In vista dell’evento organizzato nella capitale C’è un avvenire per la sinistra? (17 dicembre, ore 16, Cgil Roma-Lazio), pubblichiamo la prima di tre parti di questo articolo apparso sul numero 5/2014 di Critica Marxista.
di Alfiero Grandi
La sinistra ha bisogno di una rinascita politica e ideale, altrimenti potrebbe declinare verso la marginalità. Per comprenderne la crisi occorre andare con coraggio alla radice dei problemi. La sinistra in Italia è in una crisi particolarmente grave perché ha subito sconfitte cocenti, tra cui una crescente divaricazione tra i redditi, che è un aspetto importante dell’esplosione dell’ineguaglianza sociale. La sinistra è oggi divisa, frantumata, incapace di proporre un’alternativa credibile ed è fin troppo spesso subalterna alle ideologie delle classi dominanti, di cui la campagna contro l’articolo 18 è forse il frutto più immediato, certo non l’unico.
La crisi della sinistra in Italia si è manifestata nell’incapacità di costruire con continuità e forza un’alternativa credibile alla destra egemonizzata per venti anni da Berlusconi, verso la quale troppe volte ha finito con il manifestare subalternità e si è dimostrata incapace di ribaltarne le priorità politiche. In verità la crisi della sinistra non è solo italiana, perché la crescita della globalizzazione ha aperto una sfida politica altrettanto globale alle ragioni fondanti della sinistra, proprio quando le forme di solidarietà sociali e politiche a livello sovranazionale sono cadute al punto più basso da decenni.
Dopo la caduta del “muro” e la crisi dei paesi del socialismo reale c’è stato un allentamento dei legami nelle organizzazioni internazionali che fanno riferimento al movimento operaio, fino a una loro perdita di ruolo, in particolare della socialdemocrazia e del sindacato che pure – paradossalmente – è oggi riunito in un’unica organizzazione internazionale. Più la sfida è diventata globale e più l’ottica delle scelte politiche, economiche, sociali della sinistra è rimasta nazionale e quindi inadeguata, spesso subalterna ai diktat del Fmi e della Bce, del neoliberismo dominante nel mondo. Il “pensiero unico” ha in questo le sue radici.
Pesa in modo evidente la scarsa convinzione che sia possibile costruire un mondo più equo e più giusto e il sistema economico di mercato come lo conosciamo sembra essere spesso l’unico possibile. I disastri sociali del neoliberismo in questo modo danno origine a un brontolio di fondo, a un disagio sociale crescente, perfino a una ribellione che restano tuttavia senza sbocchi alternativi credibili.
L’intervento pubblico
La sinistra, a partire da quella italiana, deve ridisegnare un ruolo articolato su base nazionale e sovranazionale (europeo, ma anche internazionale) dell’intervento pubblico, che deve qualificarsi anzitutto per le sue proposte di cambiamento economico e sociale del modello di sviluppo attuale, per la capacità di guida dei processi di innovazione. Il recente libro di Mariana Mazzucato, “Lo Stato innovatore”, conferma che è necessario un ruolo pubblico a partire dallo Stato per affrontare in un’ottica non contingente la soluzione dei problemi.
Chi vuole difendere il dominio delle classi dominanti non ha bisogno di cambiare in profondità, ma chi vuole cambiare gli assetti e i rapporti di forza, al contrario, ha bisogno del ruolo dell’intervento pubblico, dei suoi strumenti, per potere realizzare il cambiamento. Il ruolo di governo che la sinistra può e deve esercitare, tanto più in questa fase, trova la sua ragione di fondo nel bisogno di cambiamento dell’economia, della società, dell’etica pubblica e ha quindi bisogno di una strumentazione pubblica di intervento e anche per questo deve porsi il problema della riforma del suo funzionamento.
La sinistra ha bisogno della sfera dell’intervento pubblico per guidare i processi economici e sociali e questo conferma che i cambiamenti possono essere positivi o negativi, di destra o di sinistra, mai neutri. La coppia innovazione-conservazione non sostituisce affatto quella destra/sinistra, perché gli esiti sono diversi a seconda dei valori e dei riferimenti sociali. Vi è una novità ancora non sufficientemente metabolizzata dalla sinistra ed è il ruolo egemonico della sfera finanziaria nei processi economici e decisionali, nei processi di accumulazione e di dislocazione delle risorse. La finanza ha ormai assunto un livello egemone nell’economia trasformando nel profondo l’essenza stessa e i rapporti di forza nel capitalismo.
La rete delle attività finanziarie, cresciute a dismisura e pervasive, è infatti la più vasta e adatta a sfruttare tutte le forme di attività e a intervenire negli ambiti più svariati, compresi quelli della vita e della salute delle persone – ridotte anch’esse a merce con lo scopo di trarne profitto – e della privatizzazione dei servizi e dello Stato sociale, senza alcun riguardo per i diritti delle collettività locali.
