Le riforme costituzionali del governo Renzi: appunti per una discussione / 2

20 Marzo 2015 /

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Costituzione della Repubblica italiana
Costituzione della Repubblica italiana
di Roberta Mistroni
(Prima parte). 3) Procedimento legislativo (art.72)
Premesso che ogni disegno di legge di tipo paritario può essere presentato ad una qualsiasi delle Camere, e che tutti gli altri disegni di legge devono essere presentati alla Camera dei deputati e che normalmente la discussione e approvazione avviene in commissioni e in seduta plenaria, si rilevano alcuni punti interessanti.
Il punto di maggior rilievo è dato dal cosiddetto “istituto del voto a data certa”. Si riconosce cioè all’esecutivo il potere di chiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della stessa entro il termine di 70 giorni dalla deliberazione (art.72 c5). Si tratta in definitiva della possibilità di contingentare dei tempi di discussione su richiesta del governo.
Il cosiddetto istituto del voto a data certa rappresenta un potere di grande rilievo riconosciuto al governo in campo legislativo, campo che dovrebbe essere riservato esclusivamente al Parlamento;
4) Promulgazione (artt.73 e 74)
L’art.73 prevede che le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (leggi elettorali) possano essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale, su ricorso motivato presentato da almeno 1/4 dei componenti della Camera o di 1/3 dei componenti del Senato. La Corte è tenuta ad esprimersi entro 30 giorni: fino ad allora resta sospeso il termine per la promulgazione.

L’art.74 prevede che il Capo dello Stato possa chiedere, prima della promulgazione di una legge, oltre al riesame totale della medesima (come già previsto dalla Costituzione), il riesame anche limitatamente a parti e specifiche disposizioni della legge stessa.
5) Referendum popolare (art.75)
Il progetto prevede che si possa indire referendum popolare abrogativo di una legge o di un atto avente forza di legge con la raccolta di 500.000 firme o su richiesta di 5 consigli regionali. Fin qui tutto come prima. La delibera referendaria è ritenuta valida se hanno partecipato al voto almeno il 50% + 1 degli aventi diritto ovvero il 50%+ 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche se le firme raccolte sono almeno 800.000. In definitiva invece di togliere il quorum costitutivo (come è per il referendum confermativo sulle leggi di modifica della Costituzione e le leggi costituzionali) si è voluto spingere a raccogliere un numero di firme quasi impossibile da raggiungere per permettere un abbassamento del quorum.
6) Decreti legge (art.77)
Nel nuovo articolo 77 sono introdotti alcuni limiti alla possibilità di emanare decreti legge. Non si può provvedere con decreto legge:

  • a) Nelle materie indicate dall’art.72 c5 ossia in materia costituzionale, di delegazione,di ratifica di trattati internazionali e di approvazione di bilancio.
  • b) In materia elettorale ad eccezione della disciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e di svolgimento delle elezioni;
  • c) A reiterare disposizioni di decreti legge non convertiti o regolare rapporti giuridici sorti sulla loro base;
  • d) A ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento. Questa precisazione è interessante perché, alla lettera, significa che una norma dichiarata incostituzionale per vizi attinenti al procedimento (quale, quello legislativo?) può essere reiterata, cioè ripresentata, dal governo sotto forma di provvedimento provvisorio (decreto legge?). Si riconosce quindi al governo il potere di agire con decreto anche in certi casi di incostituzionalità di una norma purché sia per vizi di procedimento.

Non si è voluto invece far nulla per imporre l’osservanza di quanto espresso nel 2° comma dell’articolo, vale a dire che il governo può provvedere con decreto solo in casi di necessità ed urgenza
7) Pareggio di bilancio (art.81)
In quest’articolo è stato costituzionalizzato il pareggio di bilancio in ottemperanza al trattato internazionale sul Fiscal Compact. La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio è una evidente limitazione della sovranità popolare perché il raggiungimento di tale pareggio comporta che il governo riduca la spese a scapito quasi sempre di quelle sociali e di garanzia dei servizi pubblici (basta pensare alle privatizzazioni in atto del patrimonio degli enti pubblici).
8) Commissioni d’inchiesta (art.82)
La Camera dei deputati può disporre inchieste in qualunque materia di pubblico interesse, il Senato invece può disporre inchieste solo su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali. Nulla si dice su come deve essere composta l’eventuale commissione d’inchiesta al Senato.
C. Elezione del Presidente della Repubblica (art.83)
Per quanto riguarda il Capo dello Stato in teoria non cambia nulla sul metodo di elezione perché continuerà ad essere eletto dalle Camere riunite in seduta comune, ma, attenzione senza la presenza dei 5 consiglieri regionali per ogni regione richiesti dall’attuale Costituzione perché i consiglieri regionali sono già presenti nel Senato
Le maggioranze richieste per l’elezione del Capo dello Stato sono le seguenti:

  • a) maggioranza dei 2/3 degli aventi diritto fino alla terza votazione;
  • b) maggioranza dei 3/5 degli aventi diritto fino sesta votazione;
  • c) maggioranza dei 3/5 dei votanti dalla settima votazione.

