di Gianluigi Trianni
Matteo Renzi con la legge di stabilità 2016 ha stanziato 111 miliardi per il Fondo Sanitario Nazionale sostenendo che rispetto agli anni precedenti costituirebbero un incremento poiché lo stanziamento 2014 è stato di 109 miliardi e quello 2015 di 110. Matteo Renzi ha però taciuto che:
- i 111 miliardi assegnati per il 2016, costituiscono oltre 4 miliardi in meno rispetto ai 115,444 promessi dal suo governo nel 2014 e stabiliti in una intesa Stato-Regioni nello stesso anno, ed oltre 6,5 in meno rispetto ai 117,563 previsti del governo Letta-Saccomanni nel febbraio 2014; per di più nel testo reso nota dal governo alla stampa prima che al Parlamento, “vagano” 1,8 miliardi, non specificati ma a forte rischio di essere a carico degli stanziamenti per il socio-sanitario, con i quali le regioni dovrebbero farsi carico della manovra di rientro nazionale;
- nel 2014 la spesa accertata a consuntivo è stata di 112,6 miliardi (cfr report dell’agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) dei dati sulla spesa sanitaria nazionale e regionale relativi al periodo 2008-2014, ricavati dai Conti Economici (CE) consuntivi compilati dalle Regioni stesse e inseriti sul Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) del Ministero della Salute), superiore non solo di 3,6 miliardi ai 109 miliardi assegnati al fondo sanitario nazionale nel 2014, ma anche di 1,9 miliardi ai 111 miliardi da lui e dal suo governo stanziati per il 2016;
- dal 2008 al 2014, (sempre secondo i dati economici consuntivi elaborati da Agenas, negli anni 2008 – 2013 secondo i quali si é registrata una continua riduzione della spesa sanitaria nazionale fatta eccezione per un lieve incremento dello 0,89% nel solo 2014):
- il fondo sanitario nazionale è cresciuto solo del 9% invece che almeno del 14%, cioè di almeno il 2% annuo per fronteggiare gli investimenti per il rinnovo delle attrezzature elettromedicali obsolete e per sostituire/ristrutturare gli edifici sanitari fuori norma per la sicurezza o divenuti inadeguati per le nuove esigenze assistenziali;
- sono aumentate del 18% le spese a carico dei bilanci regionali, che, come il fondo sanitario nazionale, sono alimentati sia dalle tasse dirette, dei cittadini che le pagano, sia da quelle indirette, che colpiscono i consumi a prescindere dal reddito;
- sono cresciuti del 26% i ticket cui i cittadini sono sottoposti quando ammalati;
- nel 2014 è stata di ben 33 miliardi la spesa sanitaria privata, “out of pocket” nel gergo di alcuni “comunicatori” sanitari, crescendo di un miliardo rispetto al 2013. Tale dato, sommato ai predetti 112,6 di spesa del servizio sanitario nazionale nello stesso anno, porta a stimare in circa 145 miliardi la spesa sanitaria nel 2014 e di essa quella privata sarebbe quindi stimabile in ben il 22.7%. (cfr il report del giugno 2015 di Censis-RBM Salute, in collaborazione con Previmedical presentata a Roma al 5° Welfare Day dall’esplicito titolo: “Oltre l’attuale welfare integrativo – rinnovare la previdenza complementare e la sanità integrativa”);
- nel 2014 per l’Istat il 9,5% della popolazione, pari a 5.775.525 di cittadini su 60.795.000, ha rinunciato a una prestazione sanitaria di cui aveva bisogno a causa delle lunghe liste di attesa, dell’inefficienza organizzativa e del costo dei ticket. Non è un fatto di poco conto: il dato è aumentato in un anno dello 0,5%. Nel 2013 riguardava il 9% dei cittadini. (T. Aceti Quotidiano Sanità 24.09.2015). Più in generale il 38% dei nostri concittadini rinuncia alle cure odontoiatriche, il 22% a quelle oftalmiche e il 15% alla riabilitazione. (cfr AltroConsumo – V. Agnoletto 5.10.2015.) Tali dati sono stati confermati dal Censis il 20.10.2015;
- nel 2014 la mobilità regionale, cioè le spese sostenute da una regione per pagare le cure ai suoi assistiti che vanno a curarsi presso un’altra regione, è ammontata a ben 3,8 miliardi, e ad essa vanno ad assommarsi le ingenti spese alberghiere e di trasporto che i malati e le loro famiglie sostengono per le cure fuori regione (questo fenomeno è a carico delle regioni del sud, eccetto il Molise, e delle isole e costituisce incremento delle entrate delle regioni del nord, eccetto Piemonte , Liguria e pa Trento);
- nonostante le spese in più, grazie alle coperture extra (le tasse regionali) il Ssn chiude, colpevolmente, il 2014 con un avanzo di 600 milioni non spesi, dopo i più di 500 milioni nel 2012 ed i più di 800 milioni per il 2013.
