Una nuova mattanza: crescita dei morti per mancanza sicurezza sul lavoro

2 Ottobre 2015 /

Condividi su

di Gino Rubini
Come si lavora oggi in Italia? Con quale gestione dei rischi da parte delle aziende? Nell’estate sono morti per malori, per troppo caldo, in Puglia due braccianti, un uomo ed una donna che erano stati ingaggiati da caporali. Da Priolo in Sicilia al Veneto si è registrata una sequenza tragica di incidenti in cui lavoratori, in diversi casi di aziende che lavorano in subappalto, hanno perso la vita in ambienti confinati ove non avrebbero dovuto entrare senza un’adeguata e preventiva bonifica (vedi Priolo).
In altri perché schiacciati da macchinari o come nell’ultimo caso in un cantiere edile a Cossignano (Ascoli Piceno) un operaio edile muore sepolto dal cedimento delle parti dello scavo. Questi incidenti erano, per quanto si deduce dalle scarne righe delle agenzie, quasi tutti evitabili. Esistono tecniche obbligatorie di messa in sicurezza degli scavi note dagli anni 50. Esistono norme recenti sulle procedure per il lavoro in ambienti confinati molto precise e valide.
Perché non vengono applicate? Perché questa impennata di eventi tragici, quasi tutti prevenibili? Dopo anni di crisi è sufficiente un lievissimo incremento delle attività e delle ore lavorate Perché si verifichi una impennata di infortuni mortali. Questo vuol dire che si è abbassata la guardia, innanzitutto da parte di quelle aziende che in tempi di crisi hanno ritenuto che la gestione accurata dei rischi fosse un optional di lusso da tempi delle vacche grasse. Dalla subcultura che assimila la sicurezza e la prevenzione dei rischi un costo comprimibile o, meglio ancora, da trasferire alle micro aziende che lavorano in appalto al massimo ribasso.

È verosimile affermare che le stesse norme come il Jobs act hanno ridotto la capacità dei lavoratori di reagire rispetto a condizioni di lavoro a rischio per la paura di essere licenziati: il demansionamento e il licenziamento più facile sono deterrenti che mettono a tacere molti lavoratori a fronte anche di situazioni di lavoro a rischio elevato e non gestito.
Infine è verosimile affermare che i ripetuti segnali provenienti dal ministro Poletti rispetto alle politiche dei controlli stanno avendo, purtroppo, il loro effetto negativo. Un ministro del lavoro che si preoccupa “di non disturbare” le aziende invece che trovare le risorse per fare funzionare i controlli è parte del problema di ciò che sta avvenendo, non della soluzione.
I tagli lineari nella PA, quelli passati e quelli prevedibili, quale che sia la struttura preposta ai controlli stanno riducendo la deterrenza dei controlli verso le aziende che intendono “risparmiare” sulla pelle dei lavoratori.
Infine occorre un impegno ancora più forte e incisivo del sindacato: non bastano più i comunicati stampa e le richieste di maggiori controlli ad ogni evento luttuoso. Occorre affrontare con i lavoratori il tema su come si lavora oggi, con quale organizzazione del lavoro e rafforzare i lavoratori ad essere in grado di interagire con le aziende sulla qualità della gestione della sicurezza nelle aziende, azienda per azienda. Proprio per evitare che una sia pure esile ripresa non diventi una mattanza.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 24 settembre 2015 riprendendolo dal Diario del lavoro

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati