuador, Venezuela Paaraguay, Brasile, Italia,Francia, Germania…) e su scala mondiile (risoluzione ONU sul diritto umano).
A partire deal 1994 le storie che seguono rappresentano storie dell’innalzamento e del consolidamento del muro e storie di perseguimento coraggioso, senza sosta, delle lotte per l’acqua contro la sua mercificazione, monetizzazione, privatizzazione, finanziarizzazione.
L’Italia, con l’approvazione della nuova legge nazionale sull’acqua – la legge Galli – del 1994 è il primo paese a mettersi in riga conformemente alla bibbia della BM. È la prima legge nazionale del mondo occidentale che introduce il» full cost recovery principle». e parla di scelte in favore di una gestione industriale delle acque efficiente , efficace e economica.
L’anno 2000 si rivela un anno decisivo: la concezione utilitarista si afferma in tutta la sua potenza, diventa il paradigma globale senza concorrenti. Almeno per quattro avvenimenti. Primo, l’approvazione da parte dell’Unione europea della Direttiva Quadro Europea sull’acqua (DQE-Acqua). Con questa Direttiva, [10], la bibbia della GIRE è istituzionalmente consacrata a livello di 27 paesi e diventa la guida «costituzionale» della politica europea dell’acqua. Come sappiamo, modificare radicalmente una direttiva quadro europea è un’opera titanica. Una volta approvata, gli Europei sanno che l’avranno con loro per decenni ! Inoltre, è tutta l’Unione Europa che aderisce alla concezione utilitarista. Non è il risultato di solo alcuni lupi cattivi.
Il fatto ha un peso politico notevole per i governi e le imprese degli altri continenti. Non dimentichiamo che i principali padri e madri della DQE-Acqua sono stati i governi e le lobbies delle grandi compagnie europee dell’acqua (in particolare francesi, inglesi, spagnole, tedesche…) che figurano tutte tra le prime dieci compagnie mondiali dell’acqua. Non c’è da stupirsi se esse abbiano cercato e cerchino di esportare il loro modello di gestione dell’acqua nel resto del mondo, con la complicità della Banca Mondiale.
A questo proposito, uno dei punti forti della bibbia GIRE è che, dal 1993, la Banca Mondiale ha introdotto la clausola della condizionalità per la concessione di prestiti per interventi nel settore dell’acqua. Se uno Stato desidera dei prestiti per la costruzione di un sistema idrico moderno nel suo paese la BM li concede a condizione che esso proceda alla privatizzazione integrale del settore idrico ed applichi i principi della GIRE. L’uso «ricattatorio» dell’acqua non è monopolio esclusivo della BM. Citiamo l’ultimo esempio più recente: l’obbligo imposto alla Grecia da parte della Troika di privatizzare i servizi idrici della città di Tesssalonica per ottemperare ai requisiti richiesti dai sogggetti creditori.
Secondo avvenimento. Il segretariato generale dell’ONU, spinto dalla necessità di fondi, firma il Global Compact (L’accordo globale) con la società civile, soprattutto con le grandi imprese multinazionali private che da tempo rivendicavano di essere associate alle varie attività dell’ONU (e non solo delle sue agenzie specializzate).
L’ingresso formale delle multinazionali nei processi dell’ONU è apertamente sostenuto da molti Stati, specie da quelli che hanno operato nei lroo paesi la privatizzazione di molti settori un tempo pubblici. In pochi anni, le multinazionali occupano sempre di più il terreno tanto che nel caso dell’acqua, l’ONU decide nel 2007 nell’ambito del Global Compact, di affidare alle imprese multinazionali il compito di redigere la proposta per una piano mondiale dell’acqua da sottomettere al Forum Mondiale dell’Acqua del 2009 a Istanbul. [11] No comment.
