di Piergiovanni Alleva
Avanza con gran rumore, la macchina mediatica sugli asseriti successi del governo Renzi-Poletti, in tema di rilancio occupazionale. Un rilancio – si afferma – già realizzato in questi primi due mesi dell’anno 2015, con la stipula di 79.000 contratti di lavoro a tempo indeterminato e con prospettiva di ulteriore crescita nell’immediato futuro. Il tutto, nonostante la brusca frenata registrata ieri con un nuovo aumento della disoccupazione.
Il governo Renzi avrebbe “rimesso in moto l’Italia” ed il suo mercato del lavoro con due strumenti: da una parte con il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e, dall’altro, la Legge di Stabilità 2015 che ha introdotto un totale sgravio contributivo per ben 3 anni per i nuovi contratti a tempo indeterminato conclusi nel 2015.
Ma proprio stando ai dati che il governo ha diffuso con tanto clamore non si tratta affatto, a ben vedere, di un successo, quanto piuttosto di un fallimento del piano di rilancio occupazionale (costosissimo e, per i mezzi usati, anche illegale).
L’operazione posta in essere dal governo produce una occupazione meramente sostitutiva e non aggiuntiva ed anche di proporzioni minime, rispetto al lavoro precario “trasformabile”. E lo fa, infine – quel che peggio – distribuendo o promettendo ingenti risorse finanziarie a soggetti che quasi sempre non lo meritano in quanto i rapporti di lavoro precario che verrebbero ora trasformati erano, 9 volte su 10, illegittimi e dunque per legge in realtà già automaticamente a tempo indeterminato.
È la prima volta, per quanto ricordiamo, che gli evasori di molte norme lavoristiche, previdenziali e contributive vengono addirittura pagati (per ben 24.000 in tre anni). Un compenso offerto per mettersi tardivamente in regola, a totale scorno degli imprenditori onesti che a suo tempo effettuarono regolari assunzioni a tempo indeterminato e oggi non riceveranno assolutamente nulla.
Risulta dunque da queste notizie che le assunzioni con contratto a tempo indeterminato sarebbero state nel gennaio 2015 il 20% delle assunzioni totali, mentre nel gennaio 2014 erano solo il 17% e nel mese di febbraio 2015 il 24% contro il 18% del febbraio 2014.
In valori assoluti si è trattato nel bimestre considerato del 2015 di 303.000 assunzioni a tempo indeterminato contro le 224.000 del gennaio – febbraio 2014: la differenza è, appunto, di 79.000 assunzioni “in più” a tempo indeterminato e, questo sarebbe il dato del grande successo.
Ma basta ragionare un attimo sui dati stessi per rendersi conto che se nel bimestre gennaio – febbraio 2015 le assunzioni a tempo indeterminato sono state, nella media dei due mesi, il 22% del totale, ciò significa che tutte le altre e cioè il 78%, sono pertanto avvenute con contratti precari, e quindi, i 303.000 contratti a tempo indeterminato sono fronteggiati e per così dire annegati da 1.075.000 contratti di lavoro precario, ossia a termine, somministrato, a progetto, intermittente, ect.
Tutto si può dire meno che uno spostamento del 6% (dal 18% al 24%) costituisca una conversione in massa al tempo indeterminato, ma quel che è davvero grave, come lo è sempre stato, è che i contratti di lavoro precario restano nella massima parte abusivi perché non corrispondono alla consistenza numerica e percentuale delle occasioni di lavoro effettivamente temporanei che si aggirano sul 13% — 15% del totale.
In definitiva, quel 78% che resta di contratti precari significa che 5 contratti precari su 6 sono ancora abusivi.
Un primo problema concerne la compatibilità di benefici contributivi (sgravio o esonero triennale per 24.000) con la regolamentazione europea degli aiuti di Stato, la quale ben distingue l’occupazione aggiuntiva da quella solo sostitutiva.
Il governo, tramite l’Inps, si è affrettato a mettere le mani avanti sostenendo e gridando ai quattro venti, che anche quando si tratti di mera sostituzione di rapporti precari con rapporti a tempo indeterminato, e cioè di occupazione solo sostitutiva, non esisterebbero gli estremi di un aiuto di stato illegittimo, in quanto i benefici in questione costituirebbero una misura generale concessa a tutti i datori di lavoro e quindi non idonea a creare discriminazioni concorrenziali tra gli stessi.
Bisogna però notare che anche benefici di carattere generale come quelli dei contratti di formazione di lavoro sono stati giudicati illegittimi dalla Commissione europea e che, incentivi del tutto similari, nel senso di essere uniformemente diretti a tutti i datori di lavoro, quale quelli introdotti dalla legge Fornero in favore dell’assunzione degli ultra cinquantacinquenni e delle donne, dovevano per espressa previsione legislativa, essere inquadrati nel tipo generale degli aiuti di Stato, salvo, seppur con regimi particolari di salvaguardia di contabilità che li rendevano legittimi.
Insomma, quando ci sono di mezzo i provvedimenti del governo Renzi non possono “star sereni”, non soltanto i lavoratori, ma diremmo, neanche i datori di lavoro esposti anche essi a possibili brutte sorprese.
Inoltre, poiché la decontribuzione significa massiccia spendita di denaro pubblico, non può l’Inps né il suo ben intenzionato presidente, il professore Tito Boeri, erogarlo senza sottoporre le singole situazioni ad un debito filtro, esaminando cioè la legittimità del rapporto di lavoro precario “di provenienza”.
Riteniamo che su questa operazione anche la Corte di Conti debba tenere gli occhi bene aperti, perché appunto il denaro pubblico non sia impiegato in modo illegittimo ed ingiusto.
Per apprezzare la possibile ingiustizia pensiamo ai due imprenditori Tizio e Caio che nel 2014, per una normale esigenza lavorativa di tipo continuativo, abbiano concluso due contratti diversi: Tizio un normale contratto a tempo indeterminato e Caio – furbetto – un irregolare contratto a progetto per pagare meno contributi, negare al lavoratore tredicesima mensilità e altre spettanze. E adesso Caio riceve per mettersi tardivamente in regola con il contratto a tempo indeterminato 24.000 di denaro pubblico, mentre l’onesto imprenditore Tizio ovviamente non riceve nulla.
Ci pensi, prima, professor Boeri per non doversene pentire poi. Lo diciamo non per contrarietà a incentivi per il rilancio occupazionale, ma al contrario perché le risorse siano impiegate per creare nuova occupazione vera e cioè aggiuntiva secondo i criteri messi a punto da lungo tempo dalla Comunità europea e non per operazioni di immagine del Governo.
Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto il 31 marzo 2015