di Eretica
Ho letto che Papa Francesco parla di amnistia e perdono per le donne che hanno abortito e si mostrano pentite. Tutte le altre finiranno all’inferno, immagino. E sapete che c’è? Che all’inferno si sta bene, tra peccatori e peccatrici che non si dolgono dei “peccati”, così definiti da chi non sposta la lancetta dell’orologio di un millimetro giacché è rimasto fermo a secoli fa.
Per esempio, vorrei raccontarvi di un aborto senza pentimento. Scelto con criterio, senza esitazione e senza strascichi. Non è stato per nulla semplice, e il trauma che ti porti dietro è dovuto a quel che in realtà ti fanno patire per le scarse cure in ospedale, perché devi aspettare un tempo infinito affinché arrivi il tuo turno, e quando succede sono le varie figure sanitarie di passaggio che ti fanno sentire una “cosa”.
È difficile trovare chi ti ascolti senza tentare di sovradeterminarti. C’è chi ti ricorda che l’abbraccio madre figlio può riservare grandi emozioni. C’è chi decide al posto tuo stabilendo che da quel momento in poi vivrai tutta la vita con dolore. Peccato che l’unico dolore l’ho provato prima e dopo l’aborto. Un dolore fisico, terribile, per un inizio di gravidanza che non mi ha lasciato tregua e per un post aborto in cui sembrava che qualcuno prendesse a martellate il mio utero.
So a cosa mi espongo raccontando questa mia esperienza, perché conosco la crudeltà e la violenza verbale, e talvolta non solo, di chi si dice pro/life e poi condannerebbe volentieri al rogo una come me. Ma devo dirlo, per le donne che sono un po’ meno forti. Per le ragazze che vengono definite assassine perché pretendono di usare contraccettivi, di trovare una pillola del giorno dopo quando la cercano e si aspettano di trovare la pillola abortiva, la ru486, senza trovare nessuno a far terrorismo psicologico.
L’aborto è un’esperienza soggettiva e io non mi permetto di definire in termini universali quel che ho vissuto io. E sono vicina, con tutto il cuore, alle donne che invece volevano un figlio e l’hanno perduto, o non riescono ad averlo nonostante il fatto che si sottopongano a terapie dolorose. Vi sono vicina ma esistono anche quelle come me.
Ho abortito e non mi pento, ancora oggi, a distanza di anni, perché la mia è stata una scelta ponderata, e non dirò null’altro che possa essere confuso con una giustificazione. Non devo giustificarmi di nulla perché era mio diritto scegliere liberamente e ho usato quella libertà per poter decidere, con il mio compagno, valutando i pro e i contro, di abortire.
Non c’era ancora l’ru486 e mi è toccato un aborto chirurgico, invasivo, arrivato dopo due mesi dal momento in cui ho messo piede in un consultorio. Due mesi di vomito, dolore, con la sensazione di essere stata espropriata del mio corpo. Sono arrivata in ospedale assieme a molte altre, tutte accompagnate da qualcuno, il che chiarisce il fatto che le donne non abortiscono quasi mai senza informare i partner, gli altri figli, gli affetti.
Stavamo in uno stanzone, ciascuna su una diversa barella, per essere anestetizzate. Nel dormiveglia sento uno stronzo che dice, di una ragazza molto bella che stava nella barella accanto alla mia, che chissà con quanti era stata. L’aveva data a tutti e poi arriva in ospedale a riparare il danno, la zoccola. Distese, una accanto all’altra, come vacche da allevamento. Poi fu il mio turno. Ero in dormiveglia. La musica in sottofondo, medici e infermiere che parlottavano, e mi ritrovo in una stanza d’ospedale con tutta la mia famiglia ad aspettare il mio risveglio.
Mi@ figli@ mi chiede se è stato doloroso. Non lo so ancora, ho risposto, e avevo ragione. Le donne devono partorire o abortire con molto dolore. Torno a casa dopo un paio d’ore, tramortita, con la prescrizione di un farmaco che avrei dovuto prendere per un po’ di tempo. Quel tempo è stato terribile. Un dolore insopportabile. Molto più che le doglie di un parto. L’utero urlava all’infinito dall’interno.
E già vedo gli antiabortisti a dire “ben ti sta, assassina!”. Perché nella loro fanatica visione del mondo le donne non sono neppure soggetti aventi diritto ad una “vita”, a parte la parentesi riproduttiva. Invece non va bene il fatto che si debba soffrire così tanto. Dal punto di vista fisico e da quello psicologico.
Per me non c’è stato nessun trauma. Non sono diventata come una di quelle folli alla ricerca del bimbo perduto che cantano ninne nanne da brividi tenendo in braccio i figli delle altre. Non ho provato nessun rimpianto, mai. Nulla di quel che le no/choice vanno blaterando in giro per terrorizzare le ragazze che vogliono abortire.
Non mi pento di nulla. Dovrebbero pentirsi quelli che hanno fatto battute volgari e sessiste, e chissà quanti, ciascuno in un ospedale diverso. Dovrebbero pentirsi quelli che trattano le donne che abortiscono come carne da macello. Fuori una, avanti l’altra. Dovrebbe pentirsi chi non ha trovato un modo meno doloroso di curare il post aborto. Dovrebbero pentirsi le no/choice che nel reparto maternità, dove le donne che abortiscono vengono talvolta piazzate accanto a quelle che hanno partorito, fanno di tutto per farti sentire in colpa.
Un pentimento me lo aspetto dai troppi obiettori di coscienza. Da chi rende inaccessibile la contraccezione d’emergenza. Da chi stabilisce che il tuo corpo, il mio corpo, non è poi così tuo o mio. Quel che infine vorrei dire è “grazie”, alle donne che sono finite in galera per ottenere la garanzia di un diritto del quale io ho fruito. Grazie alle donne che hanno combattuto e che continuano a combattere per quelle che verranno. Grazie alle persone tutte che in anni terribili, quando l’aborto era da noi ancora illegale, si prestavano a fare abortire le donne con l’assistenza data da medici che talvolta finivano in galera. Grazie a chi svela che il business dell’aborto clandestino ha arricchito tanti ipocriti medici, obiettori in apparenza e macellai in privato. Grazie a chi ricorda che l’aborto clandestino è stato causa di tante vite spezzate. Parlo delle donne morte dopo un aborto fatto di prezzemolo, ferri da calza, persone che usavano mezzi non sterilizzati e tutti quelli che non hanno mai espresso un’ombra di pentimento per le donne, in quel caso, uccise per omissione di soccorso dettata dallo Stato.
Allora a Papa Francesco vorrei dire, senza che in me vi sia interesse a legittimare il giudizio morale espresso dalla chiesa cattolica, giacché non abbiamo bisogno del perdono di nessuno né di esprimere pentimento per abbracciare una redenzione. Vorrei solo chiedere se il Papa ha mai pensato alle donne morte di aborto clandestino. Io le ricordo e sono felice di non essere stata una di loro. Ma quel che hanno patito è orrendo e quel che ancora oggi gli antiabortisti vorrebbero far patire alle donne è disumano.
Allora chi deve chiedere “perdono” a chi?
Questo post è stato pubblicato sul FattoQuotidiano.it il 1 settembre 2015