Questo in sintesi uno spaccato di incremento di tasse, di “privatizzazione” del servizio sanitario pubblico, di rischi per la salute registratisi nel 2014, ultimo anno di cui si hanno dati consuntivi, e purtroppo di trend in notevole incremento già determinati per il 2016 con il fine di compensare la riduzione delle tasse sui patrimoni (cfr IMU) e magari di finanziare grandi opere socialmente inutili e dannose per l’ambiente come con lo “Sblocca Italia” o le operazioni militari in Siria Afganistan e Libia.
Ma a fronte dello “strappo” di queste ore delle regioni sulla legge di stabilità 2016 e delle trattative in corso, il cui esito è al momento inquantificabile, sulle poste di bilancio e su chi debba esporsi alla impopolarità della imposizione di nuove tasse, se il governo centrale o quelli regionali, per rispettare i vincoli imposti dai trattati e dalla commissione europea, occorre segnalare anche la sostanziale corresponsabilità delle regioni (e la passività dei sindacati confederali).
All’evidenza di gravi fenomeni di corruzione a carico della gestione regionale della sanità pubblica, come confermano le indagini della magistratura, anche in questi giorni di ottobre 2015 in Lombardia ed a Roma, si è aggiunta una convergenza politica sul “definanziamento” operato dai governi di “centro sinistra” di oggi, in sintonia con quelli di centro destra e di “larghe intese” di ieri. Anno dopo anno, alzati inconsistenti e formali lamenti sulle manovre di riduzione del fondo sanitario nazionale, i presidenti e le giunte regionali hanno saputo solo accettarle e colmarne le deficienze, facendo ricorso alla leva fiscale regionale, limitandosi a finanziare l’esistente obsoleto e costoso (ma gratificante di relazioni utili al consenso elettorale di segmenti parziali della società incuranti del bene comune), senza fare investimenti adeguati per quella ristrutturazione della rete di erogazione dei servizi socio sanitari (meno ospedali e più grandi, più sedi distrettuali polispecialistiche e per le cure primarie / “case della salute”, più medicina preventiva e più ricerca sanitaria ed epidemiologica), che procurerebbe tra l’altro non solo più salute e meno costi per i cittadini, ma anche buona edilizia e più, e più qualifica, occupazione, viste le relazioni tra assistenza e ricerca e innovazione.
Incapaci di opporsi al governo Renzi sui tagli alla sanità e di governarla senza sprechi “strutturali” (strutture ed organizzazioni sanitarie obsolete) e di “processo” (gravami della corruzione sugli appalti e di una organizzazione del lavoro piegata alla tutela di rendite corporative) le regioni ed i loro presidenti “si dedicano” all’acquisto di prestazioni specialistiche ambulatoriali non erogabili dal pubblico per l’insufficienza degli organici e deficienze organizzative varie, dalla sanità privata e/o privata sociale (cfr il caso Toscana – Misericordie) come attesta la crescita della relativa spesa in molti bilanci regionali 2014, ed alla spinta all’incremento di ruolo delle assicurazioni private (“sanità integrativa”) viste come alternative al “definanziamento” operato dal governo ed alla imposizione fiscale regionale politicamente impopolare.
