Pasolini, Gennariello e la rivoluzione: interpretare Petrolio / 4

21 Novembre 2015 /

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Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
di Francesco De Maio
(Prima, seconda e terza parte). Adesso possiamo dire qual è il terzo strumento che Pasolini usa per completare la sua forma. Il terzo strumento è il «SEGNO GRAFICO» che il lettore deve apporre al manoscritto dell’autore. Per comprendere, in questo caso particolare, (ce ne sono altri) come e dove si deve usare questo strumento, dobbiamo ricorrere nuovamente allo schema, ma, questa volta, tracciando tutti i collegamenti fra i duplicati numerici degli appunti. Come faccio di seguito nel terzo schema.

Questo «SEGNO GRAFICO», attuato manualmente dal lettore sul manoscritto di Pasolini, è approssimativamente il seguente:
«III VII».

Ma bisogna fare attenzione. Perché siamo giunti al momento più delicato di questa lettera aperta. Dopo aver parlato esclusivamente della forma, siamo giunti al momento in cui la forma rivela il suo significato. Il momento in cui forma e significato sono indissolubilmente uniti. Questo segno grafico è decodificabile esclusivamente attraverso il contesto di tutta la forma. Di conseguenza è interpretabile esclusivamente come rappresentazione in numeri romani delle cifre 3 e 7. E, quindi, come una moltiplicazione in cui il segno per (X) è implicito come nei binomi.
E bisogna fare ancora attenzione a voler giudicare frettolosamente lo scrittore di questa lettera aperta. Infatti egli, da lettore di Pasolini, sta seguendo semplicemente le indicazioni dell’autore. Facendo questo – il lettore di Pasolini ossia lo scrittore di questa lettera – appone, di sua volontà, un segno grafico sul manoscritto del poeta per inaugurare l’epifania di un nuovo linguaggio.
Cosa indica infatti quella moltiplicazione in numeri romani? Essa indica essenzialmente proprio una moltiplicazione del 3 (le tre fasi di vita di Pasolini, dal 55 al 75) per 7 (il mistero). Da questa moltiplicazione abbiamo nuovamente il numero 21, numero che indica il totale degli Appunti inseriti fra il 55 e il 70, sui quali l’autore costruisce strategicamente la griglia per i segni grafici che il lettore deve tracciare manualmente. Ma cosa sono questi appunti? Sappiamo che gli appunti, seguendo la «VARIAZIONE», sono, ambiguamente, oltre che 20 anche 21. Invece, secondo la legge dello «SPOSTAMENTO», inizialmente sono numeri come il 55 e il 75, o come il 14, e, quindi, spostandosi all’interno del senso e del valore, prendono il significato di anni, cioè di anni di vita autobiografica dell’autore.
A questo punto l’autore vuole che il lettore apponga il suo segno grafico, e il lettore, apponendo il suo segno grafico, deve ritornare indietro sui suoi passi, precisamente sui passi dello spostamento, ma non nel luogo della logica, bensì nel luogo della storia: egli deve ritornare alle origini della scrittura. Ossia deve ritornare nel momento in cui l’umanità creava, attraverso il nuovo strumento della scrittura del segno grafico, un nuovo linguaggio. Deve ritornare al sogno del Faraone con i suoi animali.
Perché il passaggio evolutivo avvenne proprio quando l’uomo cominciò a segnare, su un pezzo di legno o di osso, le tacche per la conta dei capi di bestiame (la carne da macello). Poteva essere un gregge di pecore o una mandria di Vacche della Casilina, non ha alcuna importanza! Solo in questo modo il lettore, contando gli anni di vita dell’autore come se fossero Vacche, riesce a dare senso e valore all’opera. Cioè riesce ad accrescere la coscienza intorno al numero e al valore di ciò che si conosce, si possiede e si governa, o meglio al valore di ciò che conosciamo, possediamo, condividiamo e governiamo con i «Vicini nel 1970 avanti Cristo» e dopo Cristo.
