Escluse e discriminate: se la legge è contro la donna

27 Febbraio 2015 /

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Myammar e le sue donne
Myammar e le sue donne
di Anna Toro, Unimondo.org
Stupro coniugale, rapimento, giustificazione della violenza, discriminazione sul lavoro, “delitti d’onore”, legalizzazione della poligamia: sono tantissime le leggi sessiste tutt’ora in vigore nel mondo, che limitano e danneggiano le donne nella loro vita quotidiana e nei loro diritti più elementari, e impediscono il conseguimento di quell’uguaglianza che pure tanti Paesi si sono ufficialmente impegnati a raggiungere – almeno sulla carta.
A ribadirlo, è un nuovo rapporto pubblicato dall’organizzazione internazionale Equality Now, uscito in occasione del 20° anniversario della Piattaforma di Pechino: era infatti il 1995 quando, alla quarta Conferenza mondiale sulle Donne organizzata dall’Onu, 189 governi avevano preso il solenne impegno di “revocare le restanti leggi che discriminano sulla base del sesso”.
L’hanno rispettato? Sulla base del report, sembrerebbe proprio di no. Perché sebbene ci siano stati certo dei passi avanti, troppi Stati ancora oggi nel 2015 mantengono nei propri codici leggi che sono in diretta violazione della parità di genere, della non-discriminazione e della tutela dei diritti sancita dai principali trattati e convenzioni internazionali, dalla CEDAW (la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Il report di Equality Now, che diverrà uno strumento della Commissione delle Nazioni Unite sul tema in riunione il prossimo mese, stila una raccolta-campione di leggi in vigore, o anche solo semplicemente emanate, mantenute da più di 50 governi. Le suddivide in: leggi che regolano lo status civile, personale, economico, e leggi che legittimano la violenza. Solo per citarne alcune, leggiamo ad esempio che in Arabia Saudita – che pure non ha firmato la Piattaforma di Pechino – è ancora in vigore la fatwa del 1990 che vieta alle donne “di guidare le automobili”, attività descritta come “una innegabile fonte di vizi” (per non parlare poi di tutta la serie di altre discriminazioni di cui sono vittime le donne saudite); in India, tra i primi paesi al mondo per numero di matrimoni precoci, una legge del 2013 ha confermato la legittimità dello stupro coniugale: “Il rapporto sessuale o gli atti sessuali compiuti da un uomo con la propria moglie, se la moglie non ha meno di quindici anni di età, non si definiscono stupro”; ancora, una legge yemenita del 1992 afferma che la moglie “deve consentire [al marito] di avere legittimamente rapporti se lei ne è fisicamente in grado”; mentre alle Bahamas, si definisce stupro solo il rapporto forzato con persone diverse dalla propria moglie, affermazione che implicitamente rende lecito lo stupro coniugale.
Ci sono leggi che legittimano la violenza domestica: in Nigeria ad esempio, un marito ha il diritto di picchiare la moglie per ottenere obbedienza. A Malta invece, se un uomo rapisce una donna ma poi la sposa, non è più perseguibile giuridicamente, mentre in Egitto e Siria esistono delle attenuanti per il “delitto d’onore”. In molti paesi, come l’Afghanistan o la Guinea, la donna non può lasciare la casa senza il permesso del marito, mentre nella Repubblica Democratica del Congo, secondo l’articolo 454 del Codice della Famiglia, la moglie è obbligata a vivere col marito e a seguirlo ovunque egli decida di risiedere. C’è anche chi non solo non ha cancellato queste leggi, ma ne ha addirittura introdotto di nuove, come il Kenia, il cui Marriage Act del 2014 ha legittimato la poligamia (argomento in realtà più complicato di quello che sembra, dato che la nuova legge garantisce tutele per le altre mogli che prima erano assenti, in uno Stato in cui la poligamia era comunque praticata).
Presenti, poi, casi di discriminazione giuridica anche in paesi che in genere si professano paladini dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Si tratta, spesso e volentieri, di leggi che non permettono alle donne di trasmettere la loro nazionalità ai propri figli o coniugi sulla stessa base degli uomini, con tutti gli svantaggi che ne conseguono in termini di tutele e vulnerabilità: accade in Bahrein e nel Togo così come a Monaco e negli Stati Uniti. Sempre per quanto riguarda lo status personale, in Iran e in Pakistan la testimonianza in tribunale di una donna vale la metà di quella di un uomo, mentre in paesi come il Cile, la Tunisia e gli Emirati tra le leggi più discriminanti ci sono quelle che riguardano l’eredità e la trasmissione dei beni. Passando infine alle leggi che regolano il lavoro, il report segnala anche la Russia, dove la Risoluzione n. 162 del 25 Febbraio del 2000 vieta alle donne una lista di 456 tipi di impiego, tra cui macchinista, falegname, pompiere e marinaio, o anche la Gran Bretagna, dove le donne non possono entrare in Marina.
E dire che la maggioranza dei paesi citati presenta delle Costituzioni in cui l’uguaglianza tra uomo e donna è sancita in modo esplicito. Ma ipocrisia e doppi standard in questi casi sono talmente pervasivi che spesso gli abusi vengono mascherati anche da esigenze religiose e culturali. “Volevamo mostrare come le donne vengano trattate come bambini – ha commentato Jacqui Hunt, direttrice della sede londinese di Equality Now – come una mera proprietà senza pensiero cosciente, e di come vengano stereotipate in specifici ruoli, che finiscono poi per essere codificati dalla legge”.
Naturalmente il quadro non è tutto negativo, e dall’impegno del 1995 ci sono stati progressi significativi, con più della metà delle leggi evidenziate nei precedenti rapporti dell’ong che sono state abrogate o modificate: Costa Rica, Etiopia, Guatemala, Perù e Uruguay, ad esempio, hanno eliminato le leggi che permettevano allo stupratore di evitare la punizione sposando la sua vittima, Malesia e Tonga hanno reso lo stupro coniugale un crimine, il Kuwait ha dato il voto alle donne e l’Algeria ha cancellato le regole della cosiddetta “obbedienza” al marito.
Se molte pratiche comunque permangono, o anche se molte delle leggi citate per fortuna non vengono applicate, togliere definitivamente qualsiasi base giuridica per giustificare tali abusi è già un grosso passo avanti. “Senza l’uguaglianza nella legge, non ci può mai essere uguaglianza nella società” è il mantra dell’organizzazione. E mentre le Nazioni Unite faranno della parità di genere e della fine dei matrimoni precoci una delle priorità tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’agenda post-2015, in questo momento altri paesi come l’Azerbaigian, il Gabon, l’Ecuador, la Danimarca, il Kirghizistan, l’Eritrea, e le Maldive sono sotto stretto esame per quanto riguarda il rispetto della Cedaw. “I governi devono passare dalle parole ai fatti – si legge nel report di Equality Now – e, infine, abrogare o modificare tutte le leggi che discriminano sulla base del sesso in modo che la prossima generazione di donne e ragazze possa godere dei propri diritti e vivere come partner alla pari nella società”.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 26 febbraio 2015

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