Qui l’articolo sulle dimissioni rassegnate questa mattina da Yanis Varoufakis
di Ida Dominijanni
Malgrado il tentativo militante di gran parte della stampa italiana di accreditare l’idea che, comunque vada il referendum, per i greci sarà una tragedia e per il premier Alexis Tsipras una sconfitta, penso invece che Tsipras abbia già vinto una partita cruciale e che per i greci, e per gli europei tutti, si tratterà di affrontare una situazione difficile ma inedita e, finalmente, aperta. Le due cose sono ovviamente collegate.
Alexis Tsipras e il ministro delle finanze Yannis Varoufakis, comunque si giudichino la tattica con cui hanno gestito la trattativa con la troika e i loro eventuali errori (ma era possibile non commettere errori, dati i rapporti di forza?), hanno il merito storico di avere riaperto una partita politica e culturale sulla natura, i fini e i mezzi dell’Unione europea che pareva ormai chiusa, o relegata in pochi e minoritari circoli di militanti e intellettuali sparsi nel continente.
Non si vince solo ottenendo risultati: si vince anche, anzi in primo luogo, modificando l’ordine del discorso, il regime del dicibile e dell’indicibile, del visibile e dell’invisibile. Nel giro di una settimana, l’ordine del discorso sull’Europa è completamente cambiato: come ha scritto Lucia Annunziata, il “canone” Europa – la finta e indiscutibile “oggettività” di un’Unione retta solo dall’imperativo kantiano dei diktat economici – è morto.
La maschera è caduta: l’economia non è mai neutra, è sempre economia politica; sotto il fanatismo neoliberale cova l’odio per la democrazia, la governance europea si è rivelata incompatibile con la legittimazione democratica di un governo investito da un chiaro mandato popolare anti-rigorista. Totem e tabù sono crollati: l’austerità non è più una religione, è un’iniezione letale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti; e di converso, le alternative neokeynesiane smettono di essere eresie blasfeme sussurrate dai premi Nobel ed entrano a pieno titolo nel dibattito pubblico.
Infine e non ultimo, la geopolitica globale torna in scena a disturbare i deliri di onnipotenza della tanato-politica euro-tedesca: prima di soffocare la Grecia bisognerà fare i conti non solo con la Russia di Vladimir Putin ma anche con gli Stati Uniti di Barack Obama.
Sono tre risultati non da poco per un governo descritto per mesi dai mezzi d’informazione mainstream europei come una banda di estrosi scavezzacollo in cerca di popolarità a buon mercato (grida ancora vendetta il trattamento giornalistico riservato a Varoufakis, “quello che gira con la camicia fuori dai pantaloni”, come è stato definito in un talk della 7 pochi giorni fa).
La verità è un’altra, e non stupisce che sia insopportabile per i mezzi d’informazione di cui sopra, interessati alla questione generazionale solo quando è sinonimo di blairismo ritardato, arroganza e rottamazione.
Finalmente il campo europeo è diviso
Esponente di quella generazione che fu espropriata della politica a suon di cariche della polizia nelle ingloriose giornate di Genova 2001, Alexis Tsipras ha riportato la politica globale – la stessa di cui a Genova quella generazione già sapeva parlare prima di essere zittita – al centro di un’Europa spoliticizzata e fuori dal mondo.
Figlio di una crisi che in Grecia come altrove ha cambiato la psicologia sociale coniugando debito e colpa, il giovane leader greco ha spronato la sua gente a riconvertire il senso di colpa in riscossa politica: e non si capisce niente della sua mossa di convocare il referendum senza tenere presente questo cruciale tassello.
È grazie a questa improvvisa e imprevista impennata politica di Davide contro Golia che adesso, finalmente, il campo europeo è diviso, come sempre avviene quando c’è politica. Non serve a niente continuare a vedere in questa divisione, come fa la sinistra di governo in tutta Europa, una sorta di guerra santa fra (cattivo) populismo e (buon) riformismo.
La sinistra e la destra di governo – come Renzi insegna oggi e Berlusconi ieri – non sono meno populiste delle sinistre e delle destre di opposizione; e quanto al riformismo, la vicenda greca ha chiarito a tutti che il riformismo non è buono per definizione, e che è precisamente contro un cattivo riformismo che bisogna combattere.
Questo combattimento è ormai in corso, e continuerà a contagiare il campo anche dopo il referendum greco quale che sia il suo esito. Per la Grecia molte Cassandre prevedono sfracelli a partire da lunedì: la dissoluzione se vincerà il no, l’asservimento umiliante ai voleri della troika se vincerà il sì.
I giochi, c’è da scommetterlo, saranno molto più complicati: e non solo per la Grecia e per il governo Tsipras. Dopo l’allineamento alle posizioni della cancelliera tedesca Angela Merkel e della direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, quello che resta dei partiti socialisti europei rischia da oggi in poi la sparizione per conclamata inutilità.
A cominciare dal Partito democratico di Matteo Renzi, pronto a rottamare tutto salvo i fantasmi del passato: quando per fronteggiare la ridislocazione delle forze in campo non si trova niente di meglio che l’antico anatema contro gli opposti estremismi (in questo caso, Matteo Salvini e la sinistra che appoggia Tsipras), è segno che gli argomenti del riformismo sono assai usurati.
Questo articolo è stato pubblicato su Internazionale il 5 luglio 2015