È nell’azione che traccia questo nuovo segno grafico, l’Epifania del nuovo linguaggio. Che non è, e che va conquistato. Il pedagogo indica la via, non la soluzione, perché la conta dei nuovi valori è conquista ardua dell’allievo. È l’arduo calcolo di valori economici completamente altri, sconosciuti, anzi, da creare. Valori sui quali si possa calcolare e opportunamente ridurre l’impatto della produzione di beni sulla scienza economica e sulla scienza politica, cioè l’impatto della produzione (anche dell’informazione) sulle nostre capacità conoscitive e linguistiche. Che i cosiddetti beni, goods, possano essere chiamati anche mali, buds. La conquista di un’economia umanistica che consideri come primo bene sufficiente e necessario il nostro e l’altrui territorio. In cui la proprietà privata e produttiva sia inclusa in un organismo vivente globale. In cui la capacità produttiva delle manualità dell’artigianato sia l’unica privilegiata da parte delle politiche economiche, in quanto unica strada maestra di veri e duraturi progressi tecno-scientifici. Riconosciuta, quindi, come unica base di sviluppo possibile, senza la quale progredire socialmente e linguisticamente è impossibile.
È chiaro adesso che l’incremento di senso funziona sullo spostamento e sulla variazione di quel segno grafico che porta il lettore alla tragica scomparsa dell’autore. Ma non solo, infatti non bisogna trascurare i contesti tematici quali, Hermes, Il sogno sul Nilo del Faraone decifrato da Giuseppe dell’antico testamento, Cristo, Patmos e l’Apocalisse di Giovanni, la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale e il fratello Guido-Ermes, la fuga dal Friuli a Roma di Pasolini, l’Italia e il mondo dal 1955 al 1969 e la strage di Piazza Fontana, la morte di Pasolini del 2 novembre 1975, la poesia Patmos decifrata da Giuseppe Zigaina, il silenzio della critica e la sua riluttanza.
Questo è il contesto che unisce spaventosamente la forma a contenuti tematici che spaziano nella storia e nel sapere universale. Tanto da descrivere, per usare le parole di Pasolini, la «crisi cosmica» dell’autore e la sua tensione ad una risoluzione linguistica ed espressiva. Venendo ai nostri giorni attraverso questa breve panoramica su forma e contenuti, posso collegarmi direttamente alla vicenda della furbesca invenzione della scomparsa dell’appunto 21 di Petrolio, «Lampi sull’ENI», una invenzione a scopo di strumentalizzazione. E’ questo oggi il livello di una produzione culturale che oltre a delinquere, in quanto propriamente criminale, tende a creare feticci nell’opinione pubblica degni della più bassa lega salviniana.
Infatti sia personaggi come dell’Utri (il personaggio che ricevette in dono volumi rubati dalla Biblioteca napoletana di G.B. Vico, dei Gerolamini, direttamente dalle mani del ladro Massimo Marino De Caro, che ne era il direttore eletto all’unanimità dalla congrega – in accordo con Stato e Chiesa – e che invece la sventrò) che altri come D’Elia (un azzeccagarbugli della sinistra), hanno sostenuto e sostengono l’esistenza dell’appunto 21. Appunto che, in Petrolio, Pasolini ha voluto rappresentare come una semplice pagina bianca, come altre del resto. Questa invenzione, spacciata come reale, presupporrebbe un vero e proprio furto del suddetto appunto da parte di ignoti, quindi si presenta come una vera e propria calunnia contro ignoti, e anche contro chi era responsabile della conservazione del manoscritto.
Ma ri-leggendo Petrolio, proprio nella parte che loro usano a dimostrazione dell’avvenuto furto – tralasciando furbescamente l’ultimo periodo, cioè la frase più significativa, che qui, invece, io riporto – possiamo adesso comprenderne il senso profondo: «Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, della formazione partigiana guidata da Bonocore, ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato “Lampi sull’Eni”, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria. Il mio non è un [romanzo] ‘a schidionata’, ma ‘a brulichio’ e quindi è comprensibile che il lettore resti un po’ (…) disorientato».
È ovvio che qui Pasolini si riferisca proprio alla forma del suo romanzo in riferimento al numero e all’Appunto 21 («Lampi sull’ENI»), anche quando parla dei partigiani guidati da Bonocore, infatti il riferimento anche a suo fratello Guido partigiano (l’Ermes del Pratone) è lampante. L’autore definisce la sua forma a «brulichio», che, a mio avviso, è la più bella forma che si può ammirare nel creato, in quanto, anche se creata, è essa stessa creatrice, e, per questo, a brulichio. Non sorprenda se è rappresentata proprio dal segno grafico «III VII», cioè «3 X 7» = 21, «‘A FEMMENA ANNURA» (la donna nuda) della smorfia napoletana.
