di Giovanni Lamagna
Ho letto (e riletto più volte) l’intervista di Ezio Mauro a Roberto Benigni su “la Repubblica” del 2 giugno e vorrei commentarla freddamente, senza pregiudizi, cercando di vincere il sentimento polemico, che mi viene istintivo (devo confessarlo subito), dal momento che io voterò “no” (con la mente e col cuore, per usare due termine adoperati da Benigni) al referendum confermativo della riforma costituzionale varata qualche settimana fa dal governo Renzi/Boschi, mentre nell’intervista Benigni dichiara che voterà “sì” (con la sola mente, perché col cuore voterebbe “no”).
Proverò ad enucleare i punti dell’intervista che mi sembrano i più significativi e a riferire i sentimenti e i pensieri che via via scaturiscono in me alla loro lettura.
La prima parte dell’intervista è dedicata ai ricordi: quello dei genitori di Benigni (“due contadini socialisti”) che non ebbero dubbi su cosa votare al referendum del 2 giugno 1946: “Repubblica, naturalmente”; quello del tentativo operato dalla destra berlusconiana di eliminare sia la festa delle Repubblica del 2 giugno che quella della Liberazione del 25 aprile; quello della Resistenza. Ricordi in cui emerge il Benigni lirico, perfino un po’ retorico. Ma al quale non possono essere mosse obiezioni. Questi ricordi sono anche i miei ricordi.
Poi, nella seconda parte, l’intervista entra nel merito della Costituzione del 1948. Con la citazione del primo articolo e delle sue tre parole chiave: Repubblica, democratica e lavoro. E dell’articolo finale, il 139°, che sottolinea con forza: la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione. Qui Benigni continua con i suoi toni lirici e un po’ esaltati. E però comincia a ingenerare qualche perplessità. Almeno in me le ha ingenerate.
Infatti, a mio avviso, non si possono dire le cose che dice Benigni e non fare alcun cenno alle differenze profondissime tra il contesto in cui nacque (tra il 1946 e il 1948) la Costituzione italiana nella sua forma originaria e il contesto attuale, diverso, molto diverso, infinitamente diverso, quello nel quale se ne è operata una importante revisione.
Tanto più che lo stesso Benigni ricorda che “dietro la Carta (quella originaria), se si tende l’orecchio, si sente il frastuono della democrazia, che è lotta e scontro di interessi legittimi, di valori e soprattutto di idee. Però sa cosa c’era allora…? Un orizzonte comune, un impegno comune per il bene comune. E infatti quegli uomini e quelle donne sono riusciti a creare lo Stato repubblicano, la sua Costituzione e la democrazia senza violenza. Un momento di grazia”? E che a queste parole il suo intervistatore opportunamente replica: (un momento) “Che la politica (oggi) non sa più ricreare?”
Qui vengono spontanei i primi rilievi alle affermazioni di Benigni, che sono ricche di enfasi e, come dicevo prima, perfino di retorica, ma povere di attinenza con la realtà attuale, come avrebbero invece dovuto essere.
Primo rilievo. Come fa Benigni a non rendersi conto che l’articolo uno della Costituzione italiana è oggi completamente vanificato nei fatti? Che esso oramai suona spudoratamente falso e ipocrita? Che potrebbe, molto più in consonanza con la realtà attuale, essere riscritto in questi termini: “L’Italia è una Repubblica oligarchica, fondata sull’impresa e sul mercato. La sovranità appartiene agli imprenditori e ai finanzieri, che la esercitano nelle forme e nei limiti della Costituzione”? E che perciò la Costituzione andava (ed è stata) aggiornata nella seconda parte, in modo che le forme e i limiti previsti dai padri costituenti per una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” si adeguassero alla nuova realtà della Repubblica non più “democratica” e non più fondata sul “lavoro”? Che senso ha, insomma, continuare ad esaltare con tanta enfasi una Repubblica che sussiste ancora formalmente, ma non lo è più nei fatti, già oramai da molti anni?
Secondo rilievo. Benigni fa cenno al “frastuono della democrazia, che è lotta e scontro di interessi legittimi, di valori e soprattutto di idee”, frastuono che si sente dietro la Costituzione del 1948. Benissimo! Tutto vero! Con la semplice ed essenziale (ma per nulla avvertita e segnalata da Benigni) differenza tra l’allora e l’oggi. Che allora quello scontro fu sapientemente composto in “un orizzonte comune, un impegno comune per il bene comune”, a usare le parole dello stesso Benigni. Mentre oggi, questa riforma nasce da uno scontro che, lungi dall’essere composto in un onorevole compromesso, si vuole tenere ben vivo, in nome di un vincitore e di un vinto, chiari ed inequivocabili. Basta vedere il clima in cui si è svolto il dibattito parlamentare sulla riforma costituzionale appena approvata (a stretta maggioranza) e quello legato alla campagna appena avviata per il referendum confermativo di ottobre.
