Primo maggio a Milano: non la violenza, ma la crisi è stata la protagonista

5 Maggio 2015 /

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di Cristina Quintavalla, Altra Emilia-Romagna
La piazza del I maggio a Milano è stata imponente, partecipata, non violenta. È stata una piazza grandissima e straordinariamente generosa: ha manifestato dentro la crisi di una società che ha prosciugato speranze e sogni, incalzata dal “nulla che avanza”, senza residue illusioni nella classe dirigente di questo paese, né di quella città, con la pervicace ostinazione di chi sa che qui, in queste condizioni economiche e sociali, non c’è futuro alcuno.
C’è chi non lo vuole capire, o finge di non capirlo, ma la protagonista assoluta della manifestazione è stata la crisi, questa crisi bastarda che colpisce tutti, dai giovani ai migranti, dagli esodati ai pensionati che non riescono a sopravvivere, dagli studenti che non sanno dove andare ai precari disperati o disillusi.
Come non vedere dentro quel corteo la messa a nudo di questo sistema, della sua forza distruttiva, dell’assalto del grande capitale alla vita di tutti e del prezzo altissimo che viene fatto pagare a chi ne è incolpevole, la cui colpa semmai è solo quella di essere nato nel posto sbagliato, dalla parte sbagliata, magari”su uno scoglio, anziché dentro un castello”, come scriveva Verga? Come non vedere che in quel corteo c’erano i nostri figli, che urlavano la loro rabbia e la loro disperazione?
Come non vedere che dentro quel corteo, c’erano tanti migranti, intere famiglie al completo, che riuscivano a cogliere il legame che intercorre tra la negazione del loro diritto all’abitare, al lavoro, e la grande kermesse delle multinazionali che negano il cibo a tanta parte del mondo da cui loro stessi provengono? Come non vedere che in quel corteo c’erano i nostri compagni, quelli che in tutti questi anni di sconfitte, hanno continuato a leggere con grande lucidità i processi che erano in corso?

Soprattutto come non vedere la saldatura, questa sì molto importante, che è stata fatta tra il diritto all’abitare, al lavoro, al futuro, ad un ambiente sano, all’alimentazione per tutti, all’istruzione pubblica, gratuita, a pensioni che garantiscano autonomia e autosufficienza?
Probabilmente, molti avrebbero preferito continuare a vedere i giovani persi dentro i loro telefonini, le loro pagine Facebook, e i social che istigano violenza, sesso da esibizione. I giovani piacciono così, narcotizzati, alienati, offuscati dietro ai problemi legati all’abbigliamento griffato, alla lotta al pelo superfluo, alla cellulite, smarriti dentro notti ad alto tasso alcolico, in cui perdersi e perdere la loro facoltà ad una libera scelta, per consegnarsi ai progetti da vincenti, meritevoli, cinici e sadici che abbiano confezionato per loro.
Ci sono invece tanti giovani che tutto questo l’hanno rifiutato: erano lì a Milano in migliaia il I maggio, a gridare la loro determinazione a battersi per un mondo diverso. Lo slogan che ha attraversato l’intero corteo era proprio questo: “un altro mondo è possibile”. Non è un certo un dato di realtà, bensì un orizzonte di senso.
È la prospettiva attorno alla quale però a Milano è andata in scena una nuova alleanza che ha visto uniti precari, studenti, migranti, lavoratori, sindacati di base, compagni della CGIL, pacifisti. Tanti pezzi di una sinistra ancora viva, ancora fremente, ancora non rassegnata. Un fronte antiliberista vasto, largo, ma reale. Non sottovalutiamolo.
A Milano la piazza non ha perso, a Milano la piazza ha vinto, checché si voglia o si speri di rappresentare: non dovrà leccare le sue ferite, dovrà invece continuare la sua lotta. Expo è il simbolo più odioso di una vetrina che ha rovesciato e invertito la logica delle cose, che vuole attribuire ai responsabili dell’affamamento del pianeta, alle multinazionali che devastano l’ambiente e si appropriano di risorse non loro, tra cui il monopolio dei semi, che impongono forme di dominazione di stampo imperialistico, una patente di difesa del diritto alla vita: inaccettabile rappresentazione falsata della realtà, che la dice lunga sulla forza pervasiva e totalizzante delle grandi multinazionali del cibo che dominano il pianeta. Tutto è stato falsato: il consumo di suolo, mascherato come ripresa di competitività, le pubblicità, mascherate attraverso i protocolli e le carte di Milano, il lavoro precario, come avvio all’occupazione giovanile.Giustamente i nostri eurodeputati, Spinelli, Forenza, Maltese hanno votato contro questa “fiera gastronomica, ostaggio delle multinazionali”.
Expo è la quintessenza del renzismo-marchionismo dominante: è la concentrazione di un’operazione di gigantesco trasferimento della ricchezza, in cui il Jobs act va a braccetto con lo Sblocca Italia. Grande merito dunque a tutti coloro che hanno manifestato pacificamente il I maggio a Milano. Nulla può essere tolto al valore di tale lotta da una ristretta minoranza che ha esercitato in forma violenta e irresponsabile la propria rabbia, sfasciando auto e vetrine di persone che peraltro non avevano responsabilità alcuna, alimentando odio e reazioni di grande intolleranza da parte della popolazione inferocita da tale e tanto qualunquistico, provocatorio assalto alla città.
Distruggere per distruggere è la risposta nihilista alla crisi. Battersi perché un altro mondo sia possibile è investire sul futuro, scommettere sulla capacità di trasformazione delle cose da parte di chi è stato finora sconfitto. A volte la storia passa lungo snodi che non ci riesce di riconoscere di primo acchito: a Milano essa ha fatto tappa, tra le famiglie di migranti, tra i giovani dei centri sociali, tra i giovani precari, tra i lavoratori senza Statuto dei lavoratori, né articolo 18, tra coloro che si battono per i beni comuni, la scuola in primo luogo, oggi sotto attacco da un ddl che, tanto per non cambiare, privatizzerà l’istruzione e riporterà la divisione e la discriminazione sociale al centro del sistema educativo di questo paese.

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