In pratica il Presidente della Repubblica sarà sempre scelto dal partito di maggioranza al Parlamento (non di maggioranza tra gli elettori), cioè praticamente dal capo del governo, che potrà sempre contare su 340 seggi anche con solo, ad esempio, il reale 20% dei voti. Un Capo dello Stato così eletto non può più essere definito organo di garanzia costituzionale e di rappresentanza dell’unità nazionale (art.87). Il P.R. diventa praticamente un garante del governo e non della Costituzione.
Anche nella peggiore delle ipotesi alla maggioranza governativa basta avere pazienza e aspettare la settima votazione per avere il proprio Presidente che non sarà più al di sopra delle parti e rappresentante anche delle minoranze come invece avevano voluto i padri costituenti.
D. Magistratura e Consiglio Superiore della Magistratura (artt.101-113)
L’attuale Costituzione afferma all’art.101 che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. L’art.104 cost. ribadisce un concetto fondamentale e cioè che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. L’articolo riafferma il principio fondamentale della divisione dei poteri, nessuno dei quali può imporsi sull’altro.
L’organo che assicura l’indipendenza e l’autonomia è il Consiglio superiore della magistratura al quale sono affidate le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari riguardanti i magistrati (art.105 cost.). Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica e ne fanno parte di diritto il Primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per 1/3 dal Parlamento in seduta comune (membri detti laici) tra professori ordinari e avvocati dopo 15 anni di carriera (art.104 cost.).
Si tratta di un CSM dove 1/3 dei membri sarà di nomina praticamente governativa essendo nominati, come abbiamo detto, dal Parlamento in seduta comune. Il vicepresidente deve essere eletto tra i componenti laici (art.104 cost.), mentre il presidente, come sappiamo, è il Capo dello Stato. E’ evidente che un CSM così composto non potrà far altro che scegliere i nuovi vertici della magistratura tra coloro che sono più vicini alla politica governativa. E’ la fine della funzione del CSM in quanto garante dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Un altro pezzo di democrazia che se ne va
E. Titolo V: enti territoriali (artt.117 e seg.)
Art.117: prevede quanto segue:

  • a) spariscono le materie cosiddette concorrenti cioè materie per le quali era prevista la potestà legislativa delle regioni ma con definizione di principi fondamentali riservata allo Stato;
  • b) sono aumentate le materie di competenza esclusiva dello Stato;
  • c) sono diminuite le materie di competenza delle regioni;
  • d) lo Stato può, su proposta del governo, può intervenire anche in materie non di sua esclusiva competenza quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

In definitiva il potere dello Stato nei confronti degli enti locali è aumentato rispetto a quanto previsto dall’attuale Costituzione come modificata nel 2001. Ciò che appare assurdo è che, di fronte alla diminuzione dei poteri degli enti territoriali, sia previsto un Senato, che dovrebbe essere il loro naturale rappresentante.
Art.119: prevede quanto segue:

  • a) autonomia finanziaria degli enti territoriali;
  • b) compartecipazione degli enti territoriali al gettito erariale;
  • c) si introduce la problematica dell’equilibrio di bilancio legata al fiscal compact (art.81).

F. Corte Costituzionale (art.134 e 135)
La Corte Costituzionale è l’organo supremo di garanzia costituzionale in quanto è chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, oltre a giudicare sui conflitti di attribuzioni tra i poteri dello Stato e delle Regioni e sulle accuse promosse contro il Capo dello Stato; in base al nuovo art.134 c5 alle funzioni della Corte si aggiunge il giudizio di costituzionalità preventivo delle leggi per l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato.
Per poter svolgere funzioni così importanti la Corte deve essere ovviamente il più imparziale possibile: solo la Costituzione deve indirizzarla. L’imparzialità dipende in massima parte dalla sua composizione. Essa è composta (art.135 cost.) da 15 giudici di cui 1/3 nominati dal Presidente della Repubblica, 1/3 dal Parlamento in seduta comune e 1/3 dalle supreme magistrature.
Con la riforma Renzi il modo di elezione dei giudici costituzionali non cambia, ma il cambiamento c’è comunque perché:

  • a. i giudici costituzionali scelti dal Parlamento sono in realtà scelti dal partito maggioritario come seggi, ma non come voti e quindi in pratica sono scelti dal governo;
  • b. i 5 nominati dal Presidente della Repubblica, anche lui legato a filo doppio alla maggioranza governativa, sono anch’essi di fede.
  • governativa.

