Unire le forze progressiste, salvare la Costituzione e battere Renzi

2 Gennaio 2016 /

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di Sergio Caserta
C’è un imperativo categorico politico e morale, dopo l’approvazione del jobs act e delle controriforme renziane: sconfiggere il partito democratico, mandarlo all’opposizione ovunque sia possibile. Questo partito è oggi la quintessenza di quanto di peggio abbia prodotto il liberismo in economia e della degenerazione del sistema partitico in Italia. Viviamo una crisi senza precedenti, una crisi economica strutturale e di lunga durata che ha impoverito milioni di persone che non hanno lavoro, che non possono raggiungere la pensione, che oggi vedono anche compromessi i propri risparmi a causa dei fallimenti delle banche e, non c’è da illudersi, siamo purtroppo solo all’inizio del fenomeno.
Dal 2008 il combinato disposto di globalizzazione economica e crisi della finanza mondiale, hanno prodotto un grande sconquasso. Le economie dei paesi occidentali hanno subito la concorrenza dei nuovi grandi produttori emergenti Cina, India, Brasile ecc. Il crollo delle economie ha prodotto l’instabilità dei titoli del debito pubblico dei paesi più indebitati come l’Italia.
L’ombrello di difesa della BCE ha garantito finora la tenuta finanziaria contenendo i tassi ma non la ripresa, che è possibile solo con una profonda ristrutturazione delle economie in tempi lunghi. La risposta che viene data alla crisi, non è la lotta all’evasione fiscale, la tassazione delle rendite e dei grandi patrimoni, è invece il taglio indiscriminato del costo del lavoro, delle pensioni, della sanità e del welfare. Ecco che in Italia dopo il governo “tecnico” di Monti, dopo la parentesi di Letta è arrivato Renzi che ai tagli ha aggiunto la distruzione del diritto del lavoro e della costituzione, così come voluto dalle grandi holding finanziarie internazionali, JP Morgan in testa.

Per questo gli è stato consentito, con il supposto della destra e dei poteri forti, di subentrare, nella guida del maggior partito e poi del paese, attraverso un autentico golpe, al traballante gruppo dirigente democratico troppo debole per realizzare un programma cosi spregiudicato e antisociale. È incomprensibile agli occhi di una persona normale come sia possibile che il partito democratico abbia voltato in modo cosi spudorato le spalle alla nostra Costituzione, che ha garantito per sessantanni la tenuta democratica di un paese condizionato da mafie e massonerie.
L’equilibrio tra i poteri dello stato, l’indipendenza della magistratura, la distinzione tra esecutivo e parlamento, il sistema proporzionale pur con tutti i difetti, hanno garantito la vita democratica, pur se attraversata da tensioni e pericoli di ogni genere. Pensiamo a cosa è stata la commissione d’inchiesta sulla P2 guidata da Tina Anselmi, la sua capacità di sventare un grande complotto contro la democrazia, pensiamo a come la magistratura nonostante i tentativi di limitarne l’azione, sia riuscita a scoperchiare tangentopoli e a mandare a casa un’intera classe dirigente.
Cosa accadrebbe se entrasse veramente in funzione la nuova legge elettorale che fissa un abnorme premio di maggioranza, consentendo al partito vincitore di nominare di fatto due terzi del Parlamento, con una maggioranza schiacciante sotto il suo completo controllo, conquistata col ballottaggio, pur rappresentando meno di un terzo degli elettori? Sarà la dittatura di una minoranza resa artatamente maggioranza. Con quali criteri si decideranno i giudici costituzionali, quelli della magistratura contabile, le cariche di vigilanza? Ci avviamo a un regime monocratico illiberale e alla fine della repubblica parlamentare.
Tutto questo mentre il mondo del lavoro è zittito, dopo l’abolizione della protezione fondamentale dello statuto dei lavoratori ed in particolare dell’articolo 18. I padroni hanno già alzato la voce, si potrà licenziare liberamente anche senza giusta causa, sborsando nella peggiore delle ipotesi qualche euro di risarcimento, mentre la paura di perdere il lavoro rende il ricatto assoluto e il lavoratore sottomettibile a qualunque sopruso. Ecco l’idea di giustizia sociale che alberga nel governo a guida PD.
Non è un caso che siano stati attaccati i due istituti principali del nostro ordinamento democratico, la Costituzione e lo statuto dei lavoratori, essi rappresentano l’essenza stessa della concezione progressiva della repubblica democratica e antifascista, su cui si è costruita l’identità che si vuole cancellare. È questo il vero scopo politico di Renzi e di chi lo manovra.
Perciò non ha alcun senso affermare che le elezioni amministrative, quindi il voto dei comuni, sono diverse e si devono valutare solo gli aspetti locali. È una menzogna perché tutti sanno benissimo che il potere, proprio come dimostra l’ascesa di Renzi, si costruisce e si regge, attraverso la rete degli amministratori locali che rappresentano l’ossatura del partito e che non a caso sono coloro che hanno subito chinato il capo davanti alle decisioni del governo, a cominciare dall’attuale sindaco di Bologna Merola, diventato renziano al primo stormir di fronde.
È ora indispensabile dare una risposta chiara e netta al tentativo di eliminare ogni forma di opposizione: unire la battaglia contro i tagli e la centralizzazione, per nuove amministrazioni comunali con la difesa della nostra Costituzione vilipesa, un impegno pieno e forte nella campagna referendaria per cancellare l’odioso Italicum. Tutte le forze progressiste e costituzionaliste, indipendentemente dalla loro precedente collocazione politica, devono unirsi, in questa battaglia di civiltà per salvare il nostro sistema democratico da una svolta autoritaria.

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