Ritornando ad Ermes, bisogna sottolineare con forza che la conoscenza della cultura napoletana, da parte di Pasolini, era semplicemente sconfinata, e la sua amicizia con Eduardo De Filippo è stata probabilmente fondamentale affinché Pasolini acquisisse Pulcinella (75) a psicopompo misterico di tutta la sua opera. Eduardo non era solo colui che Pasolini definiva un attore straordinariamente grande, ma un Pulcinella altrettanto gigantesco. Eduardo aveva anche un quadro di Pulcinella, che lei conosce, un quadro che probabilmente Pasolini conosceva molto bene e sul quale ritorneremo tra un istante.
Pulcinella è Ermes, come lei e non solo lei mi insegna. Quindi come Ermes, anche Pulcinella è uno psicopompo, infatti il suo tradizionale abbigliamento è quello di un morto, vestito di lenzuolo e federa di cuscino. Una maschera, «a meza sola», che fa risaltare un naso enorme a conferire il carattere fallico, quindi, di nuovo ermetico (si veda a riguardo l’affresco dell’Ermes iperfallico dell’antica Pompei). Ermes porta in mano un araldo e Pulcinella il suo bastone. Una «meza sola», che tiene scoperta la bocca per conferire al personaggio un altro carattere, quello bifronte, del riso e del pianto, della faccia allegra e della faccia triste. Pasolini richiama proprio con la storia di Tristram, in Petrolio, questo stesso doppio carattere, facendo strategicamente riferimento al Tristram (anch’egli triste) di Sterne. Il padre di Tristram (nel capolavoro di Sterne) non avrebbe mai voluto chiamare suo figlio con quel nome orribile, ma col nome di Hermes, ovviamente! Il triste e l’allegro di una donna e di un uomo, associati ad una antica leggenda napoletana, a cui Pasolini sapientemente allude in Petrolio, a conferire alla maschera il suo carattere ermafrodito, un altro carattere appartenente ad Ermes.
Le associazioni numeriche e simboliche collegate a Pulcinella, in Petrolio, sono strategicamente inserite dall’autore. Ma le due caratteristiche salienti sono le seguenti. Pulcinella dà e riceve bastonate, e il numero 38, «‘E MMAZZATE», manca nella successione numerica degli appunti di Petrolio. La gobba di Pulcinella è l’altro dato pregnante. A Napoli la persona che porta la gobba si chiama «scartellato», e il gobbo è un Pulcinella capovolto, o visto da dietro, alle spalle, cioè il 57 della smorfia, «’O SCARTELLATO». Il 57 e il 75 mancano nella successione numerica degli appunti di Petrolio.
Io stesso ho avuto modo di vedere un quadro di un Pulcinella francese con una gobba proprio in corrispondenza dello stomaco. Ma il quadro di Eduardo, rappresenta, come è scritto in «Carnevale si chiama Vincenzo» (di Roberto De Simone), l’ermafrodito Pulcinella-Ermes, che partorisce pulcini (piccoli pulcinella) direttamente dalla sua schiena. Le bastonate prese e date, e la tragica morte di Pasolini, sopravvenuta per schiacciamento toracico, sono, dunque, per quanto mostruosi, dati relativi alla creatività di un autore che non ha consentito ai suoi assassini di potersi inserire autonomamente o improvvisando all’interno della sceneggiatura. Questa, infatti, è stata dettata dall’autore, unico regista, sceneggiatore, scenografo e produttore della sua vita fino all’ultimo istante, il quale ha saputo strumentalizzare i suoi assassini e i mandanti dei suoi assassini ad uno scopo specifico e significativo. Questi, infatti, non sono riusciti ad ammazzarlo come avrebbero voluto, ma, probabilmente, lo hanno reso immortale come accade in casi più unici che rari.
