di Nello Rubattu
Se qualcuno avesse avuto dei dubbi sulle reali condizioni della Sardegna, dovrebbe leggersi le note della Svimez, per avere la certezza che per la nostra isola, se continua così, non ci sarà assolutamente nessuna possibilità futura di sviluppo. Certo, la crisi si sta dimostrando molto lunga e ormai supera i sette anni. Ma se è per questo, gli analisti in giro per il mondo dell’economia, parlano per l’Occidente e soprattutto per l’Europa, di vedere un po’ di luce solo nella metà del prossimo decennio.
Renzi e la Commissione europea, lo sanno e se non lo sanno vuol dire che siamo nelle mani di un esercito di incompetenti… e forse è così. Per la nostra isola, invece, possiamo stare davvero freschi: in Sardegna, nei prossimi anni, rimarranno solo i vecchi, i bambini che ancora si azzardano a nascere e i turisti che negli anni passati hanno avuto la malaugurata idea di comprarsi una casa per le vacanze. No, forse mi sbaglio: qualche arabo del Qatar e qualche multinazionale cinese, legate alla Costa Smeralda, al ciclo dell’alluminio e a Meridiana, “forse… ma proprio forse”, continueranno a frequentare quest’isola a forma di piede che per sua disgrazia, non ha neanche la possibilità di essere seppellita da un terremoto biblico e per questo è diventato un buon posto, per installare impianti eolici e solari. La Sardegna, lo sanno tutti, è fatta di granito ed è una delle parti del mondo più vecchie e solide.
La “terra”, comunque: il suo popolo, molto meno. E siccome i sardi da sette anni, non vedono che funerali, dopo averli lasciati passare in silenzio per rispetto nei confronti del morto, se ne vanno, partono: “La Sardegna resta una terra di emigranti. Il numero di chi parte in cerca di lavoro supera quello degli immigrati che arrivano nell’isola. Gli stranieri residenti compensano appena il saldo naturale negativo, con un tasso di natalità che si attesta sul 7,2%, contro l’8% nazionale».
Lo dice Gianni Loy, docente di Diritto del lavoro dell’università di Cagliari. Ma poi, siccome in Sardegna, ormai non si trova nulla neanche per loro, il saldo alla fine è solo negativo e i sardi che partono oggi sono tre volte superiori a quelli che emigravano negli anni passati. E per la Sardegna, come dice la Svimez, sta aumentando la desertificazione umana “visto che come nel 1918, ci sono stati più morti che nati”. In quell’anno maledetto di fine prima guerra, il saldo fu un disastro epocale per la Sardegna: agli 80 mila, morti per quella fesseria di conflitto, si aggiunsero quelli della “Spagnola”, un morbo che falcidiò l’isola da Nord a Sud, risultando per questo una delle terre più colpite insieme al Lazio. In pratica, un terzo della popolazione sarda fu colpita e affondata.
Oggi, però, il problema è quasi lo stesso, anche se non a causa di una pandemia. La Sardegna, lo dicono sempre quelli della Svimez, si sta “rinsecchendo”: Dei 985mila posti di lavoro perduti in Italia negli ultimi sei anni, 43 mila sono stati persi in Sardegna nell’ultimo anno. La ricchezza complessiva dell’isola è scesa del 4,4% nel 2013 ed è la performance peggiore rispetto alla media del Mezzogiorno nel suo complesso (-3,5) e del Centronord (-1,4). La perdita dei posti di lavoro ha avuto le ovvie ripercussioni sui consumi delle famiglie meridionali, calati di quasi 13 punti percentuali. Una tendenza che dovrebbe proseguire purtroppo anche nel 2015 con un calo dei consumi dello 0,2%, e quindi, sia pure in perdita, si può sperare in un contenimento della tendenza al ribasso”.
Insomma, non per voler essere polemici, ma dove diavolo li prendono i vari Galletti e Renzi, i dati di una possibile crescita a partire dal prossimo anno? Forse, loro sperano che la decrescita sarà minore in Lombardia, l’Expo li aiuterà, ma in Sardegna si cadrà ancora più velocemente del previsto. Perché, nessuno può pensare che quei 43 mila nuovi disoccupati se ne staranno a bagnarsi le chiappe sulle spiagge della nostra isola: acqua pulita la nostra, ma solo quella possiamo offrire a chi cerca un lavoro.
Partiranno in buona parte, perché sanno che niente e nessuno è in grado di riassumerli. Si può continuare così?
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 14 novembre 2014