di Legambiente
(Per firmare la petizione l’indirizzo è https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun). L’airgun è il metodo di ricerca più utilizzato nel settore delle attività estrattive per la sua capacità di fornire un rilievo dettagliato e affidabile della stratigrafia dei fondali marini. Il meccanismo prevede il rapido rilascio di aria compressa che, producendo una bolla che si propaga nell’acqua, genera onde a bassa frequenza. Il rumore prodotto da un airgun è pari a 100.000 volte quello di un motore di un jet.
Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha iniziato a porre attenzione al fenomeno dell’inquinamento acustico in ambiente acquatico, arrivando alla conclusione che questa attività ha effetti negativi sulla fauna marina, in particolare sui Cetacei. Gli impatti possono essere di tipo fisiologico, comportamentale, percettivo, cronico ed indiretto. Ci sono casi in cui dei rumori molto forti, come le esplosioni a breve distanza, hanno prodotto danni fisici permanenti anche ad organi diversi da quelli specificamente uditivi, portando in alcuni casi al decesso dell’esemplare colpito.
Si sono verificati, anche di recente, diversi casi di spiaggiamento di Cetacei e studi hanno accertato la connessione con le ricerche petrolifere attraverso airgun attive nell’area.
Nel 2008 un centinaio di esemplari di peponocefali – Peponocephala electra, dei delfini più grandi molto simili ai globicefali – si sono arenati lungo le coste settentrionali del Madagascar, nella laguna di Loza. Nel dicembre del 2009, lungo la costa garganica in prossimità della Laguna di Varano, in Puglia, nove capodogli si sono avvicinati alla costa in maniera anomala. Sette di questi si sono spiaggiati mentre solo due sono riusciti a riprendere il largo. Nei primi mesi del 2012 sono stati oltre 3.000 i delfini trovati morti sulle spiagge della regione peruviana di Lambayaque.
Gli effetti negativi sono visibili anche sulle attività di pesca. Uno studio del Norvegian Institute of Marine Research riporta come si sia registrata una diminuzione del pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza airgun, con evidenti impatti economici nelle realtà territoriali direttamente interessate e limitrofe.
Nel solo mese di giugno sono stati rilasciati 11 decreti per il nulla osta ambientale che riguardano tredici aree marine tra Adriatico, Ionio e Canale di Sicilia che potranno essere sottoposte ad attività di prospezione e ricerca attraverso airgun. Ad oggi sono 52 le istanze di permesso di ricerca e le istanze di prospezione presentate dalle diverse compagnie petrolifere nei mari italiani, per un totale di oltre 122mila chilometri quadrati, corrispondenti all’estensione di tutta l’Inghilterra.
Al momento non esistono misure specifiche sulla problematica dell’airgun a livello europeo e nazionale, ma sono sempre di più gli studi, i rapporti e i regolamenti internazionali che ne descrivono gli impatti e ne chiedono una maggiore regolamentazione e soprattutto una riduzione nella sua applicazione. La stessa Commissione europea si è comunque dotata di una “strategia globale per il rumore sottomarino” e l’airgun rientra nel campo di applicazione di numerose norme quali la direttiva «Habitat», quella sulla Valutazione d’impatto ambientale, e la Strategia per l’ambiente marino.
Il tema dell’airgun è stato al centro del dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione della legge n.68 del 19 maggio 2015 che inserisce i reati ambientali nel codice penale e i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari si sono schierati contro l’airgun.
Per questo chiediamo con forza al governo e alla maggioranza che lo sostiene di dare attuazione agli impegni presi in sede di dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera, a cui fino ad oggi non è stato dato seguito. Siamo convinti che si deve costringere il governo a vietare una volta per tutte questa tecnica.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online l’8 luglio 2015