Intervenire in Libia? Perseverare diabolicum est

12 Febbraio 2016 /

Condividi su

Intervento militare in Libia
Intervento militare in Libia
di Diego Angelo Bertozzi
Nel giugno 2014 il Los Angeles Times valutava, a distanza di tre anni, gli effetti dell’intervento della coalizione a guida Nato a sostegno della composita galassia della “ribellione” che avrebbe deposto e giustiziato il colonnello Gheddafi.
Ebbene, quella che al tempo, sotto la sigla “Responsability to Protect” (il dovere di proteggere la popolazione civile dalla repressione) era stata giudicata la nuova frontiera dell’esportazione della democrazia manu militari (senza intervento diretto sul terreno), mostrava un bilancio misero, riassunto dalla presenza incontrollata di oltre 120 milizie armate: non solo “una terra senza legge che attrae i terroristi, al centro di un traffico illegale di armi e di droga e che destabilizza i suoi vicini”, ma anche “una minaccia per la sicurezza maggiore di quanto fosse prima”.
Insomma, un’ammissione di fallimento che, tuttavia, non raffredda i bollori bellici. Lo stesso quotidiano statunitense teneva a precisare che questo quadro sconfortante era la conseguenza di un intervento troppo limitato, il frutto di un mordi e fuggi bellico: “L’esperienza libica è vista da molti come un ammonimento del danno non intenzionale che le grandi potenze possono infliggere quando mirano a un coinvolgimento limitato in un conflitto imprevedibile”.
E così oggi gli “apprendisti stregoni” che hanno distrutto un Paese e provocato il disastro sotto i nostri occhi si presentano all’opinione pubblica internazionale come i suoi salvatori. Manca solo – ma potrebbe arrivare rapidamente – la formazione di un cosiddetto governo nazionale libico che nella sua agenda inserisca subito la richiesta di un intervento internazionale contro il terrorismo.

Il New York Times, il 22 gennaio scorso, avvisava della crescente preoccupazione di Washington per l’espansione in Libia dello Stato islamico (Isis), precisando che tutto è pronto in vista di una decisione non più rinviabile. Da mesi, infatti, squadre per le operazioni speciali statunitensi e britanniche conducono missioni clandestine di ricognizione, mentre altre unità Usa sul terreno sono alacremente al lavoro per “corteggiare” possibili alleati nel variegato fronte delle milizie libiche.
E chi sarà a condurre questa nuova operazione? Ce lo spiega il generale Dunfordm, capo delle forze armate a stelle e strisce: varie riunioni tra rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Italia sono in calendario per discutere una “vasta gamma di opzioni militari” per aumentare la pressione sull’Isis. Al nostro Paese verrebbe riservato un ruolo di primo piano, almeno a quanto riferiva il 4 gennaio scorso il britannico The Mirror: un contingente di 6mila uomini della nuova coalizione raggiungerà presto la Libia e, seppur composto in prevalenza da britannici e statunitensi, sarà guidato dagli italiani (ma senza un coinvolgimento diretto sul terreno). La Francia del governo socialista Hollande potrà, invece, attingere alle forze già schierate nelle decine di sue basi presenti in Africa tra Ciad, Nigeria, Mali, Burkina Faso, Senegal, Costa d’Avorio e Gabon.
Tutti questi preparativi per una decisione già presa, fanno sorgere spontaneamente una domanda: viste le esperienze precedenti, cosa ci assicura che, questa volta, i risultati saranno diversi? E, ancor di più, alla luce di rivelazioni (che tanto “rivelazioni” non sono!) come quelle rese note il 23 gennaio sempre dal New York Times: dietro il nome “Timber Sycamore” si nasconde una gigantesca operazione Cia per la fornitura di armi ai ribelli siriani – in gran parte jihadisti – e di finanziamenti, probabilmente di “alcuni miliardi di dollari a partire dal 2013”, da parte dell’Arabia Saudita e Qatar.
Mentre in altri contesti, la cui tragicità è figlia della fallimentare logica dell’interventismo umanitario, come l’Afghanistan e la Siria, si cerca ormai – senza escludere attori come Cina e Russia – di arrivare a soluzioni per via diplomatica, in Libia sembra vigere la coazione a ripetere gli stessi errori. Volutamente o meno, ormai cambia poco.
Questo articolo è stato pubblicato da Marx21.it il 2 febbraio 2016 che lo ha ripreso da CinaForum.net

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati