Vecchia e nuova Parigi: alla ricerca di ciò che non viene raccontato

4 Gennaio 2016 /

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Parigi 2015
Parigi 2015
di Luca Mozzachiodi
Volare a Parigi di questi tempi è una sensazione strana, s’intende per un piccolo borghese medio italiano, ci si sente caduti dentro la storia per caso, non quella ovviamente di lungo periodo ma quella dei rivolgimenti, dei gesti imprevisti e dell’evento che, almeno un po’ sparpaglia e poi riordina le carte del gioco della politica e della vita di ogni giorno, quella insomma da cui di solito noi ci sentiamo fuori e che ci limitiamo a vedere alla televisione. Certamente andando là non si parte dal nulla ma le informazioni che riceviamo da internet, dalla televisione e dai giornali, oltreché dall’antichissimo passaparola comunque generano un sostrato di attesa.
Almeno in parte è stato confermato: immancabili i militari schierati con armi pesanti al primo aprirsi della porta che immette nell’aeroporto di Beauvais e poi ovviamente per le strade della capitale e davanti a tutti i monumenti, autoblinde e camionette, in certe zone più di cinque per squadra e ovunque polizia intenta a perquisire e volanti a sirene spiegate, tutto come atteso, compresi controlli sistematici all’ingresso di edifici pubblici e centri commerciali, con tanto di volantino appiccicato che ammonisce “in considerazione dei fatti recentemente avvenuti nella regione dell’Île-de-France”.
A prescindere però da questi effetti più esteriori dello stato di cose presente in quella città occorre cercare di capire quello che ci dicono le strade e che spesso i media non sanno o non vogliono dire, passeggiare per quelle strade e per quei viali significa muoversi dentro la capitale indiscussa della cultura europea ed è stato detto da molti e delle più diverse origini: in confronto a Parigi larga parte dell’Europa non era che una chiazza bianca sulla carta geografica ed è poi diverso oggi? Quanto sappiamo dell’est Europa, dei Balcani, della Penisola Iberica? Cioè quanto se ne può sapere mediamente senza che sia il prodotto di una volontà di studio specifica?