Recentemente, infatti, dopo una serie di dichiarazioni a sostegno della assistenza integrativa fatte in convegni organizzati dal colosso assicurativo Unipol, il presidente della regione Emilia Romagna Bonaccini, ed il suo assessore Venturi, coordinatore anche della Commissione Salute delle Regioni, hanno proposto agli imprenditori, ai Sindacati Confederali ed ai Sindaci rappresentanti di Provincie e Comuni e ad altri Enti, tra cui le Università, un “Patto per il Lavoro” nel quale, tra le altre fumisterie autocelebrative del programma elettorale del presidente eletto e del suo PD, si prevede la istituzione “sperimentale” di un fondo (assicurazione privata) integrativo, finalizzato alla erogazione di prestazioni “extra LEA” (?), alimentato dalla contrattazione nazionale ed articolata (per territorio e per azienda?), e da risorse aggiuntive di cittadini non lavoratori dipendenti, e da collegagarsi tramite convenzioni con il servizio sanitario regionale.
Si vuole sperimentare la Regione assicuratrice, le cui polizze non possono non considerarsi una forma mascherata di tassazione, certo volontaria e “di scopo”. E chi non ha redditi compatibili con polizze assicurative? Viene lasciato senza farmaci, come nel caso dei pazienti con forme epatitiche da virus C, o senza prestazioni specialistiche ambulatoriali di tipo riabilitativo, odontoiatrico o di diagnostica strumentale predittiva?
Dispiace constatare che anche oggi, come avviene peraltro da decenni, flebilmente dato in pasto all’opinione pubblica interna ed esterna qualche ben redatto studio di economia sanitaria o documento di politica sanitaria, i Sindacati Confederali non conducano lotte forti:
- ne contro il definanziamento del SSN la cui privatizzazione costituisce una ulteriore aggressione al reddito dei lavoratori, dei disoccupati e dei pensionati;
- ne contro le sacche di corruzione e clintelismo corporativo, dal quale peraltro non sono esenti nelle contrattazioni e negli accordi aziendali, che generano sprechi gestionali nei sistemi sanitari di tutte le regioni;
- ne contro i tentativi striscianti ma evidenti ed efficaci di aprire la strada alla “assicurizzazione” del servizio sanitario pubblico, ed anzi abbiano accettato e compartecipato al sistema dei fondi sanitari privati nei contratti nazionali dell’industria ed in settori del parastato, partecipando alla spoliazione economica ed alla subordinazione culturale dei loro rappresentati all’individualismo mercatista deleterio proposto ai lavoratori dai “datori di lavoro” e dai sistemi di potere partitico e mediatico.
Purtroppo su questi temi appare flebile e contenuta negli ambiti ristretti delle relazioni istituzionali, quando non assente e comunque non estesa alla società ed ai mass media che la informano e ne formano l’opinione, la voce e l’iniziativa del Volontariato, che in tal modo pare disperdere un possibile centrale ruolo di controllo democratico diretto sulla qualità, sugli sprechi e sulla corruzione efficacia, sull’efficienza e sulla trasparenza del funzionamento dei servizi sanitari regionali.
Questi terreni di iniziativa e lotta politica sarebbe ora fossero assunti anche dalla sinistra, totalmente incapace ad ora sia di legarsi efficacemente al mondo del lavoro professionale per la salute, medico e non, tanto vario e specialistico quanto assolutamente complesso ed alle aree di sofferenza socio sanitaria, parimente variegate e complesse, che dovrebbero essere evitate da un welfare del terzo millennio, sia di proporre e “scrivere” per la sanità, ma in generale per tutti gli ambiti della politica economica e di welfare, una “contro legge di stabilità” da opporre, quale programma comune della sinistra e dei democratici, a quella di destra-centro del governo di Matteo Renzi.