di Helena Smith per The Guardian. Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano
Fino a non molto tempo fa, è giusto dirlo, Yanis Varoufakis era conosciuto a malapena; è anche vero che era una specie di celebrità nel misterioso mondo dell’economia dell’austerità: le sue lucide opinioni – diffuse attraverso blog, libri, tweet e conferenze – sono state al centro di alcuni movimenti quando la Grecia sbandava dentro e fuori la sua crisi del debito apparentemente infinita.
Ad Atene, la città dove è nato e cresciuto, il professore di economia aveva una cerchia di seguaci tra gli oppositori dell’austerità dentro Syriza, il partito di estrema sinistra recentemente salito al potere. Quando è scoppiata la crisi – e prima che partisse per le torri d’avorio dell’Università del Texas di Austin – era un habitué dei chiassosi talk show che dominano la televisione greca. Ma oltre a questo, Yanis Varoufakis era soltanto… Yanis Varoufakis, nel senso che in un contesto più ampio non era un nome così autorevole. Quindi – quando ci incontriamo nel suo ufficio al sesto piano del ministero delle Finanze, che ogni ministro di quel dicastero ha occupato fin da quando è cominciato il grande dramma del debito greco in Europa – la mia prima domanda è: come si sente? Yanis Varoufakis, l’accademico neofita della politica, si trova completamente a proprio agio nel suo nuovo ruolo di star?
Dopo tutto, l’asticella è stata portata piuttosto in alto. Nello spazio di tre brevi settimane è stato battezzato l’uomo europeo del momento, accostato a eroi grandi e piccoli, paragonato a una rockstar, salutato come un’icona sessuale, acclamato dalla moda, e in Germania addirittura dipinto come il più grande uomo d’azione transitato sul pianeta terra da quando Bruce Willis infiammò Hollywood in Die Hard 6. Pochi hanno avuto uno stile di comportamento e di abbigliamento così controllato fin nei minimi particolari; quando ha posato con George Osborne a Downing Street, con la giacca di pelle senza cravatta, in piedi, in netto contrasto con il cancelliere dello Scacchiere, la stampa è rimasta senza fiato come se un top model fosse piombato lì all’improvviso. «La Gran Bretagna», ha dichiarato l’autorevolissimo Daily Telegraph, «ha disperatamente bisogno di un politico che si presenti come Yanis Varoufakis.»
È davvero un cambiamento di stile di vita. Gli ha dato alla testa? La risposta è immediata: «Le posso assicurare, Helena, che non è una cosa che ho pianificato in alcun modo. Non sto facendo promozione. Continuano a dire che vado in bici, ma io vado in bici da quando avevo 15 anni. Sono semplicemente quello che sono.»
Chi sia mai Varoufakis, naturalmente, è una domanda esplosiva che se la fanno quelli dei piani alti si può ben perdonare. Da politico con il compito di salvare la Grecia in questa sua ora più difficile, non è senza conseguenze ciò che pensa, come si comporta e ciò che dice questo economista radicale con i capelli rasati. Legato com’è alle sorti dell’eurozona, il destino del suo paese è intrinsecamente connesso all’economia globale. E lui ha paura? «Un po’» dice. «Se non avessi molta paura, sarei davvero molto pericoloso.»
Varoufakis è ben piazzato, in forma, attraente, un po’ eccentrico, proprio come appare dalla telecamera; ma ciò che un filmato non cattura è la sua energia, la concentrazione, la forza. Un’ora in sua compagnia vi porterà in molti posti: nel nostro caso, dalla teoria marxista alle gioie del jazz; poi l’eurozona e la sua architettura incompiuta; gusti sartoriali; nazismo; grandezza dell’America; politica dell’austerità; trappole del debito; poesia; l’allenamento e la tendenza di Varoufakis a tenere le mani in tasca (conseguenza di un infortunio alla spalla).
L’accademico, che aveva un fedele seguito nel circuito delle conferenze, pur autodefinendosi un economista per caso, è dell’opinione che si dovrebbe avere un parere su tutti indistintamente. È, dice, qualcosa che ha imparato molto tempo fa: «Una volta uno studioso di sinistra mi disse che come marxista devi fare due cose: essere sempre ottimista e avere sempre un’opinione su tutto. Questo consiglio mi sembra ancora buono.»
A 53 anni, Varoufakis è ancora certo di «capire meglio il mondo» perché ha letto Marx, tuttavia non si considera più un irriducibile di sinistra, sebbene altri possano pensarlo. Piuttosto, dice, è un libertario o un marxista irregolare, che può ammirare lo splendore del capitalismo ma è anche dolorosamente consapevole delle sue contraddizioni intrinseche, proprio come lo è della «terribile eredità» della sinistra. «È un sistema che produce enorme ricchezza ed enorme povertà» dichiara l’economista che ha insegnato nelle università di East Anglia, Cambridge, Glasgow e Sydney dopo aver ottenuto il dottorato presso l’Università di Essex. «Non credo che tu possa comprendere il capitalismo finché (e a meno che) non capisci quelle contraddizioni e ti chiedi se il capitalismo sia lo stato naturale. Io non penso che lo sia. Ecco perché sono un socialista.»