Terzo rilievo. Benigni stesso parla a proposito del 1948 di “uno stato di grazia”. Ed ha perfettamente ragione. Viene perciò spontaneo chiedergli, a proposito di quanto sta succedendo oggi: nella cosiddetta “riforma” realizzata poche settimane fa vive lo stesso (o almeno paragonabile) stato di grazia del 1948? Io credo sia molto, molto difficile dare una risposta positiva (anche da parte dello stesso Benigni) a questa domanda.
Non a caso Mauro chiede a Benigni “…che bisogno c’è oggi di cambiarla, questa Costituzione?” E Benigni stesso risponde: “Infatti farebbero bene ad attuarla, prima di pensare a cambiarla.” Aggiungendo: “La Carta è nata come una promessa alle generazioni future. Noi siamo qui riuniti – disse Calamandrei in quei giorni – per debellare il dolore e per ridurre la maggior quantità possibile di infelicità.”
Promessa – dico io – che è stata abbastanza mantenuta nei primi trent’anni successivi al 1948. Che furono anni (pur tra molte incertezze e conflitti) di progressive conquiste per il mondo del lavoro e dei ceti popolari.
Ma del periodo che incomincia dalla fine degli anni ’70 e dura ancora oggi si può dire la stessa cosa? Guarda caso proprio a partire dalla fine degli anni ’70 si è incominciato a parlare di por mano alla Costituzione. Non dovrebbe ingenerare qualche sospetto questa coincidenza?
Dalla fine degli anni ’70 cominciano ad arretrare i diritti e le conquiste dei lavoratori e dei ceti popolari in genere e – guarda caso – si incominciano a chiedere da parte di vari settori (non certo quelli popolari e del mondo del lavoro) modifiche alla Carta Costituzionale. Non dice niente a Benigni questa coincidenza?
Benigni afferma ancora: “Io sono affezionato particolarmente alla prima parte, quella dei diritti e dei doveri, che per fortuna nessuno vuole toccare. Ma sulla parte dell’ordinamento dello Stato intervenire si può…”
Qui i rilievi da fare per me sono due:
- 1) Ma in quale mondo vive Benigni? Non si è accorto che in questi ultimi 40 anni i diritti sanciti solennemente nella prima parte della Costituzione sono stati ampiamente disattesi, non solo, ma sono state anche progressivamente erose tutte le conquiste che erano state realizzate nei primi trent’anni gloriosi e proprio da parte di quei governi e di quelle forze politiche che più si sono adoperate per la riforma della cosiddetta seconda parte?
- 2) le riforme che si vogliono realizzare oggi sono funzionali alla affermazione e alla realizzazione dei diritti sanciti nella prima parte o sono piuttosto funzionali a sancirne la limitazione e l’arretramento che si sono avuti in questi ultimi 40 anni? Mi sembrano, queste due, domande di non secondaria importanza, che Benigni, preso dal lirismo e dalla retorica, non si pone minimamente.
Benigni, invece, afferma con molto sicurezza: “Io credo che la cornice di valori della Carta non sia affatto in pericolo.” E qui io mi chiedo (e gli chiederei se mi fosse possibile): “Ma su cosa fonda Benigni una tale sicurezza? A me sembra totalmente infondata. La storia italiana di questi ultimi 40 anni è GIA’ andata in totale rotta di collisione con “la cornice di valori della Costituzione”.
Poi Benigni incomincia fare il suo vero mestiere. E a domande molto serie che gli fa Mauro risponde in modo ironico, anzi comico. Le sue sono battute divertenti (in questo è sempre stato un maestro), ma poco consone alla serietà dell’argomento che si stava affrontando. Quindi non vale manco la pena soffermarcisi.
Si arriva, infine, all’outing, che tanto clamore ha suscitato. Alla domanda di Mauro: “Ma lei cosa voterà al referendum? Mi è sembrato indeciso, prima ha detto sì, poi no. Dunque?”, così risponde: “Ho dato una risposta frettolosa, dicendo che se c’è da difendere la Costituzione col cuore mi viene da scegliere il “no”. Ma con la mente scelgo il “sì”. E anche se capisco profondamente e rispetto le ragioni di coloro che scelgono il “no”, voterò sì”.
Qui io francamente questa distinzione tra il “cuore” e la “mente” non la capisco. Mi sembra un modo per sfuggire al problema o, meglio, ai problemi. A me, personalmente, la mente non dice cose diverse da quelle che mi dice il cuore. E viceversa. Se la mente e il cuore dicono a Benigni cose diverse è un problema di Benigni.