Questa mia ultima osservazione sul quadro di Eduardo è, ovviamente, a differenza di quanto scritto precedentemente, una mia personalissima opinione, che però trova corrispondenza e riscontro, oltre che nei manuali di antropologia e di storia delle religioni, anche in «Hostia». Qui Zigaina afferma che lo schiacciamento del torace è un rituale sacrificale tendente ad imitare omologicamente, o omeopaticamente, lo schiacciamento del chicco di grano. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Questa frase del vangelo di Giovanni (12,20-33), Pasolini la usa nel «La nuova gioventù» (1974) nella poesia «Il dì da la me muàrt».
Il sacrificio animale o umano, fatto agli dei per assicurarsi il raccolto, con Pasolini diventa propedeutico ad una messe culturale e non colturale. Una messe che investe non in un campo dei primi cereo-agricoltori, ma nel campo del linguaggio, della conoscenza, e nelle loro straordinarie potenzialità attuali non colte. È un sacrificio per assicurarsi la futura fertilità del linguaggio, prima che della terra. Come a dire che solo un sano linguaggio può assicurare fertilità alla terra.
47 o anche 53 anni della vita di un uomo non bastano a fare una rivoluzione linguistica e culturale, anche se forse Pasolini, fino alla fine, ha sognato di poterci invece riuscire. Ma, probabilmente, è possibile nella vita di un uomo porre le basi affinché questo possa avvenire in futuro – per quanto estremamente arduo – perché lui, Pasolini, forse ci è riuscito. È riuscito a varcare il suo limite linguistico avendone una profondissima e sconfinata conoscenza. Una conoscenza del limite che a noi ormai sfugge pericolosamente, distruttivamente.
Come dicevo, a riguardo di quello che ho scritto precedentemente, cioè precedentemente alle osservazioni sul quadro posseduto da Eduardo, questo testimonia un fatto. Quindi non vogliono convincere l’interlocutore ad essere in accordo con tale fatto, con tale «procedimento» formale di Pasolini, e a convincerlo che questo «procedimento» è giusto o è sbagliato da un punto di vista morale, politico, religioso o artistico. Esse invece tendono a qualcosa di più importante dell’opera e della vita stessa di Pasolini considerate per se stesse.
Vogliono, infatti, solo incrementare gli elementi logico-formali – anche se non ce n’era alcun bisogno, essendo essi già più che sufficienti – che avrebbero dovuto già registrare la singolare peculiarità pasoliniana all’interno della storia della letteratura. I fatti della storia della letteratura, o della storia, non sono né morali né immorali, né giusti né sbagliati, né belli né brutti, ma sono solo fatti registrati, sui quali successivamente, proprio perché registrati, si possa esprimere un’opinione e se ne possa avere un’idea. Sono come i graffiti nelle caverne del Neolitico, esistono! La conoscenza e la sua necessità sono alla base del linguaggio. È su tali graffiti, nel buio di tali caverne che misuriamo la cultura del nostro presente storico e la capacità di illuminare il futuro.
È vero che un fatto storico importante può essere inizialmente ignorato, ma nel momento in cui viene ri-trovato e opportunamente vagliato e ri-visto, allora non possono esserci oscuramenti, falsificazioni od omissioni. Se questo avvenisse sarebbe la dimostrazione non solo della dipendenza da un regime spaventosamente potente dell’arte, della cultura e della logica, ma anche che la cosiddetta cultura sarebbe terribilmente omologata ed omologante a un pensiero in cui la creatività scompare a favore di una regressione antropologica invasiva di tutta la nostra realtà.
Il libro – di cui ho auto-pubblicato il primo volume sulla piattaforma Kindle di Amazon e dove, probabilmente, pubblicherò tutti gli altri – è intitolato Gennariello, Pasolini e la rivoluzione, e non può essere solo un libro su Pasolini. Infatti, con questa prima lettera aperta, anticipando pubblicamente e gratuitamente le chiavi di lettura di Petrolio e le intuizioni inedite relative alla forma dell’opera, propagando un testo (il mio) che non si occuperà dell’opera di Pasolini sic et simpliciter ma, in certo senso, del suo autore in carne ed ossa, di me stesso. Ossia si occuperà di tutto il contesto che sarebbe chiamato a registrare le novità espresse dal linguaggio di Pier Paolo Pasolini.

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