Contro l'intreccio tra affaristi, politica e cosche serve un ruolo pubblico forte

31 Gennaio 2015 /

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di Cristina Quintavalla
Al fruscio delle mazzette, non importa di quale provenienza – da omicidio, estorsione, usura, riciclaggio, associazione mafiosa, detenzione di armi, reimpiego di capitali illeciti – si sono arresi oltre 200 tra politici ed imprenditori, indagati a vario titolo per reati riconducibili ad associazione mafiosa e concorso esterno.
Un vero terremoto, che ha squarciato l’immagine mielosa di un sistema ordinato, democratico, fondato sulla retorica delle regole, che garantirebbero il vivere civile, che ha svelato il volto nascosto di una regione, l’Emilia-Romagna, lottizzata da cooperative e imprenditori, intrecciati con cosche mafiose, di cui l’indagine romana “Mondo di mezzo”aveva fornito l’anteprima.
Mentre c’è chi fruga nei cassonetti dei supermercati, chi tira a campare inventandosi ogni giorno il modo di portare a casa il pasto, chi resta senza casa, chi senza lavoro, chi non può più far studiare i propri figli, i grandi capitali, illecitamente accumulati, migrano in cerca di investimenti lucrosi: penetrano nelle cooperative sociali, al limite della legalità, entrano nelle società immobiliari che devastano le nostre città, si assicurano appoggi da parte delle istituzioni pubbliche, favorendo l’elezione di politici compiacenti.
Anche stavolta fanno il pieno politici rigorosamente di Forza Italia. Tra essi Giuseppe Pagliani, consigliere comunale di Reggio Emilia, e l’ ex assessore parmense, Bernini, rigorosamente di Forza Italia, esponente di spicco della giunta Vignali, già coinvolta in scandalose inchieste giudiziarie, che ha lasciato in eredità un buco di bilancio di 870 milioni, frutto di opere inutili e costose, di privatizzazione di servizi e di beni, di gestione privatistica della città, debito scaricato dall’attuale giunta Pizzarotti sui cittadini incolpevoli, che pagano le aliquote delle tariffe IMU, TARI, TASI al massimo, subiscono tagli della spesa pubblica, si vedono ogni giorno ridurre servizi e abbassare la loro qualità.

A Sorbolo (Parma) il danaro di provenienza mafiosa è stato investito da un’impresa su un’area valutata sui venti milioni, per costruire un vero e proprio quartiere coi suoi 200 appartamenti, ora sotto sequestro; molte cooperative, più o meno finte, nei settori dei trasporti, dell’edilizia, della logistica, delle pulizie, impiegano migliaia di lavoratori e lavoratrici, con contratti precari, senza clausole di garanzia, con retribuzioni da fame.
Che i capitali di origine malavitosa penetrassero all’interno del tessuto economico produttivo non è certo acquisizione recente: chi non ne era al corrente? Forse non sapevano le amministrazioni comunali di Parma, di Reggio Emilia, Piacenza, di altre città emiliano romagnole e lombarde che gli appalti, quelli al ribasso in particolare, sono il luogo di coltura dell’investimento derivante da attività illecite? Forse si ignorava l’intreccio tra businnes/cosche/politica?
Tutto questo era noto, come sin troppo chiara ne risulta la ragione: la fine delle istituzioni pubbliche, del loro ruolo di controllo, di garanti di imparzialità, equità e legittimità delle scelte che dovrebbero perseguire il preminente interesse pubblico. La degenerazione del ruolo degli enti locali invece consente che vengano elusi i controlli pubblici, che vengano esternalizzati i servizi, dati in appalto a società private, cui è affidata la gestione di beni e servizi essenziali alla vita di tutti.
Lo Sblocca Italia, facilitando le pratiche edilizie, corrispondendo incentivi e dispensando immunità fiscale alle grandi immobiliari, consentendo di eludere i controlli pubblici, istituisce una selvaggia deregulation che, trasferendo i poteri dal pubblico al privato rende possibile il saccheggio del nostro paese, dei suoi beni, delle sue risorse, nonché le infiltrazioni di capitali malavitosi dentro il business della speculazione legata al territorio.
All’indebolimento dei poteri pubblici corrisponde il rafforzamento del fronte affaristico, sempre più senza limiti, né obblighi, se non quello della piena resa dei capitali investiti. Non è forse macabro che i capitali derivanti da attività illecite siano investiti nel modenese, partecipando alla ricostruzione dopo il terremoto, che guarda caso, come denunciato da associazioni nate in loco, procede vergognosamente a rilento?
Il riso dei boss, infiltrati nel tessuto imprenditoriale della ricostruzione nel modenese, non suona macabro ai presidenti di questa e della precedente giunta regionale?

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