di Eddyburg
Avremmo voluto dedicare questo articolo alla dannosa legge cosiddetta “contro il consumo di suolo”. Ma ci sembra che ciò che accade a Roma attorno a Ignazio Marino (e soprattutto al Campidoglio) meriti un’attenzione bruciante. Non si tratta di territorio, ma di democrazia, non di speculazione ma di fascismo. (segue)
Nel presentare su questo sito l’articolo di Norma Rangeri (il manifesto del 30 ottobre) abbiamo scritto che l’Italia è diventata un paese fascista. Non ci riferiamo solo all’odierna questione romana, poiché essa è l’epitome della questione italiana del XXI secolo. Antonio Padellaro ha ragione quando scrive che «su Ignazio Marino sindaco di Roma si può pensare tutto il male possibile: che sia stato gravemente inefficiente e troppo assente, che abbia chiuso un occhio o forse entrambi su Mafia Capitale, che sui famosi scontrini non l’abbia raccontata giusta».
Ma non è lì lo scandalo: lo scandalo è nel modo minuzioso, attento, abilissimo col quale il segretario (non eletto) di un partito, cioè di un’associazione che è “parte” della società, e contemporaneamente il presidente (non eletto) del consiglio dei ministri hanni orchestrato, diretto, propagandato e condotto a compimento l’eliminazione politica e istituzionale di un Sindaco democraticamente eletto, con grande maggioranza dei voti.
Speriamo che qualcuno scriverà la storia di questo delitto. Non abbiamo troppa fiducia nella “libertà” dei media italiani, se perfino la Repubblica è diventata la gazzetta di Renzi, ma voci libere, sia pur poche, ce ne sono ancora. Quando quella storia sarà scritta essa inizierà con lo smantellamento, dall’alto, del PD romano: un partito intriso di collusione con i peggiori interessi dell’affarismo ma dove non mancavano voci libere (e forse ancora non mancano) che intendevano discutere. Nemmeno nelle riposte stanze dei “circoli” del Pd romani si è potuto discutere quando è arrivato il confronto tra l’ingenuo Marino e il monarca.
Ma quello che è ancora più grave per chi crede ancora nella democrazia e nelle sue istituzioni – così come sono state conformate dallo Costituzione – è la lesione compiuta con l’eliminazione di un Sindaco, eletto dal popolo, da parte un Presidente del consiglio dei ministri. Il mondo intero ha assistito alla defenestrazione del sindaco di una grande città compiuta senza motivarne le ragioni, semplicemente intimandogli di andarsene. Poi, alle sue resistenza, ordinando ai consiglieri membri del suo partito (meglio, suoi sudditi) di dimettersi, per ottenere così lo scioglimento del consiglio comunale cercando, e trovando, l’alleanza con la peggiore destra ottenendo cosi l’annullamento istituzionale del fastidioso critico. Il quale, udite udite, pretendeva soltanto che si discutesse pubblicamente sulle ragioni che spingevano a sfiduciarlo.
Non sappiamo francamente se indignarci di più per la macchinazione del monarca o per l’ignavia dimostrata da tutti i suoi sudditi. Ma la preoccupazione più forte è per lo spaccato della questione italiana che l’episodio romano, più che rivelare, conferma e illustra.
Numerosi i segnali, che ci arrivano ormai da molte regioni e molti ambienti (la scuola e l’università, le istituzioni del sistema delle autonomie e le fabbriche, gli studi professionali e le redazioni dei media): la critica e la protesta non vanno al di là del mugugno tra quattro mura. Rarissimo, quasi eccezionale il caso di persone che abbiano il coraggio di esporre pubblicamente le loro critiche, per timore di perdere l’incarico, o il ruolo, o il posto. Il ricatto della pagnotta è la regola dominante nel regime feudale imposto dal ragazzo di Rignano – e, bisogna aggiungere, supinamente accettato da troppi italiani.
L’unico evento che potrà restaurare la democrazia in Italia è un allargamento della consapevolezza del fango nel quale siamo precipitati e, su questa base, una riscossa dello spirito di solidarietà e di ribellione, che sappia manifestarsi a partire dalle prossime elezioni. Decisivo è il ruolo degli intellettuali, cioè di quelle donne e quegli uomini che lavorano impiegando poco la forza, e la fatica, dei muscoli e molto gli strumenti del sapere. Avere la capacità di guardare al di là del presenta e nell’insieme un mondo miope e spezzettato è un privilegio che hanno acquistato grazie alla società che li ha alimentati: verso la società hanno un debito e una responsabilità forti, che devono onorare.
Due parole sul tema che abbiamo accantonato per soffermarci sulla democrazia: la legge sul consumo di suolo. La nostra fondata opinione è che questa legge è del tutto inservibile ai nobili fini che si propone. Chi ha la pazienza di analizzarla dal punto di vista dell’efficacia deve concludere, scoraggiato, che ha la stessa efficacia di un aratro senza vomere. Rinviamo in proposito agli articoli… Così stando le cose rimane una domanda: come mai tante associazioni ambientaliste, tante persone sincere e oneste che militano nel mondo che condivide lo slogan “stop al consumo di suolo” non si sono accorte delìlla vacuità (se non dei rischi) di quella proposta. Non vorremmo che questo episodio debba ricollegarsi a quelli su cui ci siamo soffermati: l’illusione suscitata dall’accattivante immagine nasconde la miseria della sostanza, la velocità del cinguettio cancella la capacità di studiare.
Torneremo più ampiamente sull’argomento. Per ora invitiamo chi voglia capire perché quella legge se approvata, sarà una pietra tombale sull’argomento legga gli articoli di Vezio De Lucia del giugno 2013 (Consumo di suolo a un passo dal baratro) e del febbraio 2015 (A partire dalle buone intenzioni del ministro il Parlamento approda a una legge inservibile), di Eddyburg, febbraio 2015 (Eddyburg e il consumo di suolo), di Ilaria Agostini del maggio 2015 (Due leggi per il suolo).
Questo articolo è stato pubblicato su Eddyburg il 31 ottobre 2015