Il potere della finanza
In sintesi la finanza rappresenta la fase attuale dell’espansione della logica del profitto, la cui accumulazione avviene rastrellando risorse in modo pervasivo, in tutti gli ambiti di attività. Come ha denunciato Strada, ad esempio, la logica del profitto applicata alla sanità aumenta i costi a carico dello Stato e contemporaneamente nega il diritto alla salute a un’area crescente di cittadini. Per questo è cresciuta a dismisura la distorsione strutturale dell’economia che privilegia gli investimenti finanziari rispetto a qualunque altra forma di attività economica.
Siamo tuttora dentro la crisi scoppiata più di sei anni fa – temporalmente la più grave dopo quella del 1929 – che non a caso è iniziata nel settore finanziario e ha distrutto finora, solo in Italia, oltre un milione di posti di lavoro e raddoppiato il numero dei disoccupati. L’Italia che uscirà dalla crisi sarà molto diversa da quella precedente.
La crisi non è una parentesi tra il prima e il dopo, ma l’occasione di una trasformazione profonda che – se non governata – lascerà un paese più ingiusto, più debole, con una rigida gerarchia sociale. Si sottovaluta ad esempio che la via di uscita liberista dalla crisi comporterà costi sociali ed economici molto maggiori di quelli finora sopportati. Le attività finanziarie sono oggi già tornate al volume dei livelli pre-crisi e in qualche caso li hanno addirittura superati, accrescendo ancora di più la distorsione che porta i movimenti di denaro a creare altro denaro, prescindendo da qualunque rapporto con l’economia reale.
È stato calcolato che nel mondo tre giorni di attività finanziarie sono effettivamente legate alle attività economiche materiali e immateriali che si svolgono in un intero anno; gli altri 362 giorni di attività finanziarie non hanno alcun rapporto con le attività economiche reali. Derivati ed edge fund la fanno largamente da padroni; dieci banche nel mondo detengono la metà di tutte le attività finanziarie. La concentrazione e la pervasività del potere finanziario sono impressionanti, la sua influenza sulla politica enorme, i suoi finanziamenti decidono spesso l’elezione dei rappresentanti.
La finanza è l’aspetto più astratto e lontano possibile dall’economia reale, agisce senza considerare alcun criterio politico, economico, sociale, ambientale, umano che non sia legato all’accrescimento dei profitti attraverso la riproduzione del denaro. Non a caso i redditi legati a queste attività finanziarie sono quelli cresciuti in modo esponenziale, senza alcun rapporto con gli altri redditi: sono la ragione principale della crescita della diseguaglianza tra i redditi e nella società.
È per lo meno inadeguato e parziale concentrare l’attenzione solo sulla divaricazione dei redditi nel settore pubblico, problema che pure esiste, perché questo divario non è in alcun modo paragonabile a quello che si è creato tra chi gestisce le attività finanziarie e i redditi da lavoro. La discussione sui redditi alti è tutta concentrata sulla sfera politica e sui dipendenti pubblici, nulla viene detto sulle divaricazioni nel settore privato dove i moltiplicatori sono arrivati livelli stratosferici, senza che questo venga sottolineato.
Quando l’Istat ci informa che i primi dieci percettori di reddito in Italia guadagnano quanto mezzo milione di lavoratori dipendenti parla delle divaricazioni nel settore privato, che sono in assoluto quelle maggiori, ben oltre 400 volte il salario medio, livello che pure aveva destato scandalo. Il profitto delle attività finanziarie arriva come risultato del più alto grado di astrazione e di generalizzazione ed è in grado di egemonizzare il resto dell’economia e della politica.
In questa crisi l’Europa ha iniettato nel sistema finanziario a vario titolo 4500 miliardi di euro, mentre non ha trovato le risorse necessarie per fare ripartire l’economia e tanto meno per garantire l’occupazione, obiettivi per i quali bastava una piccola frazione di questa enorme cifra. Basta ricordare che il piano poliennale di investimenti promesso da Juncker – tutto da verificare – è di appena 300 miliardi di euro. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno perso l’occasione per regolare i mercati quando la reazione dell’opinione pubblica ai disastri finanziari avrebbe appoggiato questa iniziativa. Così si è persa l’occasione di introdurre limiti e divieti ai movimenti finanziari. Queste regole potevano essere tali da mettere sotto controllo i movimenti dei capitali e delle attività finanziarie, gli unici veramente liberi e pressoché senza controlli sui loro movimenti nel mondo globale.
Al contempo è in pieno svolgimento una trattativa semisegreta tra Unione Europea e Stati Uniti per realizzare un mercato unico tra i due continenti praticamente senza controlli, sconvolgendo lo Stato sociale a dominanza pubblica e perfino senza garanzie per la salute dei cittadini. Questa trattativa va bloccata e portata alla conoscenza dei cittadini. La sinistra deve aggiornare la sua analisi e le sue proposte superando il complesso che le deriva dai fallimenti e dagli errori del passato. La fine dei blocchi e della guerra fredda sono un fatto positivo e hanno offerto l’opportunità per rifondare le basi politiche e culturali della sinistra, anche se una parte di essa ha assimilato valori e comportamenti dei vincitori.