Il delta del Niger contaminato dal petrolio: Amnesty accusa Shell e Eni

31 Marzo 2015 /

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Donne del delta del Niger
Donne del delta del Niger
di Marina Forti
L’accusa viene da Amnesty International. «Eni ha perso il controllo sulle sue operazioni nel delta del Niger. Shell, nonostante le promesse, non ha fatto alcun progresso nell’impedire gli sversamenti di greggio». L’organizzazione per i diritti umani parla di inquinamento: la anglo-olandese Royal Dutch Shell e l’italiana Eni hanno registrato oltre 550 casi di sversamento di greggio l’anno scorso nel delta nigeriano, afferma Amnesty analizzando i dati delle due multinazionali petrolifere.
Per la precisione, Shell riferisce di 204 sversamenti nel 2014 mentre Eni, che ha attività in un’area più piccola di Shell, ne ha registrati 349. Le due compagnie dichiarano che sono stati sversati appena 30mila barili (circa 5 milioni di litri) di greggio in totale – ma il sistema di rilevamento di simili incidenti è talmente incerto che potrebbero essere molte di più, dice Amnesty. E fa notare, a paragone, che ci sono stati solo 10 casi di sversamento nell’intero territorio europeo nei trent’anni tra il 1971 e il 2011.
Insomma, la regione petrolifera del delta del fiume Niger, in Nigeria meridionale, vive in perenne disastro sanitario e ambientale. «In qualunque altro paese questa sarebbe un’emergenza nazionale. In Nigeria sembra la procedura standard dell’industria petrolifera», commenta Audrey Gaughran, di Amnesty International. «Il costo umano è orribile, la popolazione vive nell’inquinamento ogni giorno della propria vita».

Viene da pensare a quanto disse Ken Saro-Wiwa, lo scrittore e leader di un movimento popolare di protesta nella regione Ogoni del delta del Niger, fatto impiccare nel 1995 dall’allora dittatura militare nigeriana dopo un processo-farsa: nella sua ultima auto-difesa aveva ha accusato Shell di «razzismo», «perché quello che fanno agli Ogoni non lo farebbero in altre parti del mondo».
Royal Duch Shell attribuisce la gran parte degli sversamenti a sabotaggi e furti. Popolazioni locali e organizzazioni non governative sul terreno contestano la tesi difensiva di Shell. E questa sembra smentita anche dal procedimento giudiziario concluso lo scorso novembre 2014 nel Regno unito, dove la stessa Shell ha accettato di pagare 55 milioni di sterline alla comunità Bodo nigeriana che l’aveva citata in giudizio.
In ballo erano due incidenti che avevano provocato giganteschi sversamenti di petrolio nella regione Bodo, nel delta del Niger, da cui vengono queste foto: la compagnia li aveva a lungo catalogati come «incidenti minori», poi aveva offerto 4.000 sterline di risarcimento alle vittime (che invece hanno fatto una causa penale). Infine, di fronte al tribunale aveva dovuto ammettere di aver sottovalutato le cose.
Del resto, Shell ha una storia di inquinamento pervasivo nel delta del Niger fin dal 1958. Nel 2011 il Programma del’Onu per l’ambiente (Unep) ha concluso un lungo studio sull’inquinamento in Ogoniland in cui descriveva una situazione apocalittica e diceva che ci vorranno almeno 30 anni e parecchi miliardi di investimenti per ripulire l’inquinamento accumulato in decenni.
Quanto a Eni, proprietaria di Nigerian Agip Oil Company, secondo Amnesty «il numero di sversamenti dalle sue attività richiede attenzione urgente da parte dei governi sia della Nigeria che italiano». Eni aveva riportato oltre 500 sversamenti nel 2013, e 474 nel 2012. L’ultimo caso del resto risale al mese scorso, segnala l’associazione Re:Common, quando Eni ha annunciato di aver sospeso la produzione in due pozzi nello stato di Bayelsa in seguito a uno sversamento che attribuisce all’azione di sabotatori.
«Il governo italiano deve indagare cosa succede nelle operazioni di Eni in Nigeria. Questi dati sollevano gravi interrogativi sulla possibile negligenza dell’azienda ormai da molti anni», dice Audrey Gaughran: secondo Amnesty l’azienda deve intanto comunicare l’età e le condizioni delle sue infrastrutture in Nigeria, e procedere a una revisione.
L’organizzazione per i diritti umani sottolinea inoltre che qualunque sia la causa degli incidenti, le compagnie petrolifere hanno la responsabilità di contenere e ripulire gli sversamenti, ripristinando le condizioni ambientali precedenti. Ma è proprio questo che non succede quasi mai. Complice anche una certa cecità dei media mondiali: se uno sversamento di petrolio nel delta del Niger ricevesse la stessa attenzione di un disastro nel Golfo del Messico al largo degli Usa, per dire, forse la contaminazione in Nigeria sarebbe davvero un’emergenza internazionale.
@fortimar
Questo articolo è stato pubblicato su Terra Terra Online il 25 marzo 2015

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