Terzo. Nel 2000 si tiene a l’Aia il secondo Forum mondiale dell’Acqua organizzato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, organismo privato creato nel 1996 dalle grandi imprese private dell’acqua con il sostegno della Banca Mondiale. Non solo il Forum riafferma l’adesione totale alla bibbia GIRE (del tutto naturale !) ed in particolare al principio del prezzo dell’acqua e che l’accesso all’acqua comporta che tutti devono pagare l’acqua ad un «prezzo abbordabile», ma riesce ad ottenere che a conclusione del Forum si tenga una Confèrenza ministeriale di tutti i ministri dell’ambiente, responsabili del settore acqua, la quale anch’essa non fa altro che approvare i principi cardini della concezione utilitarista, mai più messi in discussione dai successivi Forums, l’ultimo dei quali si è tenuto in Corea nel 2015. Da aggiungere che il Forum (circa 30 a 40 mila partecipanti ) è pervenuto ad essere considerato, anche da parte dell’ONU, il principale incontro mondiale in materia d’acqua.
Quarto avvenimento, infine. La banca svizzera privata, Pictet, crea il primo fondo internazionale d’investimento privato nel settore dell’acqua, quotato in Borsa. Inizia l’era della finanziarizzazione capitalista mondiale. Essa è rapida e potente: i fondi d’investimento «blu» si moltiplicano come funghi, nascono numerosi indici borsistici specializzati nel settore dell’acqua. Gli analisti finanziari parlanto dell’acqua come «the ultimate commodity» [12].
La grande fase di innalzamento e consolidamento del muro si conclude nel 2002 e nel 2003. Nel 2002, è lo stesso Consiglio dei diritti umani dell’ONU a Ginevra che con la sua «Osservazione generale 15» avalla le tesi sul necessario ed indispensabile pagamento dell’acqua ad un prezzo abbordabile in funzione dell’uso e della sua quantità. [13] L’organismo onusiano ha cosi consacrato un’inversione di cultura, di concezione della vita e dei diritti.
Anzichè mantenere la pratica introdotta dallo Stato del welfare secondo la quale incombe alla collettività, via la fiscatià generale e specifica, di garantire la copertura dei costi del diritto umano all’acqua, esso ha sposato la legittimità dell’obbligo del pagamento di un prezzo. In detto contesto, il diritto umano all’acqua potabile lascia il campo dei rapporti pubblici di rispetto e di responabilità tra la comunità umana (le collettività locali, lo Stato, comunità sovranazionanli, la comunità mondiale) ed i cittadini, secondo regole vincolanti per tutti, per entrare nel campo delle relazioni contrattuali di natura privata e mercantile tra fornitori di beni e di servizi e utilizzatori/clienti. Ogni idea di diritto (e quindi di pbbligo collettivo) è sostituita dall’idea di utilità (e quindi di preferenze personali).
Approfittando della grande porta aperta dal Consiglioi dei diritti umani dell’ONU, i partecipanti alla conferenza internazionale dell’ONU sul finanziamento dell’acqua nel mondo a Monterey nel 2003, hanno facile gioco per imporre definitivamente il principio che tocca al mondo della finanza privata e pubblica, sulla base di partenariati pubblico privato,di trovare i dispositivi e gli ingegni appropriati per garantire il finanziamento più redditizio in sostegno della governanza mondiale e della gestione delle risorse idriche efficiente, efficace ed economica.[14]
Tempo e spazio mancanti, debbo tralasciare il riferimento a tanti altri fatti e processi utili per capire come e perché la lotta contro il muro non ha impedito la sua costruzione ed il suo consolidamento e ciò malgrado la grande conquista rappresentata dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazionni Unite del 2010 sul diritto umano all’acqua. In realtà, è successo anche quanto è accaduto ai risultati dei referendums di giugno 2011. Formalmente, i gruppi dominanti hanno adottato la strategia «dolce»: far dimenticare l’esistenza della risoluzione, tentare di non menzionarla nei documenti ufficiali delll’ONU e farla cosi scivolare negli interrati dei documenti archiviati.