E’ evidente che la funzione di garanzia della Corte è compromessa perché, essendo la maggioranza dei giudici praticamente di nomina governativa, ben difficilmente giudicheranno incostituzionali le leggi che il governo stesso vorrà emanare.
Osservazioni conclusive
Ormai è dal lontano 1983 (governo Craxi) che si parla di cambiare la Costituzione. In realtà non si dovrebbe parlare così a lungo di cambiamenti senza mai fare nulla: o si procede a cambiare ciò che si ritiene utile modificare o si tace, perché la discussione sterile che dura all’infinito finisce per delegittimare la Costituzione stessa. Non viene infatti più considerata come legge fondamentale e inderogabile ma come qualcosa che, poiché deve essere modificata, può essere derogata senza l’osservanza delle procedure formali e sostanziali che la Costituzione stessa prevede (art.138). Tali sono stati, ad esempio, l’introduzione di un sistema elettorale (il Porcellum) e il tentativo di introdurne un altro, che non rispecchiano l’uguaglianza del voto (art.48) e la sovranità popolare (art.1), l’approvazione di un numero sterminato di decreti legge in contrasto con l’art.77 c2, l’inosservanza di referendum popolari come quello sull’acqua pubblica in deroga all’art.75, l’avallamento dell’idea che il popolo elegge il capo del governo in deroga all’art.92 ecc.
Di fatto la Costituzione materiale italiana, purtroppo, è già stata modificata profondamente nella sostanza. Finchè però rimane in vita nella sua forma originale rappresenta sempre un baluardo anche contro le modifiche materiali già introdotte, perché può sempre levarsi una voce autorevole (organi di garanzia, popolo con la sua sovranità) che ne richiede il rispetto e impone di tornare ad osservarla diligentemente. Quando invece il cambiamento diventa anche formale, non c’è più nulla da fare, salvo l’espressione di una volontà rivoluzionaria: è la nuova Costituzione, per quanto antidemocratica, che diventa legge fondamentale.
Quanto detto fa comprendere l’importanza di unire tutte le forze possibili per impedire che diventi operativa la Costituzione di Renzi: prepariamoci al referendum. Cerchiamo ora di sintetizzare perché è necessario combattere per salvare la Costituzione e quindi lo Stato democratico e sociale.
Tutta l’impostazione della riforma è volta a dare un duro colpo all’equilibrio dei poteri e ai diritti politici dei cittadini,che non saranno più elettori del Senato che è pur sempre un organo costituzionale. In tal senso vanno anche, tra l’altro:

  • a) l’aumento delle firme per le leggi di iniziativa popolare,
  • b) l’eliminazione delle preferenze previste dalla riforma del sistema elettorale, la soglia di sbarramento e il premio di maggioranza che dividono i cittadini in cittadini di serie A e di serie B,
  • c) l’iter di formazione delle leggi in cui si evidenzia tutto il potere di cui il governo si appropria,
  • d) la mortificazione degli organi di garanzia,
  • e) la limitazione in pratica delle forme di democrazia diretta.

Da tutto ciò deriva una nuova forma di governo che si allontana sempre più da ogni residuo di democrazia: da un sistema pluralista che riconosce la sovranità del popolo si passa alla dittatura della più forte minoranza.
Questa alterazione dell’equilibrio dei poteri che comporta l’irrilevanza delle opposizioni e quindi l’accentramento del potere decisionale in poche mani avrà gravi conseguenze anche nel campo dei diritti sociali ed economici. Pare che la parola d’ordine sia l’accentramento della ricchezza nelle mani di pochi oltre che il predominio degli interessi privati e della proprietà privata su quella collettiva: è la vittoria di un neoliberismo spinto a livelli mai conosciuti nel ventesimo secolo. Vanno in questo senso le privatizzazioni (attacco ai beni comuni), la riduzione delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, la quasi privatizzazione della scuola e il convincimento che l’ordine sociale viene assicurato dalle libere scelte del mercato. Il Jobs Act è volto proprio a ridurre al minimo i diritti dei lavoratori e alla riduzione del lavoro a pura merce.
Dal punto di vista economico, tutti i principali economisti sanno che solo l’aumento della domanda può dare la spinta a nuovi investimenti e quindi a nuova occupazione Affinché la domanda aumenti deve aumentare l’occupazione e non deve diminuire il reddito delle famiglie (la Costituzione parla di retribuzione dignitosa art.36). Perché questo avvenga non ci vuole il neoliberismo oggi imperante, ci vuole invece una politica economica dello Stato volta a valorizzare l’investimento pubblico in progetti essenziali e non inquinanti riguardanti la ricerca, le infrastrutture, l’assetto del territorio ecc.: l’investimento deve essere pubblico perché lo Stato non va in cerca di profitto, mentre l’impresa privata sì. Non serve quindi alienare beni pubblici come parti del demanio, terreni o immobili e privatizzare i servizi pubblici essenziali. Anzi tutto ciò priva il cittadino di ricchezze produttive che a lungo termine possono dare frutti e, nel caso dei servizi pubblici essenziali, di una serie di agevolazioni che alleggeriscono il suo bilancio.
In definitiva le attuali riforme proposte incidono indelebilmente sulla democrazia a tutto vantaggio di una concentrazione di potere al servizio del neoliberismo imperante.

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