Dopo la marcia su Roma, nasce la "Cosa Nera"

5 Marzo 2015 /

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Matteo Salvini, Casapound e la Lega Nord - Illustrazione di Micromega online
Matteo Salvini, Casapound e la Lega Nord - Illustrazione di Micromega online
di Elia Rosati
La manifestazione leghista di sabato 28 Febbraio in Piazza del Popolo, è stata per Matteo Salvini uno spartiacque importante; al di là delle cifre e dell’effettiva consistenza numerica della kermesse, infatti, è il dato politico quello che conta. La costruzione del Fronte Nazionale nostrano è ormai completata, adesso si scende in partita. La scommessa, iniziata nell’Ottobre dello scorso anno, in corteo davanti al Duomo di Milano, può dirsi vinta. Quella che allora era una discesa in campo in solitario, oggi, dopo mesi di rodaggio, è diventata una squadra compatta ma aperta, sicuramente ambiziosa.
La Lega Nord è sempre stata un movimento federale, in grado di far coesistere diverse anime territoriali e anche più sfumature ideologiche: una lezione che Salvini ha appreso sul campo e che applica oggi, in modo spregiudicato, disegnando un fronte che va dai neofascisti di CasaPound, ai Fratelli d’Italia, dalle liste del centro sud “Noi con Salvini”, allo stesso Carroccio.
Se per mesi i media avevano, però, stuzzicato il segretario leghista sul suo accompagnarsi con i fascisti del Terzo Millennio, quella che veniva descritta dal Carroccio solo come una alleanza di scopo, o come una nostalgia di Mario Borghezio, oggi è chiaro essere un matrimonio ufficiale. Il tutto, sfacciatamente, alla luce del sole, sotto le insegne di Sovranità: il nuovo contenitore politico di Casa Pound e di quanti nell’estremismo neofascista vorranno seguire, non rinnegando nulla, Salvini.