Sostanzailmente, invece, hanno rinforzato le loro tesi sul fatto che l’accesso all’acqua, indipendentemente dal riconoscimento del diritto, deve essere pagato come sono riusciti a fare per tanti altri diritti (diritto alla casa, all’alimentazione, alla salute…). L’acqua costa, hanno ricominciato a gridare da tutti i tetti delle città. L’acqua è preziosa, sta diventando rara, «il consumatore» deve pagare la fattura ddell’acqua ad un prezzo abbordabile.
Il principio del pagamento di un prezzo abbordabile accoppiato all’introduzione di dispositivi quali la tarifficazione sociale (abbassamento del prezzo e più grandi facilità di pagamennto per le famiglie povere) si impone dappertutto, diventa accettabile anche in seno alle forze ociali in lotta per il diritto umano e l’acqua bene comune pubblico. Prova ne sono il rapporto del Relatore speciale dell’ONU sul diritto umano all’acqua potabile del 5 agosto 2015 [15] ed il rapporto d’iniziativa parlamentare  «I seguiti dati all’iniziativa dei cittadini europei Right2Water» del Parlamento europeo approvato l’8 settembre 2015. [16]
Il rapporto del Relatore speciale dell’ONU porta su «l’accessibilità economica all’acqua». Il titolo la dice già lunga sulle scelte operate dal Relatore speciale. E, di fatto, il rapporto non mette in questione l’obbligo del pagamento di un prezzo abbordabile ma concentra il suo lavoro su una analisi comparativa molto dettagliata delle molteplici forme assuntte dalla «tarifficazione sociale» nei vari paesi del mondo in favore delle popolazioni povere ed in stato di difficoltà economiche.
Il suo scopo è di mettere in luce quelle forme che hanno permesso di raggiungere l’obiettivo in maniera più efficiente ed economica. Il Relatore speciale dell’ONU dimentica di «ricordarsi» che il diritto umano all’acqua non è una questione di politica sociale in favore dei poveri, ma che fa parte della politica dei diritti universali.
Il rapporto redatto dall’europarlamentare irlandese di sinistra la signora Boylan, centrato in partenza sul contributo dell’ICE «Right2Water» in quanto strumento o no di democrazia partecipata a livello europèo, si rivela uno dei migliori documenti redatti dal Parlamento europèo sulle problematiche del diritto all’acqua ed ai servizi igienico-sanitari, la gestione dei servizi idrici ed il mercato interno europeo, la politica estera e dello sviluppo dell’Unione europea nel settore dell’acqua, Come la sua redattrice lo precisa fin dall’inizio, il rapporto costituisce un nuovo tentativo da parte del Parlamento europèo di spingere l’UE a definire e proporre l’adozione di una politica chiara, precisa e corretta del diritto all’acqua e, quindi, di una politica integrata delle acque europee ispirata alla giustizia sociale, la sostenibiità integrale e la partecipazione cittadina.
Così, il rapporto Boylan invita la Commissione a riaffermare chiaramente l’importanza del diritto umano all’acqua e riconoscere l’acqua come bene comune pubblico avente un valore fondammetale per tutti, e non come merce. Il rapporto si oppone alla sospensione dei servizi idrici per motivi d’insolvenza o di morosità considerando l’interruzione della fornitura dell’acqua una violazoine dei diritti umani. Denuncia l’ambiguità della Commissione che pretende di sostenere una posizione neutra a proposito del regime di proprietà dell’acqua e dei servizi idrici, allorché la Direttiva Quadro Europea sull’acqua impone chiaramente (art.9) il principio della remunerazione del capitale investito generatore di profitto e che la Commissine cerca da anni d’imporre la sottomissione dei servizi idrici alle regole del mercato interno europeo liberalizzato.