Oltretutto, Varoufakis è un iconoclasta, un sedicente anticonformista anche idealista, «perché se non sei un idealista sei un cinico». E si rammarica di aver perso un sacco di amici di sinistra che credono che il Grexit, l’uscita della Grecia dal blocco dell’euro, sia la soluzione migliore per il paese.
«Una cosa è dire non saremmo dovuti entrare nell’euro, del tutto un’altra è dire che dovremmo uscire dall’euro: se torniamo indietro, cadiamo da un precipizio. Questo è il mio pensiero per tutti.» L’Europa, insiste, è bloccata dalla Grecia, perché Atene non andrà mai a chiedere di lasciare l’euro. Forse opportunamente, il neoparlamentare – che ha doppia cittadinanza greco-australiana – non ha la tessera di Syriza, il partito che oggi rappresenta nel turbolento parlamento di Atene. L’ala militante di Syriza non vuole nient’altro che uscire dall’unione monetaria.
Quando ci incontriamo, Varoufakis è appena tornato da un rapido tour politico che lo ha portato a Londra, Parigi, Roma, Francoforte, Bruxelles e Berlino. Sono ormai le 22 quando arriva nel suo ufficio con una bottiglia di coca-cola e una barretta di cioccolato in mano. I bagagli del suo intimo amico Jamie Galbraith, noto professore di economia, arrivato da Austin dove Varoufakis ha trascorso gli ultimi tre anni come visiting professor, sono sparsi in tutta la stanza. È stata una lunga giornata, cominciata alle 6 del mattino con un po’ di pesi e stretching in palestra.
«Non ho molto tempo» borbotta, prima di sbilanciarsi su come la moglie – l’artista di installazioni Danae Stratou – sia ancora a Austin a imballare le loro cose. «Non si può immaginare la pressione. È incredibile.» Poi parte ed è difficile fermarlo.
La specializzazione accademica di Varoufakis, giustamente, è la teoria dei giochi. Galbraith, col quale è coautore di Una modesta proposta, uno studio che ha offerto varie idee per porre fine alla crisi dell’euro, viene citato quando dice che Varoufakis è così acuto che «pensa più di qualche passo avanti» nelle trattative con i creditori di Atene: il significato sottinteso è che i suoi colleghi dell’eurozona lo sottovalutano a loro rischio e pericolo. Che Varoufakis sia sicuro di sé – e guidato dal convincimento del neofita di avere ragione – non si può negare. Unico tra i ministri delle finanze, ha una sua pagina Facebook dedicata ai proprio sostenitori che ha chiamato “V for Varoufakis”.
Senza un pizzico di autocommiserazione o incertezza, mi dice subito che è «emotivamente coinvolto» da un’agenda internazionalista e quindi stimolato da preoccupazioni per l’Europa e per il mondo. «Non posso separare il destino del mio paese dal destino dell’Europa. Per qualche motivo, un sacco di cose terribili cominciano qui e poi si diffondono, e la guerra fredda è stata una. Non è stata inaugurata a Berlino, è cominciata ad Atene nel dicembre 1944. Il contagio nell’eurozona è iniziato qui nel 2010. Da europei, siamo perfettamente in grado di rovinare le cose quando non è necessario.»
La piccola Grecia racconta le cose così come sono: dopo cinque anni, il farmaco prescritto dalla Germania – tesoriere dell’Europa – per riparare i mali dello spreco selvaggio non ha funzionato. Invece la nazione è diventata un’eco di sé stessa; la sua economia si è ridotta di quasi un terzo, uno su quattro senza lavoro, uno su tre di fronte alla prospettiva di vivere in condizioni di estrema povertà.
«Abbiamo perso tutto» dice. «Ora possiamo far sentire al potere la voce della verità. Ed è giunto il momento di farlo.» Appena si è insediato, ha cominciato a farlo. Non si è trattato di ordinaria amministrazione, ha dichiarato, e Atene non collaborerà con la corrotta “troika” dei creditori dell’UE, della BCE e del FMI che hanno monitorato le finanze greche dalla liquidazione del paese con la bancarotta nel 2010. A questo punto molti hanno cominciato a chiedersi se la Grecia abbia perso, e se Varoufakis stia perseguendo quella che nella teoria dei giochi è nota come la strategia del pazzo: agisci follemente e il tuo nemico alla fine ti dà ciò che vuoi. «Lo rispetto, ma mi preoccupa che lui veda tutto ciò come un gigantesco esperimento per verificare le sue teorie» sospira Kyriakos Mitsotakis, il ministro della riforma amministrativa nel precedente governo conservatore. «Va tutto bene per lui. Probabilmente va avanti per ottenere un lavoro come star dell’economia. Per il paese, però, sarebbe un disastro.»
