di Luca Mozzachiodi
Avevo deciso di non intervenire e di non scrivere nulla riguardo i recenti fatti di Parigi, non per un religioso rispetto del silenzio sui morti ma per non aggiungere una voce di più all’orrendo chiacchiericcio che impediva qualsiasi riflessione seria, con orrore ascoltavo i dibattiti televisivi precipitare nello sciovinismo, con orrore assistevo ai comizi improvvisati di chi ama riempirsi la bocca con frasi dettate dalla ben rotonda (e confortante) verità di uno scontro di civiltà e della difesa dell’Occidente, sempre con orrore vedevo alla televisione schiere multicolori di bambini e ragazzini intonare la Marsigliese.
Certo davvero impuro, pensavo, sarà il sangue di questi miliziani se deve irrigare la Francia in nome della pace di un bambino, la vita offesa esige una vendetta e una difesa, tentare un’argomentazione razionale e politica contro questo bisogno non si sa nemmeno, sotto sotto, quanto abbia mai messo conto nella storia dell’umanità e non ci resta che il disgusto di un’innocenza violata ed il timore per una radicalizzazione dei conflitti secondo logiche, diciamolo tranquillamente, di destra.
Poi passarono le immagini dei bombardieri, come un sipario tra il primo e il secondo atto di questo dramma che per molti aveva i tratti della tragedia e per pochi malpensanti già i contorni della farsa. Il secondo atto si è aperto con un coro piangente e per arredo scenico aveva cupi manifesti che recitavano: siamo in guerra; molti si saranno svegliati male, ma confido che almeno un francese, o un belga, o un qualsiasi europeo si sarà grattato perplesso il capo pensando, non lo eravamo già prima? Sembrava insomma un copione un po’ frusto, desolante certo, ma per nulla nuovo.
A quel punto però abbiamo cominciato a vedere scene diverse, città occupate dagli eserciti, controlli a tappeto, quartieri blindati, operazioni militari in grande stile nel centro di Bruxelles e iniziava ad essere chiara la diversità, la militarizzazione costante della vita quotidiana e dei luoghi pubblici, mai visto? Tutto nuovo? Direi ancora di no, basti pensare per meno di un minuto ad Israele e alle strade delle sue città e ai suoi posti di blocco, controlli, avamposti, operazioni di polizia.
Certo si tratta di una logica di difesa, ma in fin dei conti anche le operazioni anti jiahdiste in Iraq, in Afghanistan, in Mali, avevano, nella loro legittimazione agli occhi del mondo, anche lo scopo di proteggere dal pericolo i cittadini degli stati coinvolti, quello che cambia è che questa volta le stesse azioni che i governi e gli eserciti delle democrazie occidentali ordinano nei deserti o su qualche sperduto altipiano avvengono nella prima periferia di grandi metropoli europee, le porte a cui batte il soldato in mimetica non sono quelle di uno piccolo villaggio, ma di un ricco quartiere residenziale.
C’è un verso di questa medaglia, questa enorme forza di controllo e repressione, solitamente impiegata in teatri di guerra, può essere, come di fatto è stata, scatenata con un semplice dispositivo che attribuisca alla polizia poteri speciali tra i quali possibilità di perquisizioni senza mandato e di arresti domiciliari preventivi, che in effetti sono stati comminati, in occasione però non di una riunione dello stato maggiore, ma della conferenza sul clima e sull’innovazione sostenibile Cop21.
Durante una manifestazione sono stati poi, come ho appreso dal video di un amico testimone diretto che è andato in onda su un telegiornale nazionale, accerchiati ed arrestati numerosi ambientalisti.
Già il vecchio Benjamin esecrava la polizia come un corpo anomalo e aberrante, capace di sospendere gli stessi principi di cui, in linea teorica, era proclamata custode, per svolgere azioni brutalmente repressive e infatti ancora una volta questo non deve stupirci: le pressioni di multinazionali e lobbies sono fortissime in questa conferenza, l’ordine mondiale deve essere tutelato, il governo francese deve poi presentarsi come voce di una nazione unita nel lutto e nel dovere dall’altezza dell’ora.
Il trucco, quello per cui qualche ingenuo può essersi stupito, è finire la rappresentazione con un colpo di scena: a fare le spese del clima di tensione e a finire negli ingranaggi del meccanismo repressivo non sono barbari armati di scimitarra e con un numero imprecisato di mogli, cammelli e pozzi petroliferi, ma attivisti occidentali che si comportavano nel più occidentale dei modi, riunirsi e parlare e manifestare, nella più occidentale delle città dopo il 1789, e lo scontro di civiltà?
Credo che molto più semplicemente, ovvero fattualmente, in un periodo di radicalizzazioni e novità si definiscano meglio gli schieramenti e si debbano imparare a distinguere gli amici dai nemici: noi siamo nemici di questo attuale ordine mondiale come i miliziani dell’ISIS ed ovviamente i suoi fautori si adoperano per difenderlo e confermarlo in egual modo contro tutte le minacce. Lo scontro attuale è invece uno scontro tra vecchie (stato tradizionale, residui di partiti progressisti, forze sociali organizzate, istituzioni repressive tradizionali e conservatrici) e nuove (governi spoliticizzati, forze economiche con appendici politiche, nuove teocrazie armate, movimenti e reti di protesta) forme di politica, in uno scacchiere sul quale identificazioni, contrapposizioni e alleanze sono sempre meno nitide.
Siamo caduti nel peccato di distinzione, credendo che essendo nemici dell’ISIS non saremmo stati nel mirino, che il problema fosse il sangue dei civili, la cui vista noi pure aborrivamo e che dunque vi fosse una precisa distinzione morale tra noi e loro, una nostra morale di sinistra, ah la morale…