Dunque certamente Parigi, con i suoi palazzi imperiali, l’eredità politica e culturale della Rivoluzione da cui nasce non a caso quella che definiamo contemporaneità, con l’apporto dato da Napoleone alla struttura geopolitica e culturale dell’Europa e giù ancora con il ’68 e con le avanguardie politiche e artistiche che hanno avuto in quella città il loro maggiore centro di elaborazione e diffusione per almeno cento anni è certamente il cuore dell’Europa nella dimensione che sembriamo ignorare, il tempo storico.
Dire che con il popolo per le strade parigine comincia la contemporaneità non significa dividere a tavolino il programma di un corso di storia, vuol dire riconoscere che da quegli uomini in avanti noi possiamo considerarci in qualche modo affini, che assumiamo in parte le stesse categorie di pensiero e le stesse forme della vita, ma non solo, significa soprattutto dire che dette categorie e dette forme sono diverse da prima e che, per esempio, tra un uomo del 1789 e un uomo del 2015 c’è una differenza relativamente minore che tra un uomo del 1789 e uno del 1715, per noi il tempo non è uniforme.
Passare per quelle strade significa in qualche modo anche ripercorrere l’origine della nostra cultura, riconoscerci in quello che ci ha generato, non solo idealmente ma anche politicamente (peraltro è proprio dal parlamento rivoluzionario che prendono forma compiuta i concetti di destra e sinistra in un senso accostabile a quello in cui lo usiamo ancora oggi e probabilmente più durevole della materia stessa se ancora lo si utilizza quando pare svuotato di senso). Lì hanno origine le grandi tradizioni repressive ed eversive, cosa che non deve stupire punto, e ancora oggi sembrano giocare una partita importante su quel terreno: ieri le barricate e i boulevard per permettere il passaggio di dragoni al galoppo e artiglieria, oggi le manifestazioni per il cambiamento climatico e i fermi indiscriminati e il nuovo stato di polizia temporaneo.
Tutto questo si avverte in quella grande confusione, della quale l’ordine poliziesco non è che la facciata sporca, ma ciò che più colpisce perché segna non un episodio, magari regressivo o ricorsivo all’interno della storia ma un mutamento radicale e lento tanto da essere appena percepibile per molti di coloro che coinvolge è la possibilità di rendersi conto, con un impegno anche solo modesto nel guardarsi attorno, di come a Parigi, e viene da dire dentro Parigi, i parigini e anche i non parigini, ancora una volta per dirla alla Victor Hugo questo uccide quello.
Oggi è il senso della storia e di sé come espressione storica e non solo esistenza individuale gettata a caso ad essere ucciso; da una parte pare stiano gli uomini storici che abitano o percorrono le strade di Parigi dando a ciascuna un significato, conoscendo i luoghi e i segni del proprio passato, e dico proprio in quanto proprio degli europei, e se ne riconoscono come un risultato vivente e attivo, dall’altra gli uomini astorici, schiacciati in un eterno presente in cui molto sembra perdere di senso e di quelle strade, di quegli edifici rimangono solo connotati estetici, sentimentali e di funzione.
Essi abitano due capitali diverse che sono la stessa città ma nella quale la novità prende sempre più il posto dell’antichità, come gli uomini nuovi sugli uomini antichi e non si tratta, è bene dirlo, di un discorso passatista o di un fatto di cultura (il problema non è conoscere le date e i fatti, cosa che moltissimi fanno, ma quale significato si accorda ai fatti conosciuti), si ha piuttosto la sensazione di essere di fronte alla radicalizzazione di un cambiamento avvenuto nell’arco di pochissime generazioni.
Cosa ha a che fare questo con gli attentati e con la Cop21 e le repressioni? Niente ovviamente, sono considerazioni di ordine generale, o tutto, perché il generale ha in sé ogni particolare, due specie d’uomini diverse rispondono in due modi diversi; fatto sta che di fronte ai fatti recenti ho potuto vedere la migliore gioventù d’Europa, quella colta, istruita, curiosa, di buon carattere e non reazionaria non sapersi dare alcuna spiegazione per questi gesti, nemmeno quando li coinvolgevano direttamente. La certezza di perdere il senso spaventa, dopo la reazione animale, molto più dell’incertezza sulla vita.
Non so dire con esattezza ciò che ha mosso ciascuno dei manifestanti né ciò che muove i francesi, lascio questo problema ai pochi ma significativi lumi di alcune interviste in altri articoli, ritengo però che non vada sottovalutato il fatto che hanno arrestato degli attivisti ambientalisti; avevano forse già sconfitto i nemici, battuto gli avversari, ridotto al silenzio gli oppositori politici, esiliato i dissidenti, riformato i non conformi e perché no? Martirizzato i martiri? Dov’era la diversa concezione di uomo e chi la rappresentava in quelle circostanze? La risposta è, per mostruosa che possa parere, i terroristi.
Non è vero che non si debba volere un’opposizione radicale, senza la quale un diverso modello di sviluppo rimane almeno per me impensabile, si devono volere semmai diverse radicalità, tante quante le radici, per riportare la storia verso il progresso. Non pensiamo più alle cose antiche e il nuovo ci spaventa terribilmente, anche per questo è utile e facile desiderare e spesso trovare profeti, armati e no, con barba e senza.
Nessuna brillante filosofia d’accademia e nessuno sforzo morale, per quanto sincero possa essere, potranno salvarci se non torneremo a pensare la storia come storia dell’uomo e gli uomini come coloro che la scrivono.
Salviamo dunque l’umanità se ci opponiamo alle politiche dissennate sull’ambiente, allo strapotere delle multinazionali e impariamo di nuovo ad esistere storicamente? No, per nulla, salviamo i poveri, anche dai disastri ambientali e dalle azioni terroristiche o repressive, i ricchi si salvano sempre, solo nei film di Ejzenštein e nei brutti romanzi gialli, ogni tanto, un servo li uccide.

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