Ma trovarsi faccia a faccia con la cruda realtà della responsabilità di governo ha avuto anche un effetto calmante. Varoufakis, la cui ginnastica linguistica ha incluso espressioni come «waterboarding fiscale», usato per descrivere gli effetti devastanti dell’austerità simili all’annegamento simulato, ha attenuato la sua retorica. Lui non sta cercando lo scontro, assicura, sta cercando giustizia. E giustizia non significa un nuovo governo greco di sinistra che firmi una dichiarazione che rinneghi la propria critica del programma di salvataggio del paese che è stato costretto ad attuare in modo così disastroso.
«Siamo un partito di sinistra, ma quello che stiamo mettendo sul tavolo è essenzialmente il programma di un avvocato fallimentare riformista dalla City di Londra» dice. «Il piano di salvataggio non era un piano di salvataggio della Grecia nel 2010, era un piano di salvataggio delle banche tedesche e francesi. I cittadini tedeschi sono stati indotti a pensare che quel denaro fosse destinato ai Greci, i greci sono stati indotti a pensare che quella fosse la salvezza.»
Ma riconosce anche che, nonostante la strategia del rischio calcolato e le pose, è giunto il momento di trovare soluzioni per salvare la faccia. La Grecia ha solo bisogno di «un po’di tempo», un prestito ponte che conceda lo spazio fiscale per elaborare il miglior piano possibile per cosa fare dopo. I creditori possono chiamarlo come vogliono. «Se fossimo un’azienda, non sarebbe logico a questo punto chiedere una revisione del nostro business plan?» chiede. «Fateci trovare le parole giuste per salvare la faccia, una via d’uscita per salvare la faccia. Siamo bravi in questo in Europa, gli eufemismi sono la nostra forza… ma ahimè, la risposta è “no, c’è un procedimento, e se non si firma sulla linea tratteggiata si scatenerà l’inferno”.»
Anche per gli standard di coloro che prima occupavano il sesto piano del ministero delle Finanze, il mandato di Varoufakis arriva in un momento particolarmente pesante. Con una quota di salvataggio del paese a 240 miliardi di euro – la più grande della storia mondiale – che scadrà alla fine di febbraio, e l’elettorato greco che ha respinto l’austerità quasi all’unanimità, la Grecia è a un bivio.
In un clima di pressione ad alto numero di ottani – sebbene il suo linguaggio si sia ammorbidito, la cancelliera tedesca Angela Merkel questa settimana ha mostrato pochi segni di cedimento in tempi brevi – la possibilità di errore politico, o incidente, cresce ogni giorno. Solo quest’anno, Atene deve qualcosa come 25 miliardi di euro in rimborsi, e quel che è certo è che non dispone di cifre del genere.
Quando chiedo a Varoufakis se abbia un piano B, dato che tutti i negoziatori hanno certamente un’alternativa possibile, lui mi guarda con gli occhi spalancati: «Sentiamo continuamente “Se non firmate sulla linea tratteggiata ci sarà l’Apocalisse”. La mia risposta è “Lasciamo che accada!” Non esiste un piano di ripiego. Questo è il mio piano B.»
E se succede? chiedo, mentre le immagini del caos di una bancarotta sfarfallano senz’altro attraverso la mia mente. «Beh, è come chiedermi cosa succederebbe se una cometa colpisse la Terra. Non ne ho idea. Nessuna!» replica.
Varoufakis è il primo a dire che nessuno dovrebbe crescere troppo legato al potere. Non ha voglia di stare al sesto piano del ministero delle Finanze più del necessario. Ha rinunciato alla scorta, all’esercito di consulenti che in questo lavoro sono naturali (rinuncia a loro per consentire la riassunzione delle donne delle pulizie licenziate dal Ministero) e a tutte e tre le vetture a sua disposizione. Se perdesse il lavoro, dice, non sarebbe un problema. «Quando gli interlocutori mi minacciano di far cadere questo governo, perché lo fanno, io dico “Provaci”» sorride. «Voglio dire, io davvero non voglio stare in questo ufficio… Tornerò al mio libro sull’Europa, che non è ancora finito. È molto difficile trovare un finale mentre sono impegnato in questo lavoro.»
Pochi giorni dopo passo davanti a Varoufakis e Galbraith fuori dal ministero, in piazza Syntagma. È tardi, ed entrambi stanno camminando sotto la pioggia battente verso un parcheggio di taxi. Sento il politico greco, zaino in spalla, entusiasta per il boom di vendite del suo libro. Nonostante tutto, è felice. E non molto diverso dallo Yanis Varoufakis che è sempre stato.
Fonte: Greek finance minister Yanis Varoufakis: ‘If I weren’t scared, I’d be awfully dangerous’.
Questo articolo è stato pubblicato su Globalist il 19 febbraio 2015