Entrando nel merito delle questioni, Benigni dice: “Sono trent’anni che sento parlare della necessità di superare il bicameralismo perfetto: niente. Di creare un Senato delle Regioni: niente. Di avere un solo voto di fiducia al governo; niente. Pasticciata? Vero. Scritta male rispetto alla lingua meravigliosa della Costituzione? Sottoscrivo. Ma questa riforma ottiene gli obiettivi di cui parliamo da decenni. Sono meglio del nulla”. Bene!
Provo a rispondergli (anche se solo virtualmente): 1) pure gli oppositori alla riforma (meglio chiamarla “deforma”) Renzi/Boschi sono per l’abolizione del bicameralismo perfetto, del doppio voto di fiducia e per il Senato delle Regioni. Ma queste riforme potevano essere fatte in una maniera meno pasticciata e in una lingua un poco, poco migliore, più vicina a e più coerente con quella della “meravigliosa Costituzione” del ’48? Non era forse il caso (per ottenere questo risultato) di ricorrere anche a insigni costituzionalisti del calibro di Rodotà, Zagrebelsky e Pace (per fare solo tre nomi), invece di insultarli un giorno sì e l’altro pure, solo perché avevano l’ardire di muovere qualche obiezione alle proposte che via via venivano messe in campo? 2) gli “obiettivi di cui parliamo da anni” da chi ci sono stati posti? non certo dalla maggioranza del popolo italiano che di queste “riforme” sembra importarsi ben poco (a detta di tutti i sondaggi fatti in proposito); non è forse vero che tali obiettivi sono stati posti essenzialmente (se non esclusivamente) dai grossi potentati economici nazionali (i quali hanno sempre visto nella Costituzione del ’48 un grande ostacolo ai loro interessi) e, negli ultimi tempi, dai grandi potentati economico/finanziari internazionali, di cui l’Europa, soprattutto negli ultimi due/tre decenni sembra essersi fatta portavoce non proprio neutrale?
Cosa risponderebbe Benigni a queste due obiezioni, visto che la sua mente e il suo cuore sono così scissi?
Ai suoi argomenti precedenti Benigni poi ne aggiunge un altro: “…io tra i due scenari del giorno dopo, preferisco quello in cui ha vinto il “sì”, con l’altro scenario si avrebbe la prova definitiva che il Paese non è riformabile”.
A questo argomento rispondo: non è vero che il Paese non sia riformabile; non è riformabile nel modo in cui lo vogliono riformare Renzi e i suoi compari, cioè dividendo il Paese, anzi spaccandolo; sarebbe perfettamente riformabile, se nel volerlo riformare si cercasse un compromesso analogo a quello che fu raggiunto (mirabilmente) nel 1948.
Alla domanda su Renzi (“Ma di Renzi lei si fida”), Benigni risponde: “Renzi è una persona che stimo”, ma poi fa lo spiritoso, infila una battuta dietro l’altra e non si capisce bene se nel rispondere sia stato sincero o meno. Io mi auguro la seconda cosa. Ma non ne sono sicuro.
Sull’Europa e sull’ondata xenofoba che sembra travolgerla dice una cosa interessante: “…i principi da soli non bastano, ci vogliono gli uomini che sappiano riproporci un sogno. Il corpaccione della vecchia Europa ha corso così tanto per ricostruirsi dopo la guerra, che adesso dovrebbe fermarsi un po’, perché finalmente la raggiunga l’anima. Senz’anima l’Europa è moneta e burocrazia: troppo poco”. Qui condivido in pieno.
Ma chiederei a Benigni: il fatto che la riforma della Costituzione del 1948 ci sia stata chiesta (a voler usare un eufemismo) proprio dall’Europa senz’anima che egli descrive così bene (oltre che dai potentati economici che sembrano guidare oggi l”Europa, vedi il FMI e agenzie di rating come la JP Morgan) non gli fa venire qualche sospetto sulle reali intenzioni che hanno mosso e muovono le riforme costituzionali alle quali egli intende dire SI’?
L’ultima battuta è la migliore e la più condivisibile dell’intera intervista. Alla domanda “Prenderebbe Renzi in braccio, come Berlinguer?”, così risponde: “Io ho qualche anno in più, lui qualche chilo di troppo. Diciamo che entrambi non abbiamo il fisico per farlo”. E meno male, aggiungo io. Ci sarebbe mancata pure questa…
Questo articolo è stato pubblicato su blog di Giovanni Lamagna il 7 maggio 2016 e ripreso da Micromega online