di Loris Campetti
Al dolore e alla rabbia per la strage di Parigi si associa il fastidio che provo per la retorica che ne guida la narrazione. Che nessuno, qui in Occidente, provi paura è una falsa esibizione di orgoglio per dei valori ormai da tempo bruciati da una pratica opposta generata dalla globalizzazione neoliberista. Solo per dirne una, che ne è del modello sociale europeo? Così, fatta questa premessa, vi ripropongo un articolo che scrissi a caldo dieci anni fa sul “manifesto” dopo un’altra strage nel cuore dell’Europa.
Io ho paura. Ho paura che tra il massacro di Falluja e quello di Londra ci sia un nesso. Ho paura di chi massacra la popolazione civile in Iraq, con le bombe o le autobomba. Ho paura di chi massacra i civili a New York, a Madrid, a Londra. O a Kabul. Ho paura di chi uccide e si uccide in nome di un dio ma ho paura anche di chi dice di farlo in nome del suo dio ma lo fa in nome del danaro o del petrolio. O per esportare la democrazia, la sua democrazia. Ho paura di chi giura che il suo modo di vita non sarà cambiato dagli attacchi nemici mentre io questo modo di vita vorrei cambiarlo a prescindere dal nemico.
Chi è il nemico? Ho paura che non si debba guardare troppo lontano per individuarlo e una volta individuato, potremmo scoprire che assomiglia a quell’altro nemico che scorrazza in motocicletta nelle montagne tra l’Afghanistan e il Pakistan. Ho paura che una buona parte della civiltà superiore che vogliamo difendere dalla barbarie sia già morta, a Guantanamo, ad Abu Graib, a San Foca. Ho paura che per un palestinese nato in un campo profughi la speranza e la gioia siano sentimenti sconosciuti. Temo che il filo che divide la vita dalla morte, per lui sia troppo sottile.
Ho paura di chi pensa che prima vengono gli interessi del suo paese e poi quelli del pianeta Terra e per difendere il suo presente uccide il futuro, nostro e suo. Ho paura di chi dice che il nemico economico ha il muso giallo e il nemico sociale o religioso ha il muso nero, o la barba lunga, o il velo. Ho paura di chi ha la barba lunga o il velo e pensa che io sia il suo nemico. Ho paura che la guerra non sia scoppiata l’11 settembre ma che l’11 settembre il fronte si sia allargato fino al mio giardino.
Ho paura di chi pensa che usare il preservativo sia peccato e di chi impedisce a chi non l’ha usato di curarsi se non ha un conto in Svizzera. Ho paura di chi in Svizzera raccoglie i profitti dello sfruttamento selvaggio e guerrafondaio nelle miniere africane e di chi fa crescere il pil del 10% l’anno con il terrore, la semischiavitù, l’avvelenamento del pianeta.
Ho un sacco di paure con cui fatico a convivere ma che mi aiutano a non cedere all’assuefazione e a non aderire ad alcun esercito. Soprattutto, ho paura di chi non ha paura o dice di non averne e invita i suoi cittadini o i suoi lettori a non averne, anzi a continuare a consumare, affamare, sfruttare, ammazzare e inquinare come se nulla fosse successo. Ho paura di chi non fugge mai, di chi non si ritira mai, di chi non ci ripensa, di chi non ha il coraggio di disertare. Mi fanno paura perché pensano che questo sia l’unico mondo possibile e vorrebbero impedirci di provare a costruirne un altro.
12 luglio 2005