Ripensare il maschile: un convegno a Padova fuori dai soliti schemi

16 Aprile 2015 /

Condividi su

di Amina Crisma
A proposito di questione maschile si può constatare, mi sembra, un curioso paradosso che dà luogo a una sorta di polarizzazione, negli scenari di oggi. Da una parte si assiste per vari aspetti a una messa in discussione dell’identità di genere che ne produce molteplici e inediti modelli, dall’altra si osserva la minacciosa e preoccupante riemersione, a livello di immaginario e di realtà sociale, di un brutale stereotipo virile tutt’altro che nuovo, connotato dalla misoginia e dall’omofobia, che nell’ostentazione compiaciuta della violenza ha il suo tratto essenziale.
Tale modello tristemente ben noto, che si può senz’altro definire fascista, è caratteristico dell’Isis, organizzazione in cui esso si manifesta nella sua forma più estrema, ma non vi è certo circoscritto; lo si può riconoscere, in gradazioni differenti, nei risorgenti movimenti neonazisti come, più in generale, in svariati altri spazi, e il suo aspetto forse più inquietante è che, a quanto pare, esso risulta pericolosamente attraente per ragazzi frustrati e soli, che crescono sentendosi orfani in questa nostra Europa, in questa nostra epoca di “passioni tristi”.
Anche per questo verso, come per molti altri, ripensare il maschile si ripropone oggi come una questione politica e culturale densa e cruciale, che ci interpella tutti e tutte, e che non può essere delegata unicamente a coloro che si occupano di Gender Studies; essa chiama in causa tanti strati e aspetti diversi, delle nostre idee, delle nostre esperienze, delle nostre relazioni collettive e individuali, ma soprattutto equivale a interrogarsi su quale mondo vogliamo costruire e abitare.

E appunto nella prospettiva ampia di un confronto da sviluppare al di fuori dei soliti schemi, questo tema è stato al centro di un convegno all’Università di Padova – La questione maschile: archetipi, transizioni, metamorfosi – svoltosi dal 24 al 27 marzo e promosso dal Forum d’ateneo per le politiche e gli studi di genere coordinato da Saveria Chemotti. Vi sono intervenuti Stefano Ciccone, Telmo Pievani, Roberto Deidier, Giuseppe Burgio, Davide Susanetti, Carlo Donà, Benedetta Selene Zorzi, Elisabetta Ruspini e molti altri, antropologi, psicanalisti, teologi, sociologi, filologi, storici della letteratura, della filosofia, del cinema, della musica.
Un variegato spettro di tipologie maschili – codificate e mutanti, stratificate nella nostra memoria culturale profonda e in attuale evoluzione – è stato messo a fuoco dai diversi interventi, i cui temi svariavano dalle esperienze e dalle decostruzioni del maschile nella post-modernità al pater familias nella storia romana, dalla figura paterna nella letteratura per l’infanzia alla lettura teologica della maschilità di Cristo, dalla mascolinità armata nella tradizione medievale alle convergenze di genere nell’attuale mercato del lavoro.
Impossibile dar conto, neppure sommariamente, dei vari contributi, che saranno comunque pubblicati a breve negli atti. Mi limito a segnalare alcuni spunti emersi dal dibattito, il cui esito complessivo si può indicare nel riconoscimento di una pluralità concreta di immagini del maschile di cui si è rivelata l’irriducibilità a uno schematismo univoco. Sotto questo profilo, le attuali trasformazioni che liberano finalmente il maschile dalla gabbia soffocante di convenzioni precostituite e autoritarie aprono indubbiamente fertili spazi di positive modalità relazionali.
D’altro canto, tuttavia, suscitano delle perplessità a mio avviso non immotivate certe enfatiche celebrazioni delle identità fluide, che appaiono corrispondere, in sostanza, a un paradigma individualistico neoliberista incentrato su un soggetto solipsistico, illusoriamente ignaro di ogni limite, del quale si asserisce la virtuale onnipotenza; ma è l’illusoria onnipotenza che si può avere in un videogioco, e che occulta la brutale materialità di un mondo in cui i rapporti di forza e di potere si sono fatti più crudi, e l’onnipervasivo rapporto con il denaro riconfigura radicalmente, ad esempio, modi e forme, ambiti ed estensione di quanto va sotto il nome di prostituzione.
Se abbiamo dunque bisogno di lucide e puntuali analisi dei contraddittori fenomeni della contemporaneità, abbiamo del pari bisogno di confrontarci con gli strati profondi della nostra psiche, come ha sottolineato in particolare Claudio Risé. In questo senso l’immersione nei mondi antichi ha un pregnante rapporto con i nostri pensieri moderni – penso in questa prospettiva non solo agli archetipi di Jung, ma anche, ad esempio, alla sapienza antica a cui attingeva Simone Weil – e sottende l’esigenza attuale di una riflessione etica sulle nuove figure morali del virile, sulla quale si è soffermata specialmente Bruna Giacomini.
Credo che quest’esigenza, come ho cercato di mostrare nel mio intervento, per concretarsi abbia anche bisogno di uscire da una prospettiva puramente occidentale. Non si tratta di aderire a quella specie di acritico “orientalismo rovesciato” oggi così in voga, né di ignorare o sottacere quanto il gender gap a livello demografico sia attualmente cospicuo in Asia, e segnatamente nella Repubblica Popolare Cinese, ma di costruire criticamente un orizzonte che si voglia autenticamente interculturale. E in questa direzione, alcune fonti cinesi antiche – taoiste e confuciane – offrono, a mio avviso, risorse fertili per ridisegnare oggi il discorso di genere in termini nuovi, poiché il modello maschile vi si configura non in opposizione bensì in dialettica interazione rispetto al femminile, accogliendone e integrandone entro di sé alcuni aspetti significativi.
In quelle fonti, la riflessione sul maschile si originava da un confronto con una smisurata violenza, dall’esigenza di fondare un incruento ordine del mondo. Un’esigenza antica e sempre nuova, di cui si faceva interprete Simone Weil rileggendo fra il 1936 e il 1939 l’Iliade. Anche noi dovremmo oggi riaprire quel poema della forza, per riscoprirvi, ad esempio, la densità dell’immagine di Ettore alle porte Scee: il guerriero che depone l’elmo per prendere in braccio il suo bambino.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online l’8 aprile 2015

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati