di Gianfranca Fois
Nei giorni scorsi la Saras ha risarcito in sede civile la Fiom per la morte di tre operai avvenuta il 26 maggio 2009 per intossicazione mentre effettuavano un intervento di desolforazione in una cisterna della raffineria. La cifra è stata devoluta dalla Fiom per la realizzazione dell’insonorizzazione della sala di registrazione nel Parco comunale della musica “26 maggio” a Villa S.Pietro, paese d’origine dei tre operai.
Ma purtroppo dei morti sul lavoro non si parla quasi più così come di sicurezza sul lavoro. In un tempo in cui i diritti dei lavoratori vengono smantellati punto per punto, sembrano essere diventati argomenti obsoleti, ostacolo per il dispiegamento delle potenzialità di imprese, società, multinazionali. Conquistano l'”onore” della prima pagina solo quando le morti interessano almeno tre o più lavoratori contemporaneamente.
Eppure le morti sul lavoro non sono diminuite come facevano supporre i dati Inail del decennio 2005- 2014. Infatti questi dati tengono conto solo degli iscritti all’Istituto, non contano cioè chi ha una diversa assicurazione, chi lavora in nero, i vigili del fuoco, gli appartenenti alle forze dell’ordine, quanti perdono la vita in itinere, spesso a causa della stanchezza accumulata per turni troppo lunghi, per lo stress e la fatica del lavoro.
Nonostante ciò anche l’Inail nel 2015 ha registrato un aumento di morti sul lavoro a fronte di una diminuzione di incidenti, ma il dato preoccupante è che su un certo numero di infortuni mortali denunciati l’Istituto ne riconosce un numero decisamente inferiore. Ad esempio nel 2014 ci sono state 1107 denunce per infortunio mortale, gli infortuni mortali riconosciuti sono stati 662 mentre 26 sono in istruttoria.
La maggioranza degli incidenti non sono dovuti a tragiche fatalità ma a fattori da imputare alla scarsissima applicazione delle norme antinfortunistiche, alla non consapevolezza dei rischi dei lavoratori, soprattutto immigrati, a causa della mancata attività di prevenzione da parte dei datori di lavoro, alla superficialità degli addetti ai controlli, al taglio notevole delle spese che riguardano la sicurezza all’ispettorato del lavoro e alla ASL. Senza contare che a causa della legge Fornero sono aumentati gli incidenti che riguardano lavoratori ultrasessantenni e, in alcuni casi, ultrasettantenni.
Nel 2015 in Italia (maglia nera in Europa) ci sarebbero stati oltre 1400 morti sul lavoro secondo quanto riferisce l’Osservatorio indipendente di Bologna diretto dall’ex metalmeccanico ormai in pensione Carlo Soricelli. Questo quadro già negativo rischia però di peggiorare ulteriormente. Con il Jobs Act infatti e il conseguente aumento della precarizzazione (siamo il paese in Europa con il maggior numero di lavoratori precari) la situazione dei luoghi di lavoro diventa essa stessa più precaria. Diminuiscono, per paura di ripercussioni, gli iscritti al sindacato e quindi diminuiscono i controlli sull’applicazione delle tutele e delle norme di sicurezza. Infatti nei luoghi di lavoro con una forte presenza del sindacato gli incidenti sono quasi inesistenti.
Il settore dell’agricoltura inoltre viene affrontato poco e male, eppure ad esempio già in questi primi giorni dell’anno ci sono stati diversi infortuni mortali dovuti a incidenti col trattore (142 morti nel 2015) che spesso viene utilizzato senza competenze specifiche o in modo irresponsabile. Durante l’estate nelle campagne del Sud ci sono stati lavoratori uccisi dal caldo e dalla fatica. Sono morti che hanno spinto i mezzi di comunicazione a indagare sulla manodopera in gran parte composta da migranti, ma ormai a causa della crisi economica anche da donne e uomini italiani, e sul fenomeno del caporalato mentre poco si è indagato ad esempio sui rapporti e i contratti di lavoro e sul ruolo svolto dai proprietari delle terre, dalle industrie conservatoriere o di trasformazione.
L’aspetto più scandaloso appare comunque il silenzio sull’argomento del mondo politico, del governo, soprattutto del ministro del Lavoro, e del mondo dell’informazione. Eppure la nostra Costituzione utilizza spesso la parola “lavoro”, parola mai usata nello Statuto Albertino, accompagnata da un richiamo alla dignità umana e al rispetto della persona in tutte le sue prerogative fisiche e morali (art. 35, 36, 37, 38 fra i tanti). All’interno di questo principio che vede il lavoro come strumento di crescita non solo individuale ma anche sociale, tutta la società dovrebbe sentire il diritto e il dovere di pretendere che le norme antinfortunistiche vengano rispettate e che la sicurezza sul lavoro diventi responsabilità di tutti.
È necessario perciò sviluppare l’educazione alla sicurezza sul lavoro sin dalla più tenera età, penso ad esempio agli Stati Uniti degli anni 50 coi fumetti di Walt Disney che raccontano come lavorare in modo sicuro, penso a film e documentari che affrontano l’argomento e che possono essere fatti conoscere in modo capillare, a inchieste e approfondimenti giornalistici, a iniziative di comuni e scuole, ma penso anche che non sempre gli strumenti antinfortunistici sono pensati secondo criteri di praticità e comodità, anche se lontano nel tempo ne scriveva Kafka nelle sue relazioni come impiegato di una compagnia di assicurazioni.
Questo articolo è stato pubblicato dal Manifesto sardo il 16 febbraio 2016