Parigi: voci dalla città assediata

9 Gennaio 2016 /

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Parigi assediata
Parigi assediata
di Luca Mozzachiodi
Parlare per strada con i passanti è un segno di urbanità, anzi è l’urbanità, non si parla nelle campagne dove non ci sono strade percorse a piedi e dove il concittadino assumeva piuttosto i tratti del pellegrino o del viandante, pericoloso o benefico, umano o divino ma comunque estraneo, non prossimo come chi attraversa la strada della tua stessa città. Parlare per strada poi in una città specifica e in un particolare momento storico come la Parigi di questa fine del 2015 è anche un elementare forma di preoccupazione per la salute, diciamo così anche se è una metafora reazionaria, della democrazia.
Questo semplice atto che pure dà molte informazioni su come viene percepita la realtà non è poi molto praticato, al punto da stupire chi lo compie con quel tanto di socratico e antieconomico che comporta impiegare tempo a fare domande e a rispondere, tuttavia era nel complesso e probabilmente resta il modo migliore di capire come davvero si vive a Parigi in questo Stato di Emergenza. Abbiamo dunque interrogato alcuni parigini e alcuni turisti sulla loro opinione riguardo ai fatti recenti e, seppur senza pretesa di rilevanza statistica ma piuttosto umana, ne sono emersi tratti dominanti per nulla rassicuranti.

I parigini sentono che la loro vita è cambiata dopo gli attacchi, per un crescente senso, al limite della razionalità a tratti, del pericolo sulle proprie vite e per i costanti controlli cui sono sottoposti, che hanno evidentemente l’ambiguo significato di trasmettere un senso di sicurezza, i più sono infatti d’accordo con la cessione di poteri speciali alla polizia, e di precarietà costante (certamente sentire sirene ogni cinque minuti fa percepire il senso di una minaccia incombente) al punto che, come qualcuno ha affermato, si possa davvero immaginare una Parigi “circondata dai terroristi”. Rispondono di solito diversamente i non parigini, segno ancora una volta della particolare condizione europea e nazionale di questa capitale dove tutto è più vivo, la minaccia come la difesa.
Generalmente si coglie il senso di una nazione unita dal lutto, dal parigino al provinciale, dallo studente all’anziano, un vero Fronte Nazionale di ideologia repubblicana e francesista; (mi si permetta l’uso), è forte il senso della ferita subita come quello dell’ingiustizia e dunque della solidarietà con le istituzioni e di condivisione delle scelte di Hollande anche sul campo militare. “Qualsiasi cosa possiamo fare a loro non sarà grave come quello che loro hanno fatto qui” dice una studentessa, altri dicono che “il governo deve fare piazza pulita, sterminarli tutti” ma questi loro e questi tutti sono quanto mai imprecisati: L’Isis? Certo, ma come li distingui quando non sono in divisa o non sono a Mosul, Raqqa e Ramadi? I mediorientali? Ma ci sono anche cittadini francesi e inglesi e italiani tra i militanti, certamente sono la rabbia e l’orgoglio più della ragione a parlare, non è certamente il caso di farne una colpa ma bisogna saperlo.
Qualcuno poi si spinge anche a dire che gli attentati sono favoriti da deboli legami e mancanza di educazione nelle famiglie di questi combattenti irregolari, è certamente un punto di vista interessante, anche se si abbina alla convinzione che non ci sia, ad oggi a Parigi e in Francia, un vero problema di uguaglianza sociale che riguarda anche le famiglie degli ex-immigrati.
Certo esiste anche un punto di vista più politicizzato, nel prevalente disinteresse alle dinamiche specificatamente politiche che i fatti sottintendono, qualcuno che, da destra e da sinistra, critica le scelte del governo, così come lo stato di polizia, gli arresti compiuti contro i manifestanti, che la maggior parte dei francesi ignora complice il silenzio dei mezzi di informazione francesi a quanto pare, o giustifica come misura di sicurezza; ha destato infatti molto scandalo il gesto compiuto da alcuni manifestanti che hanno lanciato le candeline poste in Place de la Republique a memoria dei morti negli attentati, ha offeso profondamente quella morale repubblicana che oggi sembra l’anima della Francia e le offese, come quelle fatte dai terroristi, legittimano la reazione.
Nessuno sembra mettere in dubbio la liceità del proibire manifestazioni però, né ipotizzare, come un malpensante nato nel paese del G8 di Genova e dell’onorevole Cossiga e di altre amenità, che quell’atto così contrario alla morale comune e alla strategia di ogni protesta fosse pilotato e compiuto da mercenari addestrati. No, ma perché si dovrebbe pensare questo? I francesi non addestrano neanche la polizia evidentemente, che scambia il lato destro di una piazza per il sinistro quando deve arrestare un gruppo di pericolosi violenti, figuriamoci se addestrano infiltrati.
La preoccupazione maggiore assieme ai terroristi però, più che gli arresti o la COP21 che resta abbastanza in secondo piano nelle risposte, è l’avanzata (supposta ora possiamo dire) di Marine Le Pen e del Front National alle urne, è massiccia la propaganda dei giornali e qualcuno dichiara di temere di “arrivare al fascismo come voi avete sperimentato, come in Italia o in Spagna” francamente e da francese esagerando secondo me i toni: la Le Pen per la quale non c’è da aver simpatia non uccide gli oppositori politici, non progetta di invadere, che ne so, il Senegal, o il Mali, o la Libia, o l’Iraq, non prepara camere a gas e colpi di stato militari, ma è d’altronde tipico di chi appunto non ha sperimentato il fascismo e non solo a dire il vero fare un po’ di confusione in materia.
Queste comunque le voci che vengono da Parigi, ed è comprensibile che siano diverse tra di loro e soprattutto diverse da quelle di un italiano, ciò che comunque si capisce e che abbiamo visto è che sullo sfondo di una città che teme profondamente nemici sfuggenti e imprevedibili annidati nelle sue viscere e che non vive più serenamente (il panico è evidente ad ogni arresto, anche solo brevissimo, della metropolitana) si contendono il cuore e il voto dei francesi due Fronti Nazionali: il Fronte Nazionale della Repubblica, filoeuropeista, liberista, interventista e filoamericano e il Fronte Nazionale della Nazione, antieuropeista perché appunto nazionalista e conservatore.
Abbiamo visto gli esiti e se qualcuno pensava invece al vecchio Fronte Popolare come nome per capire questa alleanza anti-Le Pen si sbaglia di grosso e non c’è molto di cui essere contenti, non è che la conferma delle voci raccolte per strada oltreché il segno di una progressiva scomparsa politica, che segue quella ideologica, dei socialisti in Francia. Si può allora fare una politica diversa, certo, dal basso, manifestando in strada magari, se non vieni arrestato per motivi di sicurezza; puoi comunque, sempre per ragioni di sicurezza e buon vivere, ritirarti nel privato, andare magari al bar, o ad ascoltare un bel concerto rock.
Insomma ad ascoltare le voci che vengono da Parigi viene da dire, come dice il saggio, bene, ma non benissimo.

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