Un lavoro di tessitura lungo ma costante, in grado di tenere saldo “l’orgoglio padano”, ma di arruolare nuovi amici, da accogliere alla destra di Alberto da Giussano, mettendo a frutto più di un decennio di buon vicinato con l’estremismo nero, nato nei territori del Nord, all’interno dell’associazionismo giovanile leghista, dove spesso la croce celtica si colorava di verde.
Ma il condottiero/garante anche di questa alleanza, neanche a dirlo, è lui e lui solo, “l’altro Matteo”, applaudito e osannato, dopo mesi di martellante propaganda sui social network, una continua presenza nei talk show, qualche indiscrezione gossipara sui rotocalchi e le solite apparizioni provocatorie, in lungo e in largo per la Penisola.
Un week-end fuori porta, l’onnipresente segretario leghista se l’è concesso solo per andare a Mosca, accompagnato dai suoi fedelissimi di “Lombardia-Russia”, una strana associazione culturale di “non precisati imprenditori”, che coniuga l’import-export con spudorate campagne propagandiste pro-Putin, in Italia.
C’è spazio per tutti nella nuova Crociata e pazienza se l’armata-fascioleghista è uno dei più nazionalisti, xenofobi e reazionari soggetti politici dell’ Unione Europea; peggiore anche del tanto temuto Front National di Marine Le Pen, che pure del Carroccio è grande sponsor. Dal palco romano, il giovane leader lombardo detta la linea del Fronte: i cosiddetti “moderati” non esistono più (con buona pace di Alfano); nelle Italie di Salvini (quelle dei “produttori” non dei “mantenuti”) non c’è spazio per i “servi delle banche”, “i rom”, “le religioni che tagliano le gole”, “l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia”.
Anche se, a guardare bene, l’ideologia neoliberista e xenofobo-identitaria made in Padania, è sempre lì, emerge carsicamente, ma con nettezza: e così le migrazioni diventano un “progettato tentativo di sostituzione dei popoli”, “lo Stato è il primo strozzino d’Italia” e a decidere cosa devono fare Sindaci e Regioni sono “la Finanza” e “la Commissione Europea sulla Tassazione”; quelli che, poco prima in un video messaggio, la Le Pen aveva definito la “Casta Mondialista”.
Il futuro che sogna Salvini è la tradizione, “una Italia uguale a quella che ci hanno lasciato i nostri padri”, possibilmente restaurata del melting pot, perché “un paese che non fa figli, muore”. È ora di parlare fuori dai denti, ma con furbizia; nonostante la platea fascioleghista romana sia calda, “l’altro Matteo” dosa gli insulti e struttura bene le invettive mixando, da destra: l’odio per la casta e un Don Milani in versione anti tasse, gli spettacoli sul Vajont di Marco Paolini e l’anticomunismo rabbioso contro i professori sessantottini, l’opera omnia di Oriana Fallaci e un generico “altro-europeismo” contro le banche. Uno strano incrocio retorico tra Grillo, Tsipras e il Cavaliere dei tempi d’oro.
Ma Piazza del Popolo non è solo un comizio, è anche un discorso alle truppe, a “chi crede, resiste e combatte” e che ora ritorna nelle rispettive Italie con i compiti per casa; questa volta la Marcia è da Roma. Le sfide sono chiare, sul piano locale e su quello nazionale: dal no alle moschee allo sgombero immediato dei campi rom, dal blocco dell’immigrazione all’abolizione delle Legge Merlin, dagli asili nido gratuiti alla cancellazione della Legge Fornero; favoleggiando di una aliquota fiscale unica al 15%, mentre ci si prepara ad imbracciare le armi della disobbedienza fiscale.
Tutto questo non basta però; se, ai tempi della Secessione da operetta, Bossi chiamava “i popoli padani in battaglia”, oggi Salvini esorta gli italiani, tutti, a “resistere”, come “i nostri bisnonni” che “cento anni fa bloccarono lo Straniero” nella Grande Guerra. Ma le trincee questa volta non sono sul Carso, ma nei quartieri delle nostre città, addirittura sull’uscio di casa. Se lo Stato non se ne occupa, se la Marina Militare diventa “aiuto-scafista” e la polizia fa da” Croce Rossa”, ecco che gli italiani devono poter autodifendere le loro famiglie e i loro patrimoni, esattamente come dal fisco, anche dai criminali (leggi clandestini).
E se magari si “eccede in legittima difesa” sparando davvero, come qualche esercente-pistolero del vicentino o di Bergamo, l’avvocato lo paga la Regione Lombardia, con un fondo istituito ad hoc dal governatore leghista Roberto Maroni. Se la scelta è “tra le guardie e i ladri”, il Fronte Nazionale nostrano non ha dubbi e “fuori dalla carceri chi ha ucciso un delinquente”, perché, come sottolinea Salvini: “tu ladro, se entri a casa mia in piedi, sappi che ne esci steso”. Va fatto tesoro dell’esperienza maturata dai tanti sindaci-sceriffo padani: le paure securitarie sono la tigre da cavalcare, l’insicurezza, e la strumentalizzazione mediatica, il grande mantra.
Ma oltre alla rabbia e ai venti di guerra, bisogna anche festeggiare. Il giovane outsider della politica italiana, gongola sul palco e si sbraccia, girando tra i suoi soldati, che tra un selfie, un vaffa… ed un tweet, lo hanno incoronato l’unico anti-Renzi su piazza. E ai molti che gli ricordano che con un 12,5% nei sondaggi non si fa la guerra al Partito della Nazione, Salvini risponde: me ne frego e che lui solo rappresenta l’alternativa.
Così il Fronte Nazionale nostrano punta diritto al popolo, “al 51%”: un obiettivo alquanto ambizioso, forse troppo e se Salvini, come dicono nella sua Milano, fa il ganassa (“sbruffone”), i suoi soci alla carega di governatore del Veneto ci tengono. Lo sa bene il leghista Luca Zaia, che scalpita sul palco in attesa di farsi ricandidare, per le amministrative di Maggio, da tutto l’ex-centrodestra; e pazienza per la serpe in seno Flavio Tosi. Come dire: per entrare nella partita c’è sempre tempo, però è il Carroccio che guida la squadra e decide il programma.
Sta di fatto che, nel vuoto politico lasciato dal berlusconismo e dal grillismo, l’armata-Salvini è quanto di peggio potesse sorgere dalle ceneri dell’ex-centrodestra e anche se i paragoni con altri contesti nazionali si sprecano, oggettivamente il patto d’acciaio tra populisti xenofobi e neofascisti è una esperienza concreta ancora inedita.
Di fatto il 28 Febbraio è nato l’incubatore politico più vicino ad una cosa nera, un progetto abbozzato per decenni all’interno dei gruppi dirigenti della destra italica e, chissà se è un caso, proprio in quella Piazza del Popolo dove Giorgio Almirante disegnava ai suoi missini il sogno di una Destra Nazionale.
Salvini anziché puntare a rassicurare, come qualcuno erroneamente prevedeva, getta benzina sul fuoco e da un lato assedia Forza Italia, mentre dall’altro punta al voto rabbioso dei delusi, sfruttando la lacerazioni sociali aperte dalla Crisi. Il tempismo è perfetto e oggi il Fronte Nazionale nostrano si trova libero di poter muoversi in modo radicale, razzista e mediatico, tanto nel Parlamento Europeo che nelle strade italiane.
Già di buon mattino, a sole quarantotto ore da Roma, Salvini tuona che “a Bruxelles sono più pericolosi di qualche anno fa” e che “stanno affamando la gente come nessun ventennio fascista è riuscito a fare”, mentre qualcuno, nell’estremo hinterland est di Roma, dimostra di aver capito il messaggio e, nella notte, dà fuoco a cinque auto con targa rumena.
Lo stesso Renzi che aveva, per puro interesse di bottega, incoronato Salvini come suo unico oppositore, credendolo un ducetto impresentabile, rischia di aver fatto i conti senza l’oste, sottovalutando incoscientemente quanto la Crisi e la Troika possono ingenerare mostri e dare fuoco alle polveri.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 3 marzo 2015

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