Libertà di religione, una questione oggi più che mai cruciale / 2

3 Febbraio 2015 /

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Charlie Hebdo
Charlie Hebdo
di Amina Crisma
(Prima parte) 2. Quale pluralismo e quanta libertà religiosa oggi in Italia?
Questa domanda, in particolare, è stata al centro del dibattito all’Università di Padova del 16 gennaio a cui, come sopra accennavo, ho partecipato, dal titolo “Libertà religiosa e pluralismo culturale. Incroci di civiltà e forme di disagio” (lo documenta il sito di Immaginafrica). Come ho detto, gli eventi di Parigi vi hanno conferito una pregnanza del tutto speciale. Promosso da Adone Brandalise e Silvia Failli, direttore e vicedirettore del Master in Studi interculturali, ha visto fra l’altro la partecipazione di Stefano Allievi, direttore del Master sull’Islam in Europa, di don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di Pace), della pastora valdese Caterina Griffante, i cui interventi si sono già menzionati, e inoltre degli avvocati Marco Ferrero (Università di Venezia, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Marco Paggi (esperto di diritto degli stranieri e richiedenti asilo), di Don Elia Ferro (responsabile della Pastorale dei Migranti della Diocesi di Padova), di rappresentanti delle comunità immigrate fra cui Mounya Allali (Nuovo Orizzonte) e Chaibia Elafti (Mediatis), dello studioso di Filosofie orientali Marcello Ghilardi, di Vincenzo Pace (direttore del Centro Studi delle Migrazioni e coordinatore del Gruppo di ricerca LABREL, Laboratorio Religioni).
Ne è emersa un’articolata riflessione sulla situazione dell’Italia, un Paese che non è più cattolico – “ormai diversamente cattolico”, come Pace l’ha definito – e che peraltro per molti versi sembra ostinarsi a non volerne prendere atto, insistendo nel rappresentarsi tramite una mappa monocolore che ormai appartiene al passato, e non corrisponde per nulla a una realtà fatta di oltre 650 luoghi musulmani, 37 templi sikh (nella foto in alto quello di Pessina Cremonese), per non dire dei siti buddisti d’ogni sorta, e poi pentecostali, induisti, taoisti… un proteiforme caleidoscopio in continua espansione in cui hanno fra l’altro un significativo spazio i cristiani ortodossi dell’immigrazione dall’Europa orientale, ulteriore e cospicuo tassello che si aggiunge al quadro delle minoranze storiche, ebrei, valdesi, luterani, testimoni di Geova…

Questo multiforme panorama di diversità religiosa è in stridente contrasto con un quadro normativo decisamente obsoleto, staticamente definito in termini di rapporti con la Chiesa cattolica e con quelli che nel lessico pre-costituzionale si chiamano “culti ammessi”: un’impostazione di fondo che la rimodulazione del Concordato nell’84 non ha, in sostanza, intaccato. C’è un progetto di legge sulla libertà religiosa fermo da vent’anni, e il regime delle intese rivela in crescente misura tutti i suoi limiti, risultando oggettivamente, a dir poco, paradossale. Ad esempio, nel 2011 si è siglata l’intesa con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, ossia i mormoni, ma non c’è intesa per molte chiese evangeliche, e così pure per i testimoni di Geova. E ancora, il plurale Islam italiano attende un riconoscimento, tuttora assente anche per gli ortodossi rumeni e moldavi, oggi molto più numerosi degli aderenti alla Chiesa greco-ortodossa, che lo ha ricevuto a fine 2012.
L’assenza di una moderna normativa capace di riconoscere compiutamente l’attuale pluralismo e di dare piena, effettiva e concreta attuazione alla libertà religiosa dà luogo a un’applicazione selettiva delle norme e a un’oggettiva discriminazione. In particolare, lede il diritto ai luoghi di culto, e offre spazi all’arbitrio di amministratori locali che ricorrono a ogni cavillo ed espediente per impedirne l’apertura (iniziative, queste, in cui, com’è ben noto, particolarmente si distinguono gli esponenti della Lega Nord). Ma la libertà religiosa, come ha sottolineato Stefano Allievi, non è un lusso, e negare la moschea o il cimitero equivale a un’intrinseca delegittimazione delle nostre leggi.
A questo proposito, egli ha rilevato, è opportuno distinguere fra le reazioni della gente, che possono essere anche di ostilità e di comprensibile diffidenza nei confronti di una situazione nuova, non ancora né spiegata né compresa, e che troppo spesso si ha fretta di rubricare tout court come xenofobe e razziste (ottenendo così di esasperarle anziché di decostruirle attraverso l’ascolto, il dialogo paziente, la promozione di iniziative opportune, che favoriscano l’interazione e l’incontro nella dimensione quotidiana) e il ruolo di coloro che hanno invece responsabilità istituzionali, e che non possono né devono farsi banditori dell’intolleranza e della discriminazione.
Ma oltre agli irrinunciabili motivi di principio che ci devono indurre a considerare la lotta per il diritto ai luoghi di culto come una nostra comune rivendicazione, ce ne sono anche di assai pragmatici, come ha rilevato Mounya Allali. Respingere in un’incontrollata e incontrollabile clandestinità i luoghi di culto è dissennato dal punto di vista della nostra sicurezza: equivale a fare un gran bel regalo ai violenti, agli intolleranti, ai predicatori di odio, contro i quali lo spazio trasparente di una moschea riconosciuta e legittimata potrebbe costituire invece un bastione efficace. “Non vogliamo che i nostri figli apprendano la religione dalle versioni stravolte e mostruose reperibili su Intenet”, ha detto Mounya, che si è detta inoltre convinta che la presenza degli imam nelle carceri potrebbe essere un valido antidoto alla propaganda jihadista, prevenendone la possibile diffusione fra i detenuti (nella foto sopra la Grande moschea di Roma).
Per molti versi, dunque, la libertà di religione si impone oggi come un tema prioritario di dibattito e di iniziativa di cui sarebbe davvero auspicabile che coloro che hanno responsabilità di governo a ogni livello si prendessero debita cura. Su questo, il dibattito padovano ha mostrato che tutto un mondo attivo, dialogante e plurale – nelle associazioni, nell’università, nelle chiese e quant’altro – è pronto a mobilitarsi, e a formulare un’agenda condivisa, fatta di riflessioni articolate come di buone pratiche: ma a quest’agenda occorrerebbe, oggi più che mai, il supporto di un’iniziativa politica attenta e incisiva, lungimirante ed efficace. Non so proprio se, da chi e in quale misura si riuscirà a ottenerla; come che sia, è in ogni caso chiaro che su questa strada occorrerà comunque continuare. Nella consapevolezza che le religioni non sono entità univoche, ma campi di tensioni e di conflitti; non sono immobili e immutabili, ma realtà dialettiche e viventi, attraversate da riforme e da trasformazioni. Se è vero che, come ci ha ricordato Marcello Ghilardi, esse ospitano le potenzialità di bene e di male dell’uomo, ciò che diventeranno dipenderà, domani come oggi e come ieri, da ciò che gli esseri umani ne sapranno e ne vorranno fare.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 27 gennaio 2015

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