24 maggio 1915: lo show istituzionale per un'inutile strage

20 Maggio 2015 /

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24 maggio 1915
24 maggio 1915
di Claudio Cossu
Non mi pare molto opportuno festeggiare – da parte dello Stato italiano, nello specifico dal suo esercito – festeggiare dicevo , con trionfalismi e retorica, l’entrata in campo del Regno d’Italia in quel conflitto giustamente definito l'”inutile strage”, la ricorrenza cioè del 24 maggio, del massacro che generò, in seguito, altri lutti e carneficine, coinvolgenti anche, e soprattutto, civili, donne, vecchi e bambini, vale a dire la II guerra mondiale 1939-1945.
Invece, si vuole proprio festeggiare tale ricorrenza con allestimenti di villaggi militari, proprio da noi, a Trieste, con sbarchi di lagunari (i marins italiani) e flussi di paracadutisti che dovrebbero scendere in piazza Unità, “come folgore dal cielo”, nonchè con il sorvolo di antichi aerei da guerra, divenuti tristi e luttuosi testimoni storici di quei mitragliamenti o bombardamenti che imperversarono su fanti e trincee, tradotte e fortini.
Come se si trattasse di un normale e allegro show ridipinto dai colori della cosiddetta vittoria alata, spettacolare ritrovo per giochi e allegria. Come se venisse effettuata una rappresentazione festosa, gioiosa, e non già si dovesse celebrare una ricorrenza di morti, violenza e dolore, con plotoni di esecuzione, decimazioni, assalti rivelatisi poi inutili e di scarso valore logistico, una tragedia tout-court che coinvolse contadini e operai, giovani studenti e uomini, ignari per lo più, delle reali motivazioni che spinsero giovani ad ammazzare altri giovani con altra divisa o bandiera e a rintanarsi per mesi e mesi in fangose trincee ricolme di corpi inanimati, di morte e di orrore.

Che poi l’entrata in guerra del Regno d’Italia non ottenne, in realtà, il pieno consenso del Parlamento, composto da una maggioranza giolittiana, contraria all’intervento, e dai socialisti anch’essi riluttanti. Il Parlamento, infatti “obtorto collo” piegò il capo accordando al governo i pieni poteri per la guerra contro l’Austria ed i socialisti ripiegarono nella cauta formula “nè aderire, nè sabotare”. Prevalse, quindi, la volontà ferma e determinata della grande industria e di uomini opportunisti e scaltri come d’Annunzio, Mussolini e Marinetti, ansiosi di mettersi in luce per creare nuovi movimenti agguerriti per raggiungere il potere.
Ma la volontà del 24 maggio, di entrare in quel tremendo macello europeo che fu la guerra 1914-18, non fu certo popolare ed il consenso non coinvolse tutta la nazione. Si patì la fame, peraltro, da parte dei ceti popolari ed a Torino, nell’agosto del 1917, anche le donne ed i ragazzi scesero in piazza per chiedere, diperatamente, pane e di che sfamarsi. I moti furono di tale veemenza e partecipazione, che le autorità dovettero, per sedare i tumulti, fare intervenire l’esercito.
I soldati, credendo si trattase di austro – ungheresi nemici, dopo qualche esitazione spararono sulla folla causando qualche centinaio di morti. E non dimentichiamoci dei plotoni di esecuzione voluti dal generale Cadorna per punire chi, stanco e sfinito, non se la sentiva di andare ancora all’assalto per obbedire ad oscuri ed arcani ordini degli alti comandi. ..””.Il reggimento si è ammutinato! Ha cominciato il 2^ battaglione e gli altri l’hanno seguito. “Vogliamo il riposo”, “Abbasso la guerra”, “Basta con le trincee”, erano migliaia di voci che gridavano insieme.
Così ci racconta, da sgomento testimone, Emilio Lussu in “Un anno sull’altipiano” (Einaudi, Torino 1945). E ricordiamo infine, le insopportabili sofferenze dei soldati italiani (“i prigionieri di Caporetto”) confluiti alla fine della guerra a Trieste, defatigati, sfiniti e denutriti, ritenuti traditori e abbandonati nel porto vecchio della città, nella piazza Venezia e nelle strade adiacenti. Ricordando, inoltre, che a Trieste entrò in vigore il codice militare di guerra fino al 1921, anno della ufficiale e tardiva annessione all’Italia, con molteplici scontri a fuoco tra la popolazione, i nazionalisti ed i fascisti (14 i caduti della classe operaia del 20 settembre 1920), nel rione di San Giacomo, in cui intervennero, oltre ai regi carabinieri, i soldati della “Sassari”, con metodi non certo persuasivi, pesantemente, persino con le cannonate.
Per la memoria, rievochiamo, infine, il 24 maggio, ma in punta di piedi e con discrezione, rispetto, senza armi, sciabole e fanfare, in religioso silenzio, ricordiamo, dunque, i giovani di Trieste e della Venezia Giulia, arruolati nel 97^ Reggimento dell’imperial – regio esercito asburgico. Rammentiamo, finalmente, la relativa partenza verso scenari di sangue e di patimenti (“Leopopoli – cantavano quei giovani frastornati dagli scoppi delle granate e dal dolore di una guerra crudele e incomprensibile – Leopoli, la morte dei popoli”) comportandosi, nella lontana Galizia, con senso del dovere, da bravi soldati, in terre sconosciute e piene di insidie. Ricordiamo, dunque, senza show fuori luogo e spettacolari messe in scena, senza insegne di violenza nè esibizione di armi o clamori inutili, ma in silenzio, i morti di tutti i fronti, vittime innocenti del volere malvagio e crudele di un oscuro e tenebroso “Moloch”.

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