di Francesca Re David
Quando poco più di un anno fa abbiamo cominciato a discutere del congresso della Cgil, si partiva da un assunto condiviso da tutte e tutti: era arrivato il momento di affrontare la questione di fondo, la crisi della rappresentanza del sindacato. In Italia ma anche in tutta Europa si era infatti dimostrato incapace di reggere alla lotta di classe portata avanti dalle multinazionali e dalla finanza, che hanno ridotto il lavoro a un mero fattore della produzione, cancellato diritti che si consideravano conquistati una volta per tutte, rotto la forza di coalizione fra lavoratrici e lavoratori per sostituirla con una concorrenza al ribasso fra condizioni sempre più precarie.
Poi, l’accordo del 10 gennaio sulla struttura contrattuale e la rappresentanza fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria che è scoppiato a freddo dentro il congresso, ha cambiato radicalmente la discussione, mettendo fra l’altro in evidenza la crisi democratica della Cgil e la chiusura difensiva dell’organizzazione . Quindi anche sottolineando i limiti di un processo di autoriforma. Ma l’ordine dei problemi che ci aveva portato a quella riflessione non è cambiato; anzi, la crisi della rappresentanza sociale del lavoro e l’assenza di rappresentanza politica hanno fatto un salto di qualità notevole.
Praticamente in contemporanea con la fase congressuale della Cgil, il governo Renzi iniziava il suo percorso, e da lì a pochi mesi si rendeva evidente che la rottamazione di cui lui e il suo gruppo dirigente erano i campioni riguardava la distribuzione del potere , ma non le politiche: la lettera inviata dalla Bce a Berlusconi nell’agosto del 2011, con i diktat per il governo italiano, sarà il programma di governo condito col suo stile, cui Renzi si sarebbe attenuto e continua a attenersi diligentemente. Distruzione dello stato sociale e dei diritti di cittadinanza, dalla sanità alla scuola, totale assenza di politiche industriali e libertà di impresa svincolata da responsabilità sociali, sgretolamento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori a compimento con il job’s act e la cancellazione dell’articolo 18, riforme costituzionali per risolvere l’anomalia italiana incompatibile con la centralità del pareggio di bilancio, riforme istituzionali basate sul fastidio per ogni pratica e confronto democratico.
Le politiche del governo del segretario del Pd e anche l’inconsistenza della sinistra in parlamento, insieme al fortissimo astensionismo, rendono plasticamente evidente la crisi della rappresentanza politica delle lavoratrici e dei lavoratori, e di una proposta alternativa al modello imposto dalla finanza e dominante in tutta Europa.
Attraverso le leggi si procede alla cancellazione del diritto del lavoro e si programma precarietà e povertà per tutto l’arco della vita. Attraverso la riorganizzazione delle imprese e del capitale, si continua a frantumare il lavoro perdendo il senso della parità di diritti e di salario a parità di prestazione.
La democrazia costituzionale è messa in discussione, il governo procede indifferente alla mancanza di consenso, alle manifestazioni di dissenso, al peggioramento delle condizioni di vita, alla qualità delle città e dei territori. I vincoli di bilancio e l’indifferenza all’ascolto rendono invisibili bisogni tradizionali (casa, lavoro, salute, ambiente, reddito) e incapaci di affrontare nuovi bisogni (accoglienza, trasformazione multietnica , lotta alla crescente esclusione sociale).
in sintesi, sono questi i motivi che hanno convinto la Fiom della necessità di lanciare una proposta a chiunque senta la consapevolezza che per non piegarsi a una realtà inaccettabile, è necessario ricostruire la coalizione delle donne e uomini che lavorano, riunificando ciò che è stato rotto in tante solitudini e debolezze, ma anche guardare oltre: a una coalizione sociale che metta insieme chi si batte per tutti i diritti oggi messi in discussione.
Se il sindacato è nato come diritto alla coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori per affrontare il padrone, oggi bisogna riformare il sindacato, a partire dalle diverse condizioni e rapporti di lavoro , proprio per essere fedeli a quell’idea di sindacato fondata sul vincolo di rappresentanza e sulla solidarietà. Questo significa andare in controtendenza totale, uscire dalla concorrenza fra azienda e azienda, fra nord e sud, fra giovani e anziani, fra diretti e appalti, fra autonomi e subordinati. Significa ripensare a come coniugare parità di diritti e diverse condizioni, come rimettere insieme i contratti, cosa e come produrre nella salvaguardia della salute dei cittadini e dei lavoratori, quali percorsi democratici servono.
Sindacato, cioè una coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori all’altezza delle trasformazioni avvenute e dello scontro in atto, della lotta di classe del capitale contro il lavoro. Questa è una prospettiva, ma sta insieme all’altra: prendere coscienza della non autosufficienza dei vari conflitti sociali oggi in campo, e quindi della necessità di fare rete, fare coalizione, per proporre e praticare un’alternativa vera.
La coalizione sociale ha l’ambizione di offrire uno spazio di elaborazione e discussione e di mettere in campo pratiche concrete, per sperimentare che un altro modello di convivenza è possibile.
Associazioni, reti, movimenti, singole persone, tutti quelli che vogliono prendere in mano la voglia di cambiamento, possono essere parte di uno spazio in cui ognuno mette a disposizione le proprie competenze ed è disponibile a rimettere in discussione il proprio modo di essere, per aprirsi e trovare terreni di collaborazione e contaminazione.
In un certo senso, l’obiettivo è di praticare la Costituzione, i suoi principi fondamentali e i diritti sanciti, mettendo in campo campagne nazionali e costruendo concrete pratiche e vertenze nella città e sui territori. La coalizione vivrà se ognuno a “casa sua” saprà mettersi in relazione con le tante esperienze di militanza e associazionismo, con i saperi e le competenze cresciute con la pratica per dar vita a progetti comuni. il territorio è il laboratorio per scuole popolari, mutualismo a sostegno del diritto alla salute, forme inclusive di abitare, protezione e recupero dell’ambiente, e tanto altro.
Il diritto al reddito, la costruzione di un nuovo statuto dei lavoratori, la difesa della democrazia dall’attacco istituzionale in atto, un diverso modello industriale rispettoso delle persone e dell’ambiente, politiche dell’immigrazione fondate sull’accoglienza, la difesa dei beni comuni sono alcuni dei temi unificanti.
C’è un’ambizione molto alta in questo progetto: tenere insieme elaborazione e proposte, costruzione di pratiche e concrete esperienze di vertenzialità e mutualismo, valorizzare la militanza e sperimentare una nuova capacità di rete democratica, dare valore alle tantissime storie di impegno che vivono spesso in solitudine, provare a cambiare insieme , anche con la voglia, il coraggio e la curiosità di mettersi in discussione.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 3 giugno 2015