Sinistra, le sconfitte passano. Ma la storia d'amore resta

4 Luglio 2015 /

Condividi su

di Cristina Quintavalla, portavoce L’Altra Emilia Romagna
Non è finita la sto­ria d’amore tra tanti com­pa­gni e com­pa­gne e le idee, la tra­di­zione, la cul­tura della sini­stra. Per tanti la pas­sione è ancora viva; ha resi­stito alla scien­ti­fica opera di deni­gra­zione messa in atto quan­to­meno dalla fine della II guerra mon­diale, alle repres­sioni, alle inti­mi­da­zioni, all’isolamento; ha vacil­lato davanti alle cata­strofi del XX secolo, incluse quelle dei regimi socia­li­sti; si è pie­gata sotto i colpi della crisi della poli­tica, dell’imbarbarimento rozzo e bru­tale della destra ber­lu­sco­niana e leghista.
Ma non è una sto­ria finita, è una sto­ria scon­fitta. Per­lo­meno sinora scon­fitta. Il punto però è: si può essere scon­fitti, ma non per que­sto essere dalla parte del torto. Né essere scon­fitti nel pre­sente ed esserlo per sem­pre, come ci inse­gna la sto­ria, che tal­volta, coi suoi tempi, rove­scia posi­zioni che sem­bra­vano asso­lu­ta­mente con­so­li­date.
Movi­menti, anta­go­ni­smo, ribel­lioni, lotte rina­scono inces­san­te­mente come la fenice dalla sua cenere. Pur inde­bo­liti, divisi, fram­men­tati, pur con un baga­glio teo­rico ancora incerto e ina­de­guato, coloro che appar­ten­gono alla sini­stra con­ti­nuano a rico­no­scersi orgo­glio­sa­mente in una pro­spet­tiva di eman­ci­pa­zione col­let­tiva dal sistema di potere capi­ta­li­stico, non­ché in sce­nari di ugua­glianza e giu­sti­zia sociale.
Forse Ernst Bloch ci può soc­cor­rere quando defi­ni­sce l’utopia – e lui pen­sava a quella comu­ni­sta – come «il non ancora», come oriz­zonte di senso della sto­ria degli uomini e delle donne, che di fronte alle bru­tali ingiu­sti­zie per­pe­trate e impu­nite orienta verso «l’oltrepassamento» del pre­sente, verso «il nuovo, come mediato nel pre­sente in movi­mento, seb­bene per essere posto in libertà il nuovo sia estre­ma­mente esi­gente sul fatto che lo si voglia».

Que­sto d’altro canto è il movi­mento reale della sto­ria reale: quan­tun­que la repres­sione poli­zie­sca e l’omologazione cul­tu­rale siano andate a buon fine, il “disor­dine” isti­tuito dal domi­nio del grande capi­tale, in cui ogni forma di vita è ridotta a merce e al suo “valore di scam­bio”, non può per­pe­tuarsi oltre le sue macerie.
A Ven­ti­mi­glia “i dan­nati della terra”, seb­bene per un attimo hanno fatto intrav­ve­dere cosa potrebbe suc­ce­dere ed un bri­vido (“un fan­ta­sma”) ha per­corso le schiene dell’Occidente. Ci sono idee, sep­pure momen­ta­nea­mente scon­fitte, che tanti di noi con­ti­nuano a rite­nere giu­ste: per tutte la pro­spet­tiva stra­te­gica di alter­na­tiva un mondo in cui sia rove­sciata la sog­ge­zione allo sfrut­ta­mento del capi­tale, soste­nuto dai suoi isti­tuti ipo­cri­ta­mente demo­cra­tici, dalle sue “case­matte”, dalle cit­ta­delle della costru­zione del consenso.
Ma anche la con­vin­zione che l’egemonia del capi­tale, pur totale è sem­pre rag­giunta all’interno di un rap­porto mobile, in cui i rap­porti di forza pos­sono essere spo­stati a favore degli oppressi. Sii obiet­terà che la nostra è una sto­ria di scon­fitte e oggi respi­riamo insieme con l’aria la disfatta, la disgre­ga­zione, la disar­ti­co­la­zione. Ma non per que­sto deve andarci bene qual­siasi bat­tito d’ali. Abbiamo la respon­sa­bi­lità morale di essere uni­tari e inclu­sivi, ma esi­genti al con­tempo, con­sa­pe­voli che ad ogni ulte­riore fal­li­mento cor­ri­sponde un esi­ziale inde­bo­li­mento, come per il nau­frago, che ad ogni nuova brac­ciata sente venir­gli meno le forze.
La strada da bat­tere per la costru­zione dell’unità della sini­stra non può pre­scin­dere dalla sua costru­zione dal basso, per­ché que­sto pro­cesso o è mosso dal basso o non si svi­luppa, per­chè o è il movi­mento reale che si afferma con forza o non ci sono som­ma­to­rie di ceti diri­genti che tengano.
Que­sta non è una sto­ria d’amore tra due indi­vi­dua­lità, ma è la scom­messa che gli uomini e le donne, i padri e le madri, i com­pa­gni e le com­pa­gne, gli amici e i fra­telli, acco­glien­dosi reci­pro­ca­mente e incon­tran­dosi, costrui­scano quell'”ontologia dell’essere sociale”, per dirla con Lukacs, quell'”accumulazione onto­lo­gica” che può con­durre alla riap­pro­pria­zione della piena uma­nità, sinora cal­pe­stata e offesa. Que­sta rimane una grande sto­ria d’amore.
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto il 2 luglio 2015

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati