di Antonia Battaglia
Che l’Italia riparta dalla Basilicata e dalla Puglia. Non è uno slogan renziano, ma la verità emersa ieri dai dati sull’affluenza al referendum. La Basilicata è la sola regione italiana dove si è raggiunto il quorum: 50,2% contro una media nazionale di 32%, con differenze molto nette tra regioni. Molto bene anche la Puglia, dove si è raggiunto un numero di votanti del 41,64%. Tra i peggiori, invece, la Calabria e la Campania.
Un referendum che ha mostrato quanto sia necessario lavorare ancora non solo per rafforzare il concetto che l’ecologia e l’economia sono due facce della stessa medaglia, ma anche per salvaguardare un risultato, comunque importante alla luce delle pressioni per il non-voto effettuate dal Presidente del Consiglio, che esiste e che ha dato voce a più di 14 milioni di italiani.
Una grande parte del paese ha votato per dire “no” ad un sistema energetico basato sull’uso indiscriminato dei fossili. Ma ha voluto dire “no” anche ad un sistema di potere che ha, nella gestione “familiare” della questione petrolio, la propria vittoria, uno dei propri capisaldi.
“L’Italia torni a fare l’Italia”, ha detto ieri sera il premier nella conferenza stampa a commento del referendum, tirando le orecchie al Pueblo che ha osato votare, popolo che non si rende conto di quante crisi occupazionali ci siano già in Italia, popolo irresponsabile, che ha dimenticato (era questo il sottotitolo) che la crisi è provocata da chi blocca lo sviluppo. Chi blocca le trivelle ed il petrolio. Chi blocca l’Ilva, ha voluto sottolineare Renzi, citandola e definendola “la madre di tutte le crisi”.
Sono stati sorprendenti i toni da cabaret usati contro chi ha voluto, sostenuto, promosso e pubblicamente “adottato” il referendum, in difesa di un bene comune quale è il mare.
Il Premier ha continuato a rivolgersi al Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, grande sostenitore del referendum, senza mai nominarlo, attaccandolo per almeno quattro volte in pochi minuti.
Deve aver visto la faccia di Emiliano su ogni scheda elettorale che ha immaginato, tutto il giorno, un’apparizione dietro l’altra, mentre le ore scorrevano e il popolo votava.
Nel frattempo, deputati del PD come Ernesto Carbone, membro della segreteria nazionale, scrivevano “Ciaone” a chi è andato a votare. Appunto, il cabaret.
Renzi ha attaccato “gli addetti ai lavori”, le associazioni, chi, non avendo la stampa nazionale a portata di pubblicazione, usa facebook e twitter per diffondere “demagogia” e ha concluso dicendo che “la demagogia non paga”.
Noi, persone che hanno votato contro le trivellazioni, contro l’energia fossile, con una nuova idea di economia rispettosa delle persone e dell’ambiente, siamo stati apostrofati in quanto strumenti nelle mani di demagoghi in cerca di gloria nei talk-shows.
Un messaggio di divisione e di odio quello del Presidente del Consiglio. Gravissimo. Non certo il messaggio di un primo ministro che avrebbe dovuto trarre conclusioni (civili) sull’espressione di voto o di non voto del popolo che rappresenta.
Gravissimo l’attacco ai diritti sanciti dalla Costituzione. Perché secondo il premier, esercitare il voto equivale a condurre “una vecchia battaglia ideologica e politica”.
“Basta con la guerra civile e ideologica”, dice Renzi, “basta con la polemica”. Ci si aspettava da un momento all’altro che dicesse “Basta con la democrazia”.
Il monologo si è quindi concluso con una stoccata incredibile, l’invito alle Regioni che vogliono ergersi a difensori del mare a non dimenticare i depuratori.
Come se trivellare la costa italiana per chilometri e concedere sine die lo sfruttamento dei pozzi esistenti, senza o quasi neanche nessuna certezza dello smantellamento finale delle strutture, possa essere equiparato all’uso o meno di depuratori.
La democrazia ha fatto un passo indietro fragoroso ieri, nelle parole del Premier, a conferma dell’odioso messaggio già diffuso nei giorni scorsi per invitare all’astensione.
Ha fatto un passo in avanti incredibile, invece, la presa di coscienza di una larga parte degli italiani, che le questioni come le trivellazioni in mare non riguardano solo le nove regioni che hanno promosso il referendum, che l’economia e la gestione responsabile dell’ambiente e delle risorse non devono essere oggetto di accordi tra privati ed amici, tra ministri e fidanzati, tra governi e lobby del petrolio o dell’acciaio.
Ma che esse, le decisioni sul futuro del paese, sono parte integrante dei diritti dei cittadini.
Che il futuro riparta dalla Basilicata che con il suo voto ha voluto dare un segnale forte al governo! E dalla Puglia, dove a Lecce ha votato il 47,54 per cento.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega online il 18 aprile 2016