Leggi razziali 77 anni fa: la persecuzione di rom e sinti

18 Settembre 2015 /

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di Claudio Cossu
Cade a breve la ricorrenza, triste e densa di ripercussioni storiche negative, della proclamazione delle leggi razziali, 18 settembre 1938, effettuata a Trieste, piazza Unità d’Italia 77 anni addietro. Per dare più spazio al dittatore vociante, l’amministrazione fascista di Trieste fece spostare, a pezzi, la fontana del Mazzoleni al “lapidario,” accanto alla Basilica di San Giusto. Così il duce potè essere visto e applaudito da una più vasta e numerosa platea, inspiegabilmente gioiosa e frenetica per quella proclamazione insolita.
Ma a subire le conseguenze di quelle leggi enunciate, che hanno rappresentato l’infamia per il diritto italiano e per tutta l’Italia e la sua cultura giuridica, non fu solo il popolo ebraico, quella persecuzione travolse anche le genti rom (chiamati volgarmente zingari) e sinti. Storia rimossa e trascurata da studiosi e ricercatori e che appena ora viene alla luce e indagata quale fonte di ricerca e indagine “La persecuzione di Rom e Sinti: storia e memoria dello sterminio”, a cura dell’Istituto della Resistenza, 25 gennaio 2008 (convegno di Biella).
Noi ci inchiniamo commossi di fronte al martirio ed alle sofferenze degli ebrei, dinanzi alla Shoah, alla discriminazione e al disegno pianificato di eliminare, in un delirio di morte e distruzione, tutta una civiltà ed un popolo. Unitamente a Helmut Schmidt, ci inginocchiamo di fronte ai neri cancelli di Auschwitz, emblema di crudeltà e dolore. Vorremmo farlo fisicamente e in quel luogo. Ma dobbiamo ricordare anche chi venne travolto da quella tempesta malefica di discriminazione e persecuzione che avvolse l’Europa, uomini marchiati dalla stella viola nei campi nazisti, i rom e i sinti.

Uomini che anche il fascismo perseguitò e volle internare in campi quali quelli di Agnone e Boiano (Campobasso), di Tossicia (Teramo) e relegare nei comuni marginali della Sardegna e centro-settentrionali del Paese. Già nel 1926 una nota del prefetto della Venezia Tridentina ricordava a tutti gli uffici di Ps che “gli zingari, in carovane o isolati, dovranno essere respinti anche se abbiano documenti e mezzi” (servizio degli stranieri. Riassunto delle disposizioni impartite e tuttora vigenti – Direzione generale della Ps, Divisione affari generali riservati, 28 febbraio 1926).
Il commissario di Ps di Postumia, inoltre, nel 1925 segnalava come vi fossero rom da espellere che “per essere stati sempre in Italia, si reputano cittadini italiani […]. Vengono egualmente avviati alla frontiera jugoslava, da dove però sono sistematicamente respinti perchè non riconosciuti cittadini jugoslavi, per mancanza di documenti” (Rapporto del commissario di Ps di Postumia-Scalo). Ma le espulsioni, anche con modalità irregolari e clandestine venivano effettuate egualmente fino alle disposizioni di internamento del 1940, incoraggiate e supportate dalle leggi razziali proclamate a Trieste (vicenda emersa nel contesto del Convegno sopra citato, relazione di Rosa Corbelletto).
Ma le persecuzioni più odiose furono effettuate con i rastrellamenti in quanto i rom venivano considerati “pericolosi nelle contingenze belliche” dalle autorità fasciste, rastrellamenti iniziati con una circolare del capo della polizia Bocchini inviata ai prefetti del Regno dell’11 settembre 1940 perché considerati “elementi capaci di esplicare attività antinazionale. [È] indispensabile che essi vengano controllati dato che in stato di libertà possono facilmente sfuggire […]. Cresceva l’ostilità nei loro confronti in quanto ritenuti facilmente assoldabili da stati nemici” (D. Kenrick- G. Puxon,” Il destino degli zingari” Rizzoli, Milano, 1975).
E da ultimo furono consegnati, nel 1943, ai nazisti per essere avviati ai campi di sterminio. La discriminazione, l’emarginazione e poi l’annientamento – soprattutto del popolo ebraico, ma anche dei rom e dei sinti – significò, pertanto, il suicidio dell’Europa e la proclamazione sopra menzionata, effettuata a Trieste, rappresentò la volontà di cancellare l’identità italiana, ma anche europea nella sua molteplice, variegata etnicità e cultura. E ancor oggi, purtoppo ci è dato modo di constatare che quel seme malefico germoglia ancora in Europa.

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