Il rapporto non dimentica di sottolineare che la politica dell’austerità perseguita dalla Commissione si è tradotta nell’imposizione al Portogallo, all’Irlanda, alla Spagna, alla Grecia… della privatizzazione dei servivi idrici come condizione per il mantenimento del cosidetto «aiuto finanziario». Il rapporto chiede che l’UE escluda sistematicamente l’acqua dagli accordi internazionali sul commercio e gli investimenti, che la proprietà pubblica dell’acqua sia salvaguardata e riaffermata, limitando il ricorso al settore privato unicamente a certe funzioni tecniche. Infine, esprime la preferenza per i partenariati pubblici-pubblici e non pubblico-privato, e dà la priorità alla gestione diretta da parte dei Comuni in una prospettiva favorevole allo sviluppo locale ed alla partecipazione dei cittadini.
Riguardo il diritto all’acqua, il rapporto riafferma con forza che il diritto non può essere sottomesso e condizionato dalle logiche mercantili. Tuttavia, proprio sulla questione centrale del finanziamento dei costi del diritto anche il rapporto Boylan si ferma, non è riuscito ad andare più avanti  fino alla tesi dei costi presi a carico della collettività via la fiscalità. Ii muro utilitarista è intervenuto, il tabu resta inviolato. Boylan non mette in questione l’obbligo del pagamento di un prezzo abbordabile e «rientra» nella soluzione dell’accoppiata «prezzo abbordabile + tarifficazione sociale». Ma il muro può essere e sarà abbattuto
È possibile abbattere il muro utilitarista.
La ragione del mio apparente «ottimismo volontarista…» sta nella tragedia della concezione utilitarista. Il muro ci dice che questa concezione ha raggiunto una forma elevata di potenza e resistenza. Ora, più la concezione utilitarista della vita si afferma e si universalizza ed i processi di produzione, distribuzione e consumo delle risorse disponibili si intensificano al’insegna della predazione e dell’estrattivismo totale, come sta accadendo non solo per l’acqua, più le scelte politiche ed economiche dei gruppi dominanti si traducono in processi di devalorizzazione e distruzione della vita.
Penso anzitutto all’indice del «giorno del superamento» (OvershootDay) calcolato da alcuni anni dal Global Footprint Network . [17] Secondo l’impronta ecologica cosi misurata, nel 2015 gli abitanti della Terra (non tutti nella stessa proporzione, evidentemente) hanno consumato il capitale biotico di terra e di acqua al 13 agosto dell’anno.
«Il giorno del superamento» era stato stimato nel 1984 al 21 novembre. L’accellerazione della predazione del pianeta è stata piuttosto elevata in venti anni . La logica utilitarista che pretede condurre all’ottimo dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità della gestione delle risorse del pianeta genera la loro distruzione.
Penso, poi, in particolare, alla drammatica riduzione in termini anche quantitativi della disponibilità di acqua qualitativamente buona per usi umani e della sua accessibilità socio-economica . Secondo le richerche condotte in materia dall’UE, solo poco più del 50% delle acque europe sono nel 2015 in un buono stato ecologico. In proposito, i fatti di cronaca quotidiana lasciano pensare che la percentuale delle acque qualitativamente buone sia ben inferiore al 50%. La situazione è peggiore in Africa, nel Medio Oriente, in Asia minore e e centrale, in Russia, in India, in Cina, negli Stati Uniti…
Penso anche alla degradazione del suolo (deforestazione e desertificazione ) e conseguente diminuzione della biodiversità e della fertilità delle terrre coltivabili con previsioni catastrofiche riguardo la produzione e l’accesso futuro ai tre cereali di base, (grano, riso, mais)
E penso, soprattutto, alle inuguaglizanze sociali ed alla possibile ulteriore disaggregazione delle comunità umane, non solo a livello mondiale ma anche a livello locale, causate dall’economia dominante.
