di Vittorio Capecchi
Appare per la prima volta in edizione italiana, a cura di Amina Crisma (Garzanti novembre 2015), Neiye, il Tao dell’armonia interiore, un trattato di grande intensità poetica e concettuale che rappresenta una delle più antiche testimonianze delle origini del taoismo.
Il Neiye (La Coltivazione interiore) è un breve e splendido testo dedicato al tema della coltivazione di sé come pratica psicofisica integrale incentrata sull’energia vitale (qi), e rappresenta una delle più antiche testimonianze delle origini del taoismo (IV secolo a.C.). La sua poetica suggestione e la sua potenza di linguaggio sono paragonabili a quelle del Laozi o Daodejing, il Classico della Via e della Virtù, la fonte taoista più famosa e tradotta in Occidente e nel mondo, ma fino a poco tempo fa esso aveva ricevuto scarsa attenzione, in quanto veniva sostanzialmente percepito come uno dei tanti capitoli della composita opera in cui era stato collocato dai bibliotecari imperiali all’epoca della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), il Guanzi, che reca il nome di un illustre ministro dell’epoca delle Primavere e Autunni (722-481 a.C.), Guan Zhong.
L’involucro in cui il Neiye era racchiuso, come una specie di greve coperchio sepolcrale, impediva un’adeguata percezione della sua straordinaria importanza. La sua riscoperta è uno dei frutti più interessanti delle ricerche sul pensiero della Cina antica che hanno avuto luogo negli ultimi decenni. L’opera si è così riconquistata piena visibilità fra gli specialisti, ma è rimasta peraltro pressoché del tutto ignota al largo pubblico, e in particolare ne mancava finora un’integrale e affidabile traduzione italiana condotta sull’originale cinese.
Essa compare ora da Garzanti, nella collana “Grandi libri dello spirito” diretta da Vito Mancuso, con il titolo Neiye, il Tao dell’armonia interiore, a cura di Amina Crisma, sinologa, autrice di monografie sul pensiero cinese antico (Il Cielo, gli uomini, Cafoscarina 2000; Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica, Unipress 2004) e docente di Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Bologna.
Il libro cerca di coniugare rigore filologico e chiarezza divulgativa, offrendo una traduzione del testo tesa a rendere il vigore espressivo dell’originale, un’ampia introduzione e un approfondito commento che ne illustrano le nozioni cruciali, il contesto storico, la peculiare spiritualità fondata su un’armoniosa e unitaria concezione del cosmo: una concezione antica sulla quale c’è oggi bisogno di tornare a riflettere, e in cui assume speciale risalto l’esigenza di coniugare morale e politica, santità interiore (neisheng), ossia governo di sé e delle proprie passioni, e governo del mondo (waiwang).
Questa antichissima fonte può costituire una risorsa per i nostri pensieri di oggi? E’ questa domanda, in sostanza, a sottendere il volume, che diffida del facile consumo di esotico ma si distanzia anche da un’erudizione autoreferenziale per proporre una modalità di lettura come esercizio spirituale dichiaratamente ispirata, fra l’altro, all’esperienza condotta da Pier Cesare Bori nel collettivo di “Una via”, dove si leggevano testi di varie tradizioni, dalla Bibbia al Laozi , da Pico della Mirandola a Freud, da Tolstoj a Simone Weil.
Ne abbiamo parlato più volte su Inchiesta e in particolare in questi giorni, in occasione del terzo anniversario della morte di PierCesare. Proseguire quel “leggere insieme” che lui ci ha insegnato ci sembra un buon modo non solo per ricordarlo, ma anche per farlo restare tra noi.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 10 novembre 2015