Un solo esempio per dare il senso storico a questa affermazione. In previsione dei cambiamnenti idrici che sconvolgeranno nei prossimi decenni il nostro pianeta a causa dei cambiamenti climatici, i Paesi Bassi (più di 12 milioni di abitanti) hanno investito negli ultimi 15 anni centinaia di miliardi di $ per la strategia detta di adattamento, cioè preparare il paese a vivere in una situazione di aumento del livello dei mari e prevedono di continuare ad investire altre centinaia nei prossimi 20 anni.
È ragionevole credere che, in queste condizioni, gli olandesi riusciranno a garantire la loro sicurezza di vita. Molte zone del Bangladesh (180 milioni di persone) sono già sott’acqua. Il paese non ha potuto investire un solo $ per la propria sicurezza futura. In caso di elevazione del livello del mare, l’intera popolazione rischia di dover abbandonare il territorio. Dove andrà?
La tragedia dell’utilitarismo sta proprio nella sua insostenibilità a causa della sua logica creatrice d’inuguaglianze profonde fra gli esseri umani ed i popoli di fronte alle condizioni di vita e di sicurezza di esistenza. Le inuguaglianze rendono inevitabile la distruzione delle comunità umane e del vivere insieme . L’utilitarismo conduce all’esaurimeto dei processi di rigenerazione della grande «comunità di vita della Terra».
La seconda ragione del mio «ottimismo» sta nel fatto che la storia anche recente ha dimostrato che un «piccolo « popolo come la Bolivia ha potuto far approvare dall’Assemblea Generale dell’ONU la risoluzione sul diritto umano all’acqua malgrado l’opposizione dei principali paesi potenti del mondo a cominciare dagli Stati Uniti ed il Regno Unito. Quando c’è volonta politica e determinazione è possibile ipotizzzare un cambiamento «radicale» anche se solo di una «parte» del sistema. Alla stessa conclusione si giunge pensando alla ripubblicizzazione effettiva dell’acqua a Napoli, sola grande città ad essere riuscita a realizzarla in conformità ai referendum del 2011. Malgrado l’avanzata demolizione dello Stato di diritto, è possibile che un’autorità giudiziaria, il tribunale di Limoges in Francia, pronunci una sentenza con la quale vieta perché illegale l’interruzione dell’erogazione dell’acqua potabile per motivi di morosità e d’insolvenza.
Altrimenti detto, è difficle arrestare un popolo in cammino per la difesa dei suoi diritti universali. Prenderà tempo e domanderà molte energie ma il muro cadrà, sarà abbattuto. Una prima difficoltà da superare è la debolezza dell’unione ed integrazione delle azioni condotte dalle organizzazioni di lotta per il diritto umano e l’acqua bene comune. Particolarmente in Europa, la situazione è preoccupante. Sono convinto che l’unione/integrazione delle varie azioni potrà farsi in Europa se la leva della mobilitazione è centrata sulla costituzione, e in sostegno di essa, in seno al Parlamento europeo di un gruppo di parlamentari (una dozzina), in stretto collegamento con altri parlamentari nazionali e locali, convinti e decisi a far cambiare una serie di dispositivi europei d’importanza maggiore per la politica dell’acqua. Il tema, per esempio, della qualità delle acqua potrebbe esssere il loro cavallo di battaglia. Penso, concretamente,ad una «European Parliamentarian Plateform for the Right to Water Quality».
A livello internazionale e mondiale,si dovrebbe approfittare dei prossimi due Forum Sociali Mondiali per (ri)lanciare la battaglia per sconfiggere l’egemonia ideologica dei gruppi dominanti (Forum Mondiale dell’Acqua, Global Compact, Global Water Partnership, World Economic Forum, Banca Mondiale, tecno-burocrazie onusiane, tecno-oligarchie europee, cinesi, indiane, americane…) e dare cosi spessore politico e valenza socio-culturale mondiale alle indispensabili azioni dal basso sulle quali, però, si sono oggi rannicchiate le forze di opposizione.
In effetti, una seconda difficoltà risiede nella diminuita autonomia di capacità utopica da parte degli alternativi al sistema. Sono convinto che è possibile recuperare l’autonomia soprattutto in questo periodo in cui appare in tutta evidenza l’incapacità strutturale dei poteri dominanti di risolvere i problemi del mondo, in particolare dell’acqua, dalla salute, dell’alimen tazione, del lavoro nell’interesse di tutti gli abitanti della Terra e non solo per le poche centinaia di milioni di «benestanti».
Abbiamo a nostra disposizione un argomento fattuale di peso: l’assurdità evidente e l ‘insostenibilità pratica ddlla pretesa delle tecno-oligarchie dominanti legate al globocapitalismo mercantile, speculativo e predatore di diventare i proprietari della vita sul pianeta . La battaglia per la riappropriazione collettiva da parte dell’umanità della responsabilità della vita e, quindi, dell’acqua come bene comune pubblico mondiale, in alternativa all’appropriazione da parte del mercato e della finanza, può essere la base dei processi di riconquista dell’autonomia utopica
Note bibliografiche

  • [1] M.M Mekonnen & A.Y.Hoekstra, Four billion people facing severe water scarcity, Science, 12 feb 2016
  • [2] Warren Buffet, noto e stimato finanziere, 2a persona più ricca al mondo dopo Bill Gates, ha dichiatato alcuni anni fa, «There’s a class warfare. All right, but it’s my class, the rich class, that’s making wars and we’re winning»
  • [3] L’ipotesi Gaia parte dall’idea della Terra come «sistema autoregolantesi». Il suo autore è un fisico britannico, James Lovelock
  • [4] Ricordiamo che 11 Stati membri dell’Union europea dei 27 hanno votato contro la risoluzione
  • [5] Sulle tesi marginaliste e la loro influenza sulle scelte politiche economiche degli ultimi quaranta anni vedere Riccardo Petrella, Au nom de l’humanitè. L’audace mondiale, Editions Couleurs Livre, Bruxelles, pp. 106-122
  • [6] Cfr, Dublin Declaration ln Water
  • [7] Consiglio la visione del film documentario Banking Nature di Denis Delestrac e Sandrine Feydell, Icarus Films. Il sottotitolo vale da solo «Or cashing in on the destruction of nature»
  • [8] Interessante una analisi attualizzata dell’IWRM condivisa d lla BM in Water Blog: New approches in water resources management, in Water Resources and Economics, (vol13), 2016
  • [9] Sulla governanza ed il PPP come due facce della stessa medaglia vedi Riccardo Petrella, Una nuova narrazione del mondo, EMI, Bologna,2007
  • [10] Cfr La Direttiva Quadro Europea sulle acque dell’UE, 2000/60/CE
  • [11] Il CEO Water Mandate ha continutao a lavorare. Vedasi il suo ulitmo documento Two-Year Strategic Plan 2014-15, una breve ma forte ode al ruolo degli stakeholders ed al legame tra le imprese private dell’acqua e gli obiettivi dell’Agenda dell’ONU Post- 2015
  • [12] Cfr Riccardo Petrella, Il capitalismo blu, Sezano Vr) Quaderni del Vivere insieme, 2011
  • [13] Osservazione generale n° 15, 2002 del Connsiglio dei Diritti Umnai, Oniu, Ginevra
  • [14] In tale occasione fu presentato ed approvato il «rapporto Camdessus», ex direttore generale del FMI, su «Finanziare l’acqua per tutti»
  • [15] Rapporto del Relatore speciale dell’ONU sul diritto umano all’acqua, L’accessibilità economica dell’acqua, 5 agosto 2015
  • [16] Relazione sul seguito all’iniziativa dei cittadini europei. Relatrice Lynn Boylan, www.europarl.europa.eu
  • [17] Sull’impronta ecologica, vedi Global Footprint Network, www